Nuclear Sharing o TPNW? La difficile scelta dell'Italia.
Il 22 gennaio 2021, come tutti ben sappiamo, è entrato in vigore il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) che rende l'utilizzo e il possesso di tali armi illegale e non più solo immorale. Questo Trattato è un passo fondamentale verso la costruzione di un mondo libero dalle armi nucleari.
Si fonda sull'idea che tali armamenti minino i diritti umani e siano fonte di conflitto. Proibisce, inoltre, agli Stati non-nucleari di ospitare testate nucleari di altri Paesi. Quest'ultimo divieto non era presente nel Trattato di Non Proliferazione Nucleare firmato nel 1968 e costituisce un'importante novità. L'obiettivo è di rendere illegale il sistema di nuclear sharing costituito dagli Stati Uniti in Europa all'interno del quadro della NATO negli anni Sessanta. Nessun paese dell'Alleanza Atlantica ha firmato il nuovo Trattato ed è difficile che lo faccia nell'immediato futuro. L'Italia è quindi purtroppo rimasta fedele alla linea decisa in sede NATO non partecipando nemmeno ai negoziati avvenuti nel 2017 in seno alle Nazioni Unite.
Copertura reciproca
La scelta dell'Italia è frutto dell'adesione del nostro Paese al sistema di condivisione nucleare statunitense. Il nuclear sharing è un concetto politico elaborato all'interno del quadro NATO di deterrenza nucleare, che coinvolge i Paesi membri nucleari e non dell'Alleanza nell'uso di armi nucleari. Nasceva come meccanismo per evitare la proliferazione di tali armamenti in Europa ma, successivamente, gli Alleati hanno compreso i vantaggi politici e militari di questo sistema rendendolo permanente. Oggi, cinque Stati non nucleari – Turchia, Italia, Belgio, Germania e Paesi Bassi – hanno accordi segreti bilaterali di cooperazione nucleare con gli Stati Uniti e ospitano sul loro territorio testate nucleari americane. Tramite il nuclear sharing gli Stati possono godere della protezione dell'ombrello nucleare degli Stati Uniti condividendo benefici, responsabilità e rischi all'interno del Nuclear Planning Group. Tutte le potenze non nucleari della NATO possono partecipare alla pianificazione nucleare e ai processi di consultazione identificando i target e discutendo sulla possibilità di usare armi nucleari. Grazie a una ristretta interpretazione statunitense del Trattato di Non Proliferazione Nucleare il sistema non viola ufficialmente il diritto internazionale, ma è importante sottolineare come, in caso di guerra nucleare, gli Stati non nucleari parte del sistema di nuclear sharing, come l'Italia, si trasformerebbero in effettive potenze nucleari. Questo è possibile perché, secondo l'Alleanza, in caso di conflitto nucleare, il Trattato del 1968 non sarebbe più valido e il conseguente trasferimento del controllo delle testate dagli Stati Uniti ai Paesi ospitanti sarebbe consentito. In base ai protocolli NATO, in tempo di pace le testate statunitensi rimangono sotto il controllo delle forze americane, mentre in caso di guerra il Presidente statunitense può autorizzare i Paesi europei non nucleari ad assumere il controllo delle testate. Da quel momento gli Alleati hanno il pieno controllo dell'arma e la responsabilità di colpire il bersaglio.
Alleanze
Il regime di nuclear sharing attualmente esistente sembra non avere più una funzione militare, ma piuttosto politica e simbolica: è un simbolo del legame che, durante la Guerra fredda, ha unito gli Stati Uniti e gli Alleati europei. L'attuale funzione fondamentale delle armi nucleari è quindi di riaffermare l'indivisibilità dell'Alleanza.
Secondo il Bullettin of the Atomic Scientists di novembre 2019, elaborato da Hans M. Kristensen, l'Italia ospiterebbe circa quaranta testate nucleari, venti nella base di Aviano (PN) e venti a Ghedi Torre (BS). Oggi, il nostro Paese possiede 69 aerei Tornado, in grado di trasportare le testate nucleari, che verranno sostituiti dai cacciabombardieri F-35 nel prossimo futuro. Ci viene spontaneo chiederci perché l'Italia abbia scelto di ospitare testate nucleari statunitensi. In primo luogo, le scelte italiane sono in larga misura una risposta agli stimoli del sistema internazionale: con la nuclearizzazione della NATO si è creata una divisione tra Paesi nucleari e non e l'Italia temeva di essere esclusa dai circoli del potere, soprattutto dopo la sua sconfitta nella Seconda guerra mondiale. Alla base di questa scelta c'era, quindi, l'ambizione di raggiungere e mantenere un rango paritario con le altre potenze europee, attraverso l'appartenenza all'esclusiva cerchia ristretta di Stati che prendono le grandi decisioni di politica internazionale. Oltre alla prospettiva dello status, un secondo elemento chiave era l'intenzione dei governi italiani di assicurarsi un reale potere decisionale. In caso di guerra nucleare, l'Italia voleva giocare un ruolo attivo nelle decisioni cruciali, piuttosto che accettare passivamente le scelte di altri membri dell'Alleanza. Inoltre, nel contesto della Guerra fredda, ospitare le armi statunitensi avrebbe ribadito quanto fosse solida e inequivocabile la posizione filoccidentale dell'Italia di fronte a tutti i partiti e le forze politiche – in particolare il Partito Comunista Italiano. Infine, il governo italiano vedeva il nuclear sharing come un modo per avere a disposizione un arsenale nucleare senza gli onerosi costi del programma nucleare.
Se da un lato il nuclear sharing garantisce al nostro Paese di ricoprire un ruolo importante all'interno dell'Alleanza dall'altro pesa fortemente sulle casse italiane. L'Italia ha un budget nucleare che non è pubblico, tuttavia, la stima del costo del mantenimento delle testate statunitensi in Italia è di circa cento milioni di euro l'anno, considerando la gestione delle strutture, i sistemi di protezione e stoccaggio degli ordigni e la manutenzione degli aerei per il loro utilizzo. A questi numeri vanno aggiunti i costi sostenuti nell'acquisto dei cacciabombardieri F-35. L'Italia non ha ancora reso noto quanti F-35 verranno assegnati alle missioni nucleari e Kristensen stima che possano essere tra i 15 e i 30 velivoli. Inoltre, la Corte dei conti ha stimato che venti F-35 costino circa 2,3 miliardi di euro. La stessa Corte ha calcolato che mantenere gli F-35 costerà all'Italia 7,7 miliardi di euro in 30 anni. Se sommiamo i costi di produzione con quelli di mantenimento arriviamo a circa 10 miliardi di euro (quattro volte il contributo italiano alle Nazioni Unite che nel 2019 è stato di 78 milioni di euro). Oltre a queste spese, l'Italia versa alla NATO l'8,14% dei contributi indiretti che nel 2019 ammontava a circa 136 milioni di euro. In aggiunta, ci sono contributi indiretti alla difesa comune, cioè costi sostenuti a supporto delle 59 basi americane sul territorio italiano (la cifra esatta non è pubblica). A tutte queste spese vanno aggiunte quelle per l'addestramento dei piloti, la manutenzione delle basi e gli equipaggiamenti.
Sicurezza?
L'Italia oggi non percepisce più una grande minaccia alla sua sicurezza, come nel periodo della Guerra fredda, e questa le sarebbe garantita anche senza il regime di nuclear sharing. Tuttavia, ad oggi, i Paesi europei della NATO preferiscono rimanere sotto l'ombrello nucleare statunitense piuttosto che aderire al Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, nonostante si siano impegnati ad arrivare a un disarmo nucleare generalizzato come Stati firmatari del Trattato di Non Proliferazione Nucleare. La NATO ha affermato che, finché al mondo esisteranno le armi nucleari, rimarrà un'alleanza nucleare. Ne deduciamo che molto difficilmente ci sarà un cambio di rotta nel prossimo futuro e sta quindi ai singoli Paesi allontanarsi dalle decisioni atlantiche per promuovere il progetto di un mondo libero dalle armi nucleari. Uscire dal sistema di nuclear sharing potrebbe non essere semplice – oltre al fatto che non è mai avvenuto – ma l'Italia deve scegliere se vuole continuare a seguire la volontà statunitense o se assumersi le responsabilità degli obblighi internazionali sottoscritti e iniziare veramente a "ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", come stabilito dall'articolo 11 della nostra Costituzione.
===================
Le cifre indicate nell'articolo in merito al budget nucleare italiano sono tratte dal Report Il prezzo dell'atomica sotto casa (Sofia Basso, GreenPeace, novembre 2020) e da Report annuale sulle spese militari italiane - anno 2018 (Piovesana, Enrico, e Francesco Vignarca, Mil€x, febbraio 2018).