Qualifica Autore: Università del Salento

Nuovi poveri, crisi pandemica e l'urgenza di rilanciare la dignità del lavoro. Perché precarietà e flessibilità amplificano le disuguaglianze.

 

È possibile imparare qualcosa da un evento così devastante come una pandemia? Se la risposta è affermativa, lo è rispetto a due insegnamenti. Il primo è la diffusa consapevolezza sulla rilevanza della presenza delle istituzioni pubbliche per la garanzia del benessere di tutti e tutte. La seconda è la dimensione collettiva del vivere sociale, nel senso che, come si suol dire, nessuno si salva da solo.

Il futuro

In particolare, per quanto qui ci interessa, è fondamentale non solo fare un bilancio del passato, ma pretendere cambiamenti per il futuro. Invero, se si valuta quanto è avvenuto nell'ambito del lavoro e della sua regolazione negli ultimi 20 anni, non vi è dubbio che c'è stata una forte polarizzazione fra chi ha un lavoro di qualità, stabile e ben remunerato, e chi, invece, ha un lavoro precario, faticoso e poco remunerato. Non è un caso che anche qui si parli di woorking poors, ovvero di persone che, sebbene lavorino, non riescono ad avere una vita decente.

Ciò è avvenuto perché si è ritenuto di inseguire il dogma neoliberista per il quale se si lasciano libere le forze economiche, il mercato provvederà a trovare un equilibrio. Poiché non era possibile semplicemente demolire la normativa che tutela il lavoro e, quindi, la Costituzione, le operazioni sono state più complesse. Lungo più di un ventennio, l'assioma prevalente che ha orientato il legislatore è stato quello della flessibilità. Espressione, ovviamente, non giuridica, utilizzata quasi sempre senza esplicitare le conseguenze di una data normativa flessibile rispetto agli interessi delle parti coinvolte e, quindi, oscurando il conflitto insito strutturalmente nelle differenti posizioni. Il contesto agevolava questo processo visto che la globalizzazione ha prodotto l'intensificazione della concorrenza internazionale e l'instabilità politica e i disastri ambientali hanno rinforzato la pressione migratoria.

Interventi legislativi

Si sono moltiplicati, in modo anche un po' caotico, gli interventi, come ad esempio: il d.lgs. n. 276/2003, la n. 92/2012 (legge Fornero), il d.lgs. n. 81/2015 (uno dei più significativi del Jobs Act). Si moltiplicano i contratti, si amplia lo spazio del lavoro a termine e la somministrazione legittima, fino al rallentamento dei vincoli contro i licenziamenti illegittimi. Inoltre, allo scopo di ridurre il costo del lavoro e i vincoli normativi, si è moltiplicato il ricorso al lavoro autonomo nella sua versione cosiddetto parasubordinato, denominazione che già di per sé è un piccolo scandalo perché non nasconde che il lavoratore è in una condizione molto simile a quella del prestatore subordinato, ma formalmente è escluso da gran parte delle garanzie giuslavoristiche.

Progressivamente la posizione dei lavoratori diventa più flessibile e più debole. Si favorisce una guerra tra poveri. Infatti, oggi i dati Istat sull'aumento della precarietà, del lavoro sommerso, del lavoro grigio sono sempre più preoccupanti. E lo sono, perché i vortici dello sfruttamento ingoiano le persone togliendo loro dignità, non solo come lavoratori e lavoratrici, ma anche come persone. È quanto mai importante ricordare che la Repubblica è fondata sul lavoro e che il cosiddetto principio lavoristico è concepito dalla Costituzione come strumento per la piena realizzazione della persona.

In tal senso, la pandemia ha reso evidente che tutti i lavori sono utili e necessari per il funzionamento della società: dalla ricerca alla consegna a domicilio e al lavoro di cura, dall'informatica alla logistica, dalla ristorazione all'agricoltura. In definitiva, aldilà della retorica dell'esigenza di sviluppare una società della conoscenza, è imprescindibile considerare anche la materialità, la concretezza della condizione umana.

Coesione sociale

Il covid ha dimostrato che anche la coesione sociale è indispensabile. Questo lo avevano già capito i padri e le madri costituenti e hanno magnificamente dato forma a questa constatazione nell'articolo 3 comma 2, allorquando è stato affidato alla Repubblica il compito di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Una prima risposta è stata quella di accentuare una tendenza sviluppatasi in parallelo con l'abbassamento delle tutele e l'aumento della precarietà consistente nel dare maggior attenzione agli strumenti di sicurezza sociale. Anche qui le ambiguità non mancano: si considera la sicurezza sociale ora come flexicurity, intendendo per essa quei meccanismi che non pongono vincoli alla competitività del sistema produttivo ma riescono, allo stesso tempo, a rispondere alle richieste sociali di tutela; ora come assistenza sociale, ovvero come risposta alle più eclatanti carenze collegate alla crescita della povertà.

Non intendo qui sottostimare la rilevanza degli strumenti di sicurezza sociale. Tuttavia, essi non consentono mai di affrontare il problema nelle sue radici. L'urgenza è proprio quella di incidere in profondità sulle cause delle inaccettabili disuguaglianze.

Quale sviluppo?

In tal senso, le radici hanno a che fare, come si è cercato di accennare precedentemente, con l'attuale assetto complessivo della normativa del diritto del lavoro, la quale può essere letta come un ostacolo di carattere istituzionale (e, quindi, non fattuale, il che lo rende più grave) all'effettiva partecipazione dei lavoratori alla vita politica e sociale. È vero che il diritto ha un limitato potere conformativo della realtà, nel senso che le dinamiche politiche-economiche-sociali condizionano sia la sua elaborazione che la sua effettività. Ma, proprio per questo, ci sono momenti in cui si possono porre in discussione gli assetti che in un primo tempo apparivano immutabili. Non si incomincia da zero.

Nel 2020, lo Statuto dei lavoratori ha compiuto 50 anni ed è stata una buona occasione per ricordare che si può concepire ed elaborare un diritto promozionale a sostegno del mutamento degli assetti sociali.

Di conseguenza, se si vuole modificare una situazione foriera di ingiustizie, di vergognose disuguaglianze, di precarietà e generatrice di sempre maggiore marginalità sociale ed economica, bisogna ripensare il diritto del lavoro (e non solo, ovviamente). E, di conseguenza, pensare il lavoro, la sua necessità come parte del contributo che ognuno e ognuna conferisce alla comunità.

In questa prospettiva, è vitale il ruolo delle istituzioni nel dare indicazioni, nel programmare e nel direzionare lo sviluppo sociale. Sicuramente, dobbiamo anche chiarirci su cosa intendiamo per sviluppo, ma in quest'ambito, siamo nel pieno del processo democratico. E in un certo senso, il dibattito è già aperto, data l'esigenza di rispondere alla crisi ambientale e al protagonismo delle giovani generazioni in questo campo. Proprio la portata dirompente di quest'ultima questione, la quale, tra l'altro, implica consistenti riforme del sistema produttivo e, quindi, anche delle condizioni di lavoro, impedisce di ignorare le esigenze di ripristinare una normativa più consona ai principi costituzionali.

Si dovrebbe definitivamente accantonare l'idea che lo stato sociale è un costo eccessivo per la società. Si tratta, in altri termini, di ricordare una banalità spesso strumentalmente dimenticata, vale a dire, che l'erogazione di prestazioni sociali è un investimento. Crea lavoro, fa crescere la società e il benessere collettivo. Lo stato sociale è il compromesso che, nell'attuale sistema capitalista avanzato, consente la salvaguardia della dignità di ogni sua componente.

Evidentemente, non si tratta di un processo facile, ma anche qui è il caso di formulare la domanda: se non ora, quando?

 

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Questo articolo di Monica McBritton completa e integra la riflessione proposta da nel numero di dicembre di Mosaico di pace, interamente dedicato al Messaggio per la Giornata Mondiale della pace del 1° gennaio 2022: "Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni: strumenti per edificare una pace duratura". Il numero in questione può essere richiesto, in formato cartaceo, scrivendo in redazione (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) oppure può essere acquistato in versione pdf direttamente dal sito internet di Mosaico di pace, nella sezione Acquista (www.mosaicodipace.it). 

 

 

 


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