Qualifica Autore: Missionario comboniano, già direttore dell’agenzia stampa Misna

Desmond Tutu, testimone di nonviolenza.

 

La figura di Desmond Mpilo Tutu, arcivescovo anglicano ed esponente di spicco nella lotta nonviolenta contro l'apartheid in Sudafrica, passerà alla storia. La sua recente scomparsa, avvenuta lo scorso 26 dicembre, rappresenta una grave perdita non solo per il popolo sudafricano, ma anche per la società civile a livello internazionale.

Chi scrive ebbe modo di incontrarlo alcuni anni or sono a Città del Capo e rimase fortemente colpito dalla sua determinazione a non scendere a compromessi e soprattutto dalla forza del suo pensiero. "Quando si manifestano situazioni di ingiustizia – disse – indipendentemente dal governo di turno, bianco o nero che sia, la neutralità è inaccettabile. Essere silenti di fronte alle ingiustizie significa stare dalla parte dell'oppressore".

 Nonviolenza

Egli era fermamente convinto, col cuore e con la mente, che l'unica strategia per essere davvero vincenti di fronte all'oppressore fosse la lotta nonviolenta. In God Has a Dream: A Vision of Hope for Our Time, che pubblicò nel 2004, spiegò molto bene questo concetto: "Quando vediamo gli altri come nemici, rischiamo di diventare ciò che odiamo. Quando opprimiamo gli altri, finiamo per opprimere noi stessi. Tutta la nostra umanità dipende dal riconoscimento dell'umanità negli altri", precisando che "È attraverso la debolezza e la vulnerabilità che la maggior parte di noi impara l'empatia e la compassione scoprendo la propria anima".

Per comprendere a fondo il suo pensiero è importante considerare il patrimonio di saperi ancestrali della sua terra natia, il Sudafrica, che egli seppe ben coniugare con le istanze della Parola di Dio. La sua filosofia di vita si è infatti sempre ispirata al pensiero "Ubuntu". Si tratta di un concetto filosofico della tradizione bantu, dalla forte valenza sociale, presente, ad esempio, nelle lingue dei popoli Zulu e Xhosa. Se provassimo a tradurre questa espressione in Italiano, potremmo dire: "io sono perché tu sei", "una persona diventa umana attraverso altre persone", "una persona è una persona a causa di altre persone".  Ecco perché a quelle latitudini dell'Africa australe si dice: "umuntu, nigumuntu, nagamuntu", che, nella lingua Zulu, significa: "Una persona è una persona a causa di altri", affermando così la centralità della relazione umana dal punto di vista ontologico.

Per rendere intelligibile quanto sia forte la dimensione relazionale all'interno di queste culture di ceppo bantu (plurale di muntu nell'accezione di essere umano), è utile evocare un aneddoto raccontato da Lia Diskin, vincitrice del premio UNESCO 2006 per i diritti umani e la cultura della pace. La studiosa brasiliana racconta che un giorno, in Sudafrica, un antropologo decise di mettere un cesto pieno di frutta vicino a un albero, dicendo poi a un gruppo di ragazzi che chi tra loro fosse arrivato prima  avrebbe vinto tutti i frutti. Quando diede il segnale, tutti i bambini si presero per mano e corsero insieme, poi si misero in cerchio per godere comunitariamente il premio promesso. Successivamente, lo studioso chiese il motivo per cui avevano evitato la competizione, e tutti risposero insieme: "Ubuntu!".

Ubuntu

Nel saggio No Future Without Forgiveness, pubblicato nel 2000 Tutu ha scritto: "Una qualsivoglia persona che fa l'esperienza di Ubuntu è aperta e disponibile nei confronti degli altri e riconoscendoli non si sente minacciata dal fatto che gli altri siano valenti e buoni, perché ha quella sicurezza interiore che deriva dal sapere di appartenere a un tutto più grande, e che siamo feriti quando gli altri sono umiliati o feriti, torturati o oppressi". Una visione, dunque, della società, quella di Tutu, senza divisioni e nella quale ogni persona è chiamata a svolgere un ruolo importante. Da qui l'attenzione che Tutu diede ad ogni genere di alterità, esprimendo così un'istintiva e naturale tensione verso la pace. Questo fu il fondamento della nuova nazione sudafricana "Arcobaleno", termine che egli stesso coniò per scongiurare la vendetta da parte della maggioranza afro nei confronti della minoranza bianca dopo la caduta del regime segregazionista di Pretoria.

L'impegno nonviolento di Tutu per affermare l'agognato cambiamento affondava le radici nel suo passato, tant'è vero che già nel 1984, ben prima della fine dell'apartheid, venne premiato con il Nobel per la Pace per il suo "ruolo come figura unificante nella campagna per risolvere il problema dell'apartheid in Sudafrica". Fu proprio lui l'ideatore nel 1995 della Commissione Verità e Riconciliazione, con l'intento dichiarato di accordare la grazia a chi, fra i responsabili delle efferate atrocità commesse durante l'apartheid, avesse pienamente confessato i propri crimini: una forma inedita di riparazione morale anche nei confronti dei familiari delle vittime. Questo indirizzo, fortemente sostenuto dal Padre della Patria Nelson Mandela, fece scalpore, non foss'altro perché nei circoli diplomatici accreditati in Sudafrica erano in molti a credere che prima o poi si sarebbe scatenata, per sete di vendetta, una guerra civile nel Paese dell'Africa australe. Tutu ebbe il merito di colmare un vuoto morale che si era aperto nella stessa società civile, per troppi anni rimasta silente, a livello continentale, di fronte alle malefatte perpetrate dai fautori dell'apartheid. Al contempo, la sua leadership spirituale, ispirata al multiculturalismo e all'integrazione, consentì di creare le premesse per il nuovo corso. Per dirla con le parole del compianto africanista Giampaolo Calchi Novati, il merito di Tutu e di tutti coloro che sostennero la lotta nonviolenta sta nel fatto di aver «accettato e praticato il ‘plurale' voluto dalla storia», alla sola condizione di ripudiare il razzismo e la discriminazione, "evitando di ‘territorializzare' i diritti dei popoli o le aspettative delle minoranze". Per scuotere l'opinione pubblica contro l'iniquità razziale, sia in Sudafrica come anche all'estero, Tutu partecipò attivamente a manifestazioni d'ogni genere per dare voce a chi voce non ha.

Lungi da ogni retorica, Tutu è stato il più autorevole esponente dell'anglicanesimo di matrice africana, testimoniando con zelo e dedizione un forte attaccamento alla figura di Cristo, "Nostra pace e liberatore degli oppressi".

 

 

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Giulio Albanese, missionario comboniano, ha scritto numerosi libri. Tra tutti, segnaliamo:

L'Africa non fa notizia. Cronache e storie di un continente, con Paolo Alfieri, Paolo Lambruschi, ed. Vita e Pensiero, 2021

Libera nos Domine. Sulla globalizzazione dell'indifferenza e sull'ignoranza dell'idiota giulivo, EMP, 2020

Poveri noi! Con Francesco dalla parte dei poveri, Giulio Albanese, EMP, 2017

Vittime e carnefici nel nome di «Dio», Einaudi 2016

Missione XL. Per un Vangelo senza confini, EMP, 2012

Soldatini di piombo. La questione dei bambini soldato, Feltrinelli, 2007

 

 


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