Diminuiscono gli omicidi ma non scendono i delitti contro le donne e la violenza di genere. L'ideologia securitaria non porta maggiore sicurezza.
L'emergenza criminale viene denunciata nelle campagne politiche trovando risonanza nella comunicazione dei media e le conseguenti scelte di politica criminale appaiono come il risultato di decisioni emotive, disancorate al dato empirico, in un approccio perennemente emergenziale.
Ebbene, il dato empirico rivela che l'Italia non ha una emergenza criminalità, il Ministero degli Interni riporta nel suo dossier, pubblicato come ogni anno in occasione della riunione del Comitato nazionale per l'Ordine e la Sicurezza pubblica, che nell'ultimo anno (1 agosto 2020-31 luglio 2021), rispetto al periodo precedente, gli omicidi sono scesi da 295 a 276, di circa il 6%. Il tasso di omicidi è pari allo 0,46 ogni 100 mila abitanti, uno dei più bassi in Europa. Le statistiche criminali ci mostrano che negli ultimi vent'anni sono diminuiti significativamente gli omicidi riconducibili alla criminalità organizzata e a quella comune o legata a furti o rapine.
Rilevanti sono i dati riguardanti la violenza di genere, ben 105 femminicidi e quasi sedicimila le denunce per stalking. Nel complesso i reati sono calati del 7,1%, passando dai precedenti 2.019.277 registrati nell'arco 1 agosto 2019 e 31 luglio 2020 ai 1.875.038. Sono diminuiti i furti e le rapine, aumentate le truffe del 16,2% tra cui le frodi informatiche del 10,7% e in generale i delitti informatici del 27,3%. Dati alla mano si possono percorrere diverse riflessioni.
Emergenza?
Innanzitutto, non si può dire che il nostro Paese versi in uno stato di emergenza criminale, non essendo ragionevole interpretare i dati predetti come riscontri di una emergenza. Quest'ultima, per essere tale, deve riguardare un momento critico, di estrema pericolosità, che richiede un intervento immediato e, nel caso, le statistiche criminali non solo mostrano una riduzione della criminalità rispetto all'anno precedente, nonostante quest'ultimo sia stato caratterizzato dal lockdown con almeno due mesi di criminalità anestetizzata, ma anche un tasso di omicidi pari allo 0,46 ogni 100 mila abitanti, uno dei più bassi in Europa. Dunque, perseverare l'ideologia securitaria, nonostante tale trend, dimostrerebbe un'incapacità del fronte politico di emanciparsi da quell'approccio securitario e populista che ha cercato di spremere ogni episodio di cronaca nera, incastonando il sentimento della comunità nell'insicurezza sociale e nel bisogno di manifeste risposte penali rigorose. I media hanno una responsabilità basilare in questo processo: essi si propongono come specchio del mondo e si riconoscono come la principale fonte di conoscenza della realtà criminale. L'opinione pubblica viene definita grazie anche all'impatto dei contenuti mediatici e da questa arriva fino al legislatore il quale, cavalcando l'onda emotiva dell'una o dell'altra proclamata emergenza, risponde con norme accessorie, prive di adeguata pianificazione. Così, il legislatore, limitandosi nella previsione di sanzioni più dure, rompe con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, identificando l'autore del reato come nemico pubblico, una fonte di pericolo che deve essere allontanata dalla società per ripristinare la sicurezza perduta, ingolfando la realtà processualpenalistica e penitenziaria.
Violenze di genere
In tema di violenza di genere, i dati del Viminale rilevano che sono state assassinate 105 donne e ci sono state quasi sedicimila denunce per stalking. La violenza di genere non è un'emergenza ma un problema strutturale, sistemico, che riguarda il tessuto sociale e le realtà culturali in maniera trasversale, attraversa Paesi, culture e religioni. La nostra cultura è antropologicamente fondata su un sistema di potere sociale e culturale dove, sin dall'infanzia, la donna affronta problemi di subalternità e stereotipi di debolezza. La questione deve essere affrontata attraverso un approccio multidisciplinare e non meramente penalistico, cercando di rovesciare la forma mentis collettiva sopprimendo le fonti che spingono l'individuo a voler prevaricare sull'altro, poiché ritenuto debole, inferiore e non un suo pari.
In secondo luogo, sarebbe opportuno riflettere sulla possibilità di aprire un cantiere di riforma del codice penale, eliminando gli eccessi punitivi e disancorandolo dallo spirito autoritario frutto dell'epoca in cui fu approvato. La visione carcerocentrica proposta dal codice Rocco è espressione di una concezione specialpreventiva del diritto penale, un diritto penale simbolico volto a figurare, attraverso i duri carichi edittali e nelle nuove figure di reato, le capacità di uno Stato tenace nel garantire sicurezza. L'irrogazione della pena può scaturire solo dalla commissione di un fatto offensivo, dominabile, causa di disvalore sociale. Le norme penali incriminatrici sono volte proprio a proteggere quei valori collettivi che, in quanto d'interesse per la comunità, per la sua sopravvivenza, sono meritevoli di tutela statale. Solo così si avrà il consenso della comunità al rispetto delle norme penali e solo così si potrà instaurare un processo di risocializzazione e di assunzione di responsabilità in caso di violazione. Tuttavia, la leggerezza del legislatore nel proclamare l'emergenza per poi rispondere con vigore penalistico sbiadisce questo principio, rischiando di schiacciare il valore costituzionale della finalità rieducativa della pena. Per riscrivere il codice penale si dovrà partire proprio dall'art.27 com 3 della Costituzione; il legislatore, nel formulare la sanzione, dovrà valorizzare il principio rieducativo limitando il raggio punitivo e orientandolo sul soggetto nel rispetto delle libertà costituzionali. Si potrebbe anche auspicare perfino di superare la realtà punitiva della detenzione, circoscrivendola come extrema ratio e riconoscendo più spazio a meccanismi sanzionatori alternativi fatti a misura d'uomo. La necessità di una riforma muove dalla constatazione che, storicamente, gli interventi legislativi in materia penale sono stati messaggeri di uno spirito autoritario e repressivo. Le novazioni legislative sono spinte da una proclamata emergenza ed esaltano lo Stato di diritto in una spregiudicata prospettiva securitaria. Il codice penale, risalente al 1930, nasce come codice punitivo e autoritario in conformità con la visione securitaria dell'epoca. Oggi, novant'anni dopo, il codice sembra essere lontano dall'entrare in sintonia con i principi costituzionali dell'offensività e della ragionevolezza laddove si perde di vista la proporzionalità tra fatto e bene giuridico tutelato per dare adito a una politica criminale scenografica nella sua muscolarità. L'esaltata denuncia mediatica dell'emergenza securitaria smuove il legislatore verso l'illusione di una sicurezza attraverso il diritto penale, simbolo e strumento di consenso politico, affermato al posto della sicurezza sociale, smantellata da strati sempre più consistenti della popolazione a causa della crisi dei sistemi di welfare. L'idea di una sicurezza necessaria ha trovato uno spazio sempre più vasto nella dialettica politica e nelle campagne elettorali: basti ricordare le torsioni securitarie sul piano delle sanzioni penali avvenute durante la gestione della pandemia, come l'art.2 c. 8, 9 D.l. 08.03.2020 n.11 che precludeva ai detenuti i colloqui in presenza e ad autorizzare la sospensione della concessione dei permessi premio e della semilibertà. Così, al fine di garantire più alti standard di sicurezza, i detenuti venivano rinchiusi in una situazione di grave affollamento, senza distanziamento fisico e di carenza igienico-sanitaria.
Approcci diversi
Sul piano sanzionatorio l'approccio securitario della neutralizzazione del pericolo porta con sé la spersonalizzazione dell'autore, deprimendolo a oggetto di esclusione sociale e sopprimendone la dimensione umana della condivisione in collettività. Mosso dall'emergenza securitaria il legislatore ha in diverse occasioni neutralizzato alcuni tipi di autore di reato dalle normali regole di trattamento rieducativo, trovandone la ragione nell'emergenza.
Inoltre, guardando al potere centrale, l'ideologia dell'emergenza criminale apre all'amministrativizzazione dell'intervento penale, ammettendo maggiore potere all'esecutivo, riconoscendo caratteristiche penali a illeciti amministrativi. Lo testimonia la detenzione amministrativa dei migranti per i quali la libertà personale è stata sottratta alle garanzie del diritto e del procedimento penale. Le statistiche del Ministero degli Interni ci dicono che dovremmo tornare dallo Stato penale allo Stato sociale, superare la retorica sanzionatoria della tolleranza zero, indagare sulle reali crisi dei sistemi di welfare che potrebbero aver portato a un aumento di criminalità in alcuni settori sociali e riflettere sulle possibili cause che hanno portato una riduzione generale, nonché specifica, della criminalità. Bisogna ragionare sull'opportunità di riscrivere un sistema sanzionatorio proporzionato, ispirato ai principi di ragionevolezza e rieducazione, non frutto di una reazione emotiva della politica di turno, bisognosa, probabilmente per la sua ciclica instabilità, di una costante approvazione da parte di una comunità investita dalla denuncia dell'emergenza.