Il Papa ai Movimenti Popolari: un anelito di speranza, un invito a non rassegnarsi all'ingiustizia, un appello ad abbandonare la logica del profitto e il sistema ecocida.
Poeti, sognatori, così papa Francesco definisce i movimenti sociali nel suo messaggio in occasione del loro quarto incontro mondiale. Le due parole sono significativamente accompagnate da un aggettivo – "sociale" – che compare a più riprese nel corso del testo: sono poeti sociali, sognatori sociali.
Già nella scelta dei termini è possibile intravedere il significato e il valore che Francesco attribuisce ai suoi interlocutori e il senso generale del suo intervento.
"Il mondo si legge meglio dalla periferia", afferma. E il messaggio ai movimenti che Francesco dichiara di avere ascoltato, di voler continuare ad ascoltare e di avere assunto come fonte di ispirazione, rappresenta effettivamente il tentativo di guardare al mondo, alle persone, ai loro bisogni e alle loro speranze da un altro punto di vista. Francesco individua nei movimenti sociali i protagonisti essenziali di una possibile diversa storia.
Quanti animano i movimenti sono poeti perché costruttori di speranza, sognatori perché anticipatori di un futuro diverso, samaritani perché portatori della capacità di farsi carico degli altri e del mondo. Già dalla scelta delle parole emerge la critica al pensiero mainstream, quello ispirato dall'"egoismo dei forti" e dal "conformismo dei deboli". I sogni e le poesie "sono pericolosi per quanti difendono lo status quo, trascendono gli angusti limiti che ci vengono imposti e ci propongono nuovi mondi possibili".
L'atteggiamento è diametralmente diverso da quello spesso arrogante e paternalistico dei potenti, da Draghi al ministro Cingolani, nei confronti dei giovani e delle ragazze impegnate nei movimenti per la salvezza del pianeta.
Non si temono i movimenti, non li si vuole depotenziare attraverso l'innalzamento dei muri, magari di gomma, non li si ignora.
I movimenti sociali spingono a chiedere, a non accontentarsi, a non rassegnarsi all'ingiustizia. E Francesco non vuole rassegnarsi.
Il Papa usa toni drammatici per descrivere il mondo in cui viviamo. Riprendendo i temi centrali di tutta la sua predicazione, il Papa ci ricorda con angoscia che la logica implacabile del guadagno e del profitto sta sfuggendo a ogni controllo umano, è un sistema "ecocida e genocida". Eppure tutto questo, come lo stesso Francesco lamenta, non fa notizia. Non fa empatia la crescita dell'insicurezza alimentare, non fanno notizia i numeri della fame, non fanno notizia le tragedie delle guerre.
Ma non fa notizia veramente neppure il Papa. Mentre Francesco chiede e grida, il dibattito pubblico nel nostro Paese si adagia nell'aspettativa di una ripresa in cui tutto torni come prima, in cui l'unico dato significativo sia quello della crescita del PIL, mentre si tralasciano i posti di lavoro perduti, la precarietà dilagante, la povertà crescente, la fragilità dei servizi pubblici, dalla sanità, alla scuola, ai trasporti, resa evidente dalla pandemia e subito dimenticata. Anzi, ci si prepara, attraverso la legge della concorrenza, a un'ulteriore campagna di affidamento al mercato di servizi essenziali, con il solito corredo di precarizzazione, bassi salari, mancanza di controlli. Quanto egoismo dei forti e conformismo dei deboli ci sono in una discussione pubblica che si esercita fondamentalmente su come ridurre le pensioni o limitare il reddito di cittadinanza, due strumenti di lotta alla povertà e alla precarietà, sul quando ricominciare a tagliare la spesa pubblica e tornare alle politiche di austerità, dimenticando e facendo dimenticare che quelle politiche hanno reso le nostre società vulnerabili di fronte alla malattia e alle sue conseguenze?
Possibile che un testo così forte ed esplicito non determini discussioni, non chiami a riflettere e magari a confutare le affermazioni che vi sono contenute, non conduca a misurarsi sulle richieste e le proposte che contiene?
Le destre hanno certo tutto l'interesse a sorvolare, a passare sotto silenzio. Ma questi testi non scuotono neppure quanti si rifanno alla sinistra politica e persino quanti dovrebbero ispirarsi agli insegnamenti della Chiesa, che non casualmente Francesco richiama con puntigliosità, ricordando come le sue parole siano il frutto della tradizione della dottrina sociale cristiana.
Francesco disegna un vero e proprio manifesto politico, che convince profondamente per le sue analisi e le sue proposte. Ci ricorda che occorre scegliere, incontrarsi, costruire azione congiunta, sognare insieme per muoversi insieme, far ascoltare la voce di chi sogna e combatte.
Il Papa torna con forza, con sofferenza, a denunciare la società dell'ingiustizia, in cui i profitti crescenti non lasciano sgocciolare né lavoro, né dignità, né benessere, ma producono al contrario scarto, povertà, abbandono, guerra.
Chiede di fermare la locomotiva impazzita del nostro modello di produzione e consumo. Mettendosi in ascolto dei movimenti, Francesco elenca richieste e avanza proposte, dal condono dei debiti alla liberalizzazione dei brevetti dei vaccini, al blocco della produzione e della vendita delle armi, alla costruzione di una produzione agricola non monopolistica e affamatrice. E ci propone di partire da due misure, necessarie, ma non sufficienti, ma che comincino a restituire dignità alle persone, perché possano almeno accedere ai beni più elementari della vita: un reddito minimo universale e una riduzione della giornata lavorativa. Ci propone cioè di "sognare" una grande, poderosa azione di redistribuzione, ci spinge a rimettere al centro le persone e i loro diritti fondamentali, che riaffermi la centralità del lavoro stabile, dignitoso e degnamente retribuito. Il sogno e le poesie si fanno dunque visione concreta, punto di vista, scelta. I movimenti possono far crescere quello che il Papa chiama "il samaritano collettivo", perché la solidarietà – afferma – "non è soltanto virtù morale, ma è anche principio sociale", per mettere in discussione i sistemi ingiusti, per combattere le "strutture di peccato" che oggi sono dominanti nelle nostre società. La pandemia ha scoperto, rese evidenti per chi ha occhi per vedere, le profonde storture del nostro modello di sviluppo e di consumo. La questione ambientale è lì a ricordarcelo continuamente.
Tutte e tutti siamo chiamati dunque a farci samaritani collettivi, darci forza, ad animare una lotta e un conflitto, a far vivere un pensiero altro.