La linea sottile tra pace e conflitto.
Hoy empieza la Colombia de lo posible (oggi comincia la Colombia del possibile, ndr). Sono queste le prime parole con cui Gustavo Petro ha dato il via al suo mandato il 7 agosto scorso.
Al di là di ogni retorica, il risultato elettorale di giugno è senza ombra di dubbio un evento storico: Petro è il primo presidente di sinistra della Colombia e Francia Márquez, al suo fianco, la prima vicepresidente donna di colore. Il Paese, si sa, è stato da sempre nelle mani dell'élite conservatrice che, anche questa volta, ha fatto il possibile per rimanere al potere, facendo leva su divisioni ben radicate all'interno del Paese. Il risultato non era per niente scontato, ma il desiderio di voltare pagina, soprattutto dopo gli anni di Ivan Duque, era nell'aria.
Commissione verità
Il cambio di passo è stato avvertito da molti, complice il clima di speranza generato dalla conclusione del lavoro della Commissione Verità che, a pochi giorni dal risultato elettorale, ha restituito alle vittime il suo rapporto finale per chiarire quanto successo negli ultimi sessant'anni di storia del Paese e per riparare moralmente il danno causato all'intero corpo sociale.
Hay futuro, si hay verdad (c'è futuro, se c'è verità, ndr) è il titolo scelto per il rapporto, che già di per sé mostra l'orientamento di fondo dell'articolata ricostruzione proposta dalla Commissione. Più che rivolgersi al passato, essa intende radicare il suo messaggio di verità nel presente, con la speranza che questo possa proiettarsi nel futuro del Paese. Senza farsi troppe illusioni e per sua stessa ammissione, la Commissione ha comunque riconosciuto che il rischio di inciampare in una pace imperfetta non può essere escluso.
Petro ha ereditato dal suo predecessore una situazione non facile. Dunque, ha rappresentato essenzialmente un ritorno di un certo uribismo, soprattutto in riferimento a temi come la sicurezza democratica e il reinserimento delle guerriglie nella vita civile, verso le quali il governo ha mostrato tutta la sua intransigenza potendo contare sull'appoggio di quella parte del Paese che nel 2016 aveva bocciato i termini dell'accordo di pace firmato all'Avana.
L'espressione "pace nel conflitto" è sicuramente quella che più si addice a descrivere gli anni che precedono la vittoria elettorale di Petro, attraversati, tra l'altro, dall'emergenza pandemica e da diversi e prolungati scioperi che hanno interessato quasi tutto il Paese. In questo contesto, la mancata implementazione di diversi punti dell'accordo di pace pesa, sul nuovo governo, come un macigno, non solo per i ritardi accumulati, ma anche per il procrastinarsi di forme di violenza che in Colombia, si sa, non fanno fatica a riadattarsi, soprattutto nei territori dove è più forte la presenza degli attori che storicamente hanno tratto beneficio e alimentato il conflitto.
Primi indizi
Nei suoi primi cento giorni di governo, Petro ha già aperto molti fronti dando indizi chiari della strada che intende percorrere a livello nazionale e internazionale. Alcuni passi sono stati già compiuti in direzione del disgelo dei rapporti con Venezuela e Cuba, della riformulazione delle relazioni con gli Stati Uniti e del sostegno alla sinistra latino-americana, ecologista, femminista e multietnica, che Petro ha voluto rappresentare nell'ultima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Sharm el-Sheikh. Nel suo intervento il Presidente colombiano non si è limitato soltanto a sollecitare l'impegno della comunità internazionale per salvare l'Amazzonia, come del resto hanno fatto anche altri capi di Stato latinoamericani, Lula in primis. Petro è andato ben oltre: ha presentato una posizione anti-estrattivista che punta a un mondo senza carbone e senza petrolio. Un messaggio quasi inatteso che potrà avere forti ripercussioni nazionali e internazionali, soprattutto se si pensa alle scelte di politica economica che la Colombia ha adottato negli ultimi decenni, improntate prevalentemente sull'uso irrazionale delle risorse naturali a vantaggio quasi esclusivo delle imprese multinazionali.
Su questa stessa linea, Petro ha inoltre annunciato di voler riformare il codice minerario a favore di una maggiore regolamentazione delle licenze concesse alle imprese. Oltre ad essere un settore strategico per l'economia del Paese, la minería è anche un naturale generatore di conflitti che negli ultimi anni è costato la vita a numerosi leader comunitari e difensori dei diritti umani, divorando, al contempo, una buona parte della biodiversità del Paese.
Non resta che fare riferimento, sul versante del conflitto, al tema della paz total, un concetto creato dal governo per trasformare la ricerca della pace in una politica di Stato. Con la legge approvata a novembre, Petro intende avviare negoziati con l'Eln, i dissidenti delle Farc e le bande criminali, come il Clan del Golfo, i cui componenti potranno evitare l'estradizione e ricevere sconti di pena in cambio della rivelazione delle rotte di esportazione della cocaina e della consegna di parte delle loro fortune ottenute illegalmente. Si inverte, così, la logica di ciò che è stato finora il processo di pace, inteso come dialogo tra un governo e un solo gruppo armato a un tavolo negoziale.
Verso il cambiamento
Anche se dovranno essere verificate nel tempo, le premesse per il cambiamento sembrano essere promettenti. Restano, comunque, delle incertezze di fondo che costituiscono il vero banco di prova per il nuovo governo. Ne è un esempio proprio il dibattito recente sulla pace totale in seno al Congresso che ha finito per dare un'interpretazione limitata al conflitto, soprattutto se paragonata alla lettura fornita dalla Commissione verità. Se l'obiettivo è quello di porre un freno alla tendenza, ben radicata nel Paese, di mantenere invariata l'impalcatura che produce la violenza, l'essenza del conflitto non può continuare ad essere elusa.
Ricordiamo che la particolare combinazione di conflitto armato interno e conflitto socioeconomico ha reso possibile la coesistenza nel Paese di repressione e democrazia, conflitto e pace, violazione dei diritti umani ed evoluzione delle istituzioni chiamate e farsene carico. L'oggetto di disputa che ancora oggi divide la Colombia è proprio la diversa concezione di Stato, democrazia, sviluppo, società e pace. Non è dunque possibile pensare che il silenzio dei fucili sia sufficiente per la paz de todos y para todos.
Le interferenze a una pace stabile e duratura potrebbero continuare a produrre vecchie e nuove forme di violenza che sono maggiormente diffuse nelle aree dove todo se negocia: il territorio, le risorse, la vita delle persone e il futuro stesso del Paese. Tali interferenze rendono, inoltre, visibile la fragilità istituzionale dello Stato che il modello economico neoliberale ha contribuito ad accrescere negli ultimi decenni. Si comprende come il rischio della banalizzazione della pace sia ancora elevato. Proprio perché molte proposte delle vittime e delle forze sociali hanno riguardato la riforma dello Stato e del modello produttivo, la Commissione Verità ha considerato imprescindibile, tra le sue raccomandazioni, che un progetto di convivenza e di non ripetizione arrivi a coinvolgere le istituzioni, i piani di governo, la cultura e, aggiungiamo, l'economia.
Ci auguriamo che quello di Petro sia il primo passo in questa direzione.
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Le vittime
Secondo la Commissione per la chiarificazione della verità in Colombia, tra il 1985 e il 2018 sono state 450.664 le persone che hanno perso la vita a causa del conflitto armato. Se si tiene contro del sub-registro delle denunce, la stima delle vittime di omicidi può arrivare a 800.000 vittime. Il 45% dei casi (202.293 vittime) si è registrato tra il 1995 e il 2004. Autori dei delitti sono i gruppi paramilitari, i gruppi della guerriglia e gli agenti statali. Circa la "geografia del conflitto", i dipartimenti più colpiti dal conflitto sono stati Antioquia, con 125.980 vittime (28 %), Valle del Cauca, con 41.201 vittime (9,1 %), Nord di Santander, con 21.418 vittime (4,8% %), Cauca, con 19.473 vittime (4,3 %) e Cesa, con 16.728 vittime (3,7 %).
Fonte: Osservatorio Diritti, "Colombia: la Commissione per la verità fa luce sulla storia della guerra civile", a cura di Diego Battistessa, 20 Luglio 2022