La difesa allargata del governo Draghi: dai confini nazionali al Mediterraneo, dai nuovi armamenti a droni e missili. E SeaFuture 2021, il restyling della fiera d'armi.
Mario Draghi ha gettato la maschera. E, senza troppi giri di parole, ha rivelato cosa si nasconde sotto l'aplomb istituzionale del governo di "unità nazionale": la nuova corsa al riarmo dell'Italia.
"Ci dobbiamo dotare – ha detto Draghi nella conferenza stampa del 29 settembre scorso – di una difesa molto più significativa, e bisognerà spendere molto di più nella difesa di quanto fatto finora, perché le coperture internazionali di cui eravamo certi si sono dimostrate meno interessate nei confronti dell'Europa".
Mediterraneo allargato
Il concetto di difesa che viene proposto non si limita ai confini nazionali, bensì si espande fino al cosiddetto "Mediterraneo allargato": una aerea che comprende tutta la zona del Sahel, i Paesi del Medio Oriente e si estende fino al Mar Caspio. Questa vasta zona viene definita "strategica per la politica estera italiana" e di "preminente interesse nazionale" sia per le risorse energetiche e le linee di approvvigionamento di cui dispone, sia per le questioni che riguardano la stabilità regionale, la sicurezza internazionale e, non da ultimo, la gestione del fenomeno migratorio.
È in questo contesto che va inquadrata la "Direttiva per la politica industriale della Difesa" emanata lo scorso luglio dal ministro Guerini. Come esplicita il ministro della Difesa, l'Italia deve "disporre di uno strumento militare in grado di esprimere le capacità militari evolute di cui il Paese necessita per tutelare i propri interessi nazionali", per dare impulso "al consolidamento del vantaggio tecnologico e, quindi, della competitività dell'industria nazionale di settore". È una novità assoluta non solo perché è la prima direttiva in materia di politica industriale-militare emanata del dopoguerra, ma soprattutto perché definisce un inusitato rapporto tra industria e forze armate: le sinergie tra la Difesa e l'industria militare travalicano infatti le consuete esigenze di modernizzare gli strumenti militari e vengono rese funzionali alla "proiezione internazionale" dell'Italia. Da qui la necessità, come spiega sempre Guerini, di superare il rapporto tra le Forze Armate e l'industria di tipo "cliente-fornitore" per favorirne la sinergia come "Sistema Difesa" finalizzata, tra l'altro, alla "proiezione sui mercati esteri" degli armamenti.
Droni Reaper
Le applicazioni di questa strategia si sono viste nelle scorse settimane quando è trapelata la notizia degli stanziamenti per armare i droni Reaper (falciatore) in dotazione al 32° Stormo di Amendola di Foggia. Il Documento Programmatico Pluriennale 2021-2023 prevede infatti un investimento di 168 milioni di euro, con una prima tranche di 59 milioni distribuiti in 7 anni, per "adeguamento del payload MQ-9", dove MQ-9 è la sigla che indica i droni Reaper e "payload" è il tecnicismo che nasconde la vera natura del "carico utile" (payload): i missili aria-terra Agm Hellfire, le bombe a guida laser GBU-12 Paveway o, in alternativa, le bombe a guida Gps CPU 38 Jdam.
"In questo modo – ha commentato con una nota Rete italiana pace e disarmo – i droni italiani verranno trasformati da strumenti di sorveglianza e rilevamento a sistemi da utilizzarsi direttamente in conflitto": detto più semplicemente, da meri ricognitori a veri bombardieri. Si tratta di un sistema d'arma che ha cambiato drasticamente il volto della guerra, rendendolo più complesso, opaco e rischioso soprattutto per i civili: contrariamente a quanto viene propagandato, diverse stime indicano che gli "effetti collaterali", cioè le vittime civili delle azioni militari effettuate con droni armati sono molto alte, in alcuni casi fino al 90%". Ma soprattutto l'impiego di droni armati non è regolato da nessuna normativa internazionale e nazionale e, proprio per questo, Rete pace e disarmo ha chiesto al Governo di fornire tutti i chiarimenti sulla decisione presa dal Ministero della Difesa e al Parlamento di aprire con urgenza un confronto sull'ipotesi di armamento dei droni.
Missili Cruise
Non solo. La Marina Militare italiana ha in progetto di dotare di missili Cruise i futuri sottomarini U212-Nfs e anche le nuove fregate Fremm. Lo ha rivelato il Capo di Stato maggiore della Marina Miliare, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, spiegando l'esigenza di migliorare gli strumenti di – si noti l'eufemismo – "naval diplomacy". I missili Cruise di fatto servono a moltiplicare il raggio d'azione dei sistemi d'attacco con una portata di oltre mille chilometri aumentando la capacità di deterrenza contro minacce d'ogni tipo: la possibilità di intervento si allargherebbe fino a includere l'intero territorio libico, con una proiezione quasi illimitata. "Una rivoluzione – ha commentato Gianluca di Feo su "la Repubblica": attualmente i missili Otomat arrivano al massimo a duecento chilometri di distanza e sono solo in dotazione alle unità di superficie". Non è ancora chiara la specifica tipologia di missili che verrebbero adottati e nemmeno il costo (si parla di un milione di dollari a missile), ma un fatto è certo: i Cruise statunitensi, con testate nucleari, sono i missili noti per essere stati installati dal 1983 al 1991 nella base NATO di Comiso in Sicilia. Sono i missili contro cui si mobilitò il movimento pacifista negli anni Ottanta.
Seafuture
Nel frattempo, a fine settembre è andata in scena all'Arsenale militare di La Spezia la fiera militare-navale italiana "SeaFuture 2021". Il salone, inaugurato in pompa magna dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ha visto la partecipazione di 47 delegazioni di Marine Militari di Paesi esteri e di 15 capi di Stato Maggiore. Nel corso degli anni il salone spezzino ha radicalmente mutato la sua fisionomia: da evento ideato nel 2009 come "la prima fiera internazionale dell'area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare" che si teneva a SpeziaExpò, a partire dalla quarta edizione del 2014 l'evento è stato trasferito all'Arsenale Militare e ha assunto sempre più i connotati di un salone navale-militare per promuovere il "defence refitting" e gli affari delle aziende del settore "difesa e sicurezza": il tutto ammantato di sostenibilità ambientale e "blu economy".
Non a caso i principali sponsor di "SeaFuture 2021" sono proprio i colossi a controllo statale del comparto militare come Fincantieri (Strategic sponsor), Leonardo (Platinum sponsor) e MBDA (Gold sponsor) e la principale attrazione di Seafuture 2021 non sono state certo le tecnologie sostenibili, bensì il supermissile Teseo Mk2/E sviluppato dalla MBDA per la Marina Militare.
Seafuture 2021 si propone ormai chiaramente come una fiera militare, di fatto l'unica fiera militare in Italia. Nel silenzio generale ha così sostituito la "Mostra navale italiana", ovvero la "Mostra navale bellica" che si è tenuta a Genova negli anni Ottanta e che fu fatta chiudere grazie alla massiccia opposizione del movimento pacifista. Lo ha denunciato con forza anche quest'anno il Comitato "Riconvertiamo Seafuture" sostenuto da 25 realtà locali e una ventina di associazioni nazionali (tra cui Pax Christi Italia) che ha manifestato la propria opposizione davanti all'Arsenale militare.
Movimento pacifista
Non sono questioni di poco conto. Insieme all'incremento delle spese militari e ai nuovi tentativi di riscrivere la legge 185/90 per adeguarla "alle rinnovate esigenze dell'industria militare" indicano non solo un cambio di passo, ma un radicale mutamento della politica estera e di difesa dell'Italia. Una vera metamorfosi, in corso da anni, che sta avvenendo nel silenzio generale della politica e che, proprio per questo, le associazioni pacifiste non possono ignorare. A venti anni dalla violenta repressione subita al G8 di Genova è venuto il tempo di ritessere le fila, di superare frammentazioni e individualismi ed affrontare a viso aperto i nuovi scenari di militarizzazione e di guerra. C'è bisogno non solo di un'agenda pacifista, ma del movimento pacifista.
Oggi più che mai.
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