Qualifica Autore: scrittore e insegnante

Didattica a distanza: come entrare nella vita delle persone?

 

La scuola, come la viviamo nella sua concretezza, non è un evento prodotto dalla natura. Si tratta di un'invenzione umana, frutto di una faticosa conquista che le generazioni trascorse hanno elaborato.

Ecco perché non dovremmo avere nei suoi confronti atteggiamenti disinvolti e sbrigativi. Chiamare un maestro a parlare a un gruppo di allievi determina una serie di conseguenze anche cognitive di straordinaria rilevanza. Noi dobbiamo stare zitti, lui deve spiegare. Noi siamo tanti, lui è uno solo. Noi non sappiamo, lui sa. Questa convenzione è il modo in cui gli esseri umani hanno pensato di trasmettere la tradizione culturale. Sedersi al banco ad ascoltare il docente ci predispone a una particolare sequenza di atti mentali che non dovremmo dare per scontati.

Tentare di modificare anche soltanto un solo fattore di questo meccanismo equivale a entrare in un terreno sconosciuto. Se, ad esempio, proviamo a cambiare lo spazio fisico in cui avviene l'apprendimento, mettiamo in moto una macchina che magari nella famigerata lezione frontale, di norma, resta inattiva. La didattica on line ha giocoforza alterato un sistema secolare penetrando di soppiatto all'interno di processi logici che, sbagliando, credevamo inamovibili.

Relazioni

Diciamo spesso che la scuola non dovrebbe essere un luogo separato dalla vita, ma di fatto lo è sempre stato e continua ad esserlo. Tuttavia gli incontri personali che vi si realizzano possiedono una caratteristica intensità emotiva, tale da far entrare in tensione la struttura che li ospita, in quanto ognuno viene chiamato a misurarsi su di essa: entrare in orario, sedersi al posto assegnato, rispettare l'insegnante, fare la ricreazione, chiedere il permesso per andare al bagno, prendere appunti. Questo attrito fra le idiosincrasie individuali e le norme di condotta generali rappresenta la vera essenza dell'istruzione, in quanto comporta una mediazione suggestiva fra ciò che vogliamo e ciò che siamo.

Miracoli

Fra i miracoli della didattica a distanza c'è stato anche quello di Sam, profugo iraniano, richiedente asilo politico, sordo dalla nascita, ex imprenditore col pallino della moda, che ha imparato l'italiano grazie all'aiuto di un volontario della scuola Penny Wirton, coadiuvato da una ragazza esperta nella Lis (la lingua dei segni). Lei si chiama Maria: per dire il suo nome incrocia le mani sul petto. Questa è una convenzione internazionale che consente a tutti di capire: compresi i musulmani. Invece per connotare il docente bisogna aggiungere il segno degli occhiali. Lo studente eseguiva gli esercizi che avevamo preparato apposta. A noi sembrava un'operazione azzardata. Lui la considerava naturale. È stato tutto un gioco di sguardi, intese e ammiccamenti, fra immagini, parole, sorrisi e cenni di approvazione. Col drive si condividevano lettere e disegni. Quante energie abbiamo utilizzato! E quante buone volontà si sono incrociate volando nello spazio informatico!

Da un paesino nei pressi di Catania spuntava Samu, un ragazzo speciale: seduto in terrazza sulla carrozzina, gli bastava poco per spiegare a Sayed, egiziano minorenne non accompagnato che in quel momento abitava a Torino dove frequentava un corso per pizzaiolo, l'uso dei nomi e dei verbi. A un certo punto si presentò la zia: anche lei voleva partecipare alla lezione interattiva. Insieme a Francesca, in collegamento da Roma, Samu invitava il ragazzo arabo a raccontare la sua storia, abbozzare un commento, costruire una frase. Sulla verde icona di WhatsApp compariva l'Etna dietro al balcone, la Garbatella oltre i palazzi della capitale, la Mole Antonelliana sullo sfondo. La nostra lingua si è trasformata, da una parte all'altra dello Stivale, in un fantastico ponticello sopraelevato.

 

L'incontrotra Adjo, Fulvio e Sveva

Insegnare così significa entrare nella vita delle persone: non solo quella di chi deve imparare, anche la nostra. Durante la fase più difficile della pandemia, abbiamo coinvolto centinaia di persone in numerose città affiancando al lavoro dei docenti quello degli studenti delle medie superiori. Credo che queste esperienze ci servono anche ora tornati tutti in presenza, una condizione ovviamente insostituibile. Ma dobbiamo riuscire a metterle in circolo facendole diventare strutturali. Soprattutto siamo chiamati a non disperdere il patrimonio tecnico ed emozionale che si è formato durante l'emergenza. Ad esempio, Fulvio, nostro volontario, ha lavorato con Adjo, una ragazza africana del Togo il cui nome significa lunedì, giorno della sua nascita. Lei teneva in braccio il bambino piccolo di pochi mesi che scalpitando entrava e usciva dallo schermo, incapace di star fermo, finché a un certo punto s'addormentava. Ad aiutare la mamma nell'apprendimento c'era Sveva, del liceo “Pilo Albertelli” di Roma, la quale svolgeva in questo modo il proprio tirocinio formativo.

Tre esperienze entravano a confronto: quella dell'adulto che, facendo volontariato, scopriva il valore del gesto gratuito; quella della liceale che, se non avesse avuto questa occasione, non avrebbe mai potuto conoscere una ragazza poco più grande di lei già segnata dalla vita; quella dell'immigrata, impegnata ad apprendere gli ingranaggi espressivi necessari per integrarsi nella società italiana. Ne scaturiva un nucleo di resistenza umana e culturale che non dovrebbe passare inosservato.

Sullo schermo scorreva il testo di un racconto che Adjo leggeva passo passo mentre Sveva controllava e correggeva la pronuncia. Io, dopo qualche battuta iniziale per conoscere i protagonisti dell'impresa scolastica, mi limitavo ad assistere dall'esterno. Durante la lettura l'allieva coscienziosa chiedeva il significato di certi termini: cosa vuol dire “crociera”? Sveva era brava a semplificare: una vacanza in barca. E così sullo sfondo compariva il contrasto insanabile, plasticamente rappresentato sulla piattaforma digitale, fra chi paga fior di quattrini per trastullarsi in mare e chi invece rischia di affogare nel tentativo di sbarcare sulle nostre coste. Inevitabile andare con la mente alla giovane mamma che – tutti la ricordiamo – al largo di Lampedusa, gridò disperata dal gommone alla ricerca del neonato scomparso nei flutti: “I lose my baby!”.

Credo che noi insegnanti osservando Adjo mentre imparava l'uso dei verbi e dei nomi col figlioletto attaccato al collo, avremmo voluto idealmente ripescare il piccolo naufrago per restituirlo a sua madre. Purtroppo nella realtà non è stato possibile ma in futuro, quando torneremo a scrivere e leggere guardandoci negli occhi e battendoci la mano sulle spalle, se non dimenticassimo l'intensità emotiva trascorsa sullo schermo del tablet dalla rifugiata africana alla liceale italiana impegnata a sostenerla nello studio della nostra lingua, avremmo compreso, al di là di ogni distinzione, ciò che dovrebbe davvero essere la scuola.

 

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Eraldo Affinati, La città dei ragazzi, Mondadori 2008

Id., Elogio del ripetente, Mondadori 2013

Id., L'uomo del futuro. Sulle strade didon Lorenzo Milani, Mondadori 2016

Id., Via dalla pazza classe, Mondadori 2019

Id., Il Vangelo degli angeli, HarperCollins 2021