Le nostre paure e la nostra diffidenza verso chi arriva da lontano alimentano una cultura del nemico, discordante dalla fratellanza e dalla logica dell'amore cristiano. Chiediamo perdono per le nostre diffidenze, per i nostri silenzi, per le nostre chiusure.
"I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare" (Fratelli tutti, 129).
Non si può dubitare che la presenza dei migranti crei qualche difficoltà e venga intesa come problema. Non fosse altro perché smuove il quieto vivere e mette in discussione certezze consolidate. La problematicità nasce dalla paura. Paura dell'altro, del diverso, dello straniero, di chi mette in discussione fissi stili di vita e ataviche sicurezze.
Dalla paura nasce la diffidenza. Che cosa può venir di buono da un marocchino, che cosa può venir fuori da un senegalese, se non un pericolo di malattie veneree, o di AIDS, o di infezioni? Che cosa può venir di buono da una di quelle, che cosa può venir di buono da un tossicodipendente, che cosa può venir di buono da quegli atei?
Pur riparato da scudi, non vien meno il buon cuore. Ma non basta. Bisogna cambiare il modo di pensare.
Alla logica del dono che pure è una logica grandissima, splendida, dobbiamo sostituire la logica dello scambio.
Don Tonino è convinto che noi, specialisti nel dare a senso unico, non abbiamo ancora fatto nostra la capacità di ricevere. La logica dell'accoglienza non l'abbiamo ancora appresa.
Alla sua comunità, che pure non ha lesinato impegno nell'accoglienza, ricorda che questa non si esaurisce in una formale, quanto necessaria, risposta ai bisogni.
Concedere spazio conta poco, se non si sa offrire del tempo. Il tetto non copre: ci vuole un lembo di vita. La minestra non scalda: occorre un alito umano. Dare un letto non basta, se non si sa dare la buona notte.
Chi viene accolto deve avvertire il calore di essere parte della famiglia.
Quel vescovo sente di dover chiedere perdono a ciascun migrante per come viene trattato: senza nome, senza volto, senza identità, senza storia. Chiamato "marocchino" anche se col Marocco non ha nulla da spartire. Scrivendo, cerca di attenuare la forza dispregiativa del nostro linguaggio: tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!
La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o dell'isola di Capoverde. A che serve! Per il teatro delle sue marionette ha già ritagliato una maschera su misura per te. Con tanto di nome: marocchino. A ognuno chiede perdono per non essere stato accolto con dignità, per non essere stato compreso, per essere costretto a vivere in una condizione di sfruttato, per il silenzio dinanzi ai suoi diritti calpestati. E soprattutto chiede perdono, come italiano, che pur appartenendo a un popolo che ha sperimentato l'amarezza dell'emigrazione, non abbiamo usato misericordia verso di te. Anzi ripetiamo su di te, con le rivalse di una squallida nemesi storica, le violenze che hanno umiliato e offeso i nostri padri in terra straniera.
Accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Ovvero: condividere. In queste dinamiche il Papa individua il percorso di riconciliazione col migrante e, più ancora, con la nostra stessa umanità. Don Ciotti racconta ciò che ha visto. Mohammed, Tonino Bello lo ha conosciuto proprio quando mi stava accompagnando a un incontro che aveva promosso lui stesso nella diocesi. In quella giornata si era messo a nevicare. Lungo la strada, tra neve e pioggia, abbiamo incontrato Mohammed bagnato. Era una maschera di acqua e tremava per il freddo. Tonino ha accostato la macchina e siamo scesi. Abbiamo salutato Mohammed. Lui con quella sua capacità diretta gli ha chiesto, con parole evangeliche: "Dove abiti?". Mohammed ha fatto vedere una masseria con mezzo tetto crollato che, però, il proprietario si faceva pagare molto bene. Siamo andati nel fango, sotto l'acqua che bagnava quei quattro stracci in quella masseria, dove abbiamo incontrato tanti amici di Mohammed. Io poi sono partito. Ho scoperto, anni dopo, che Tonino Bello, quella notte, è andato a dormire in quella masseria.