Una lettura della guerra in Ucraina alla luce del diritto internazionale e della storia recente.
L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia (da questa denominata "Special Military Operation"), iniziata il 24 febbraio 2022, s'inquadra in un ampio contenzioso che ha origine nella deposizione del presidente filorusso Yanukovic, nel febbraio 2014, nelle violenze di gruppi armati nazionalisti ucraini contro le popolazioni di etnia russa e nella successiva annessione della Crimea alla Russia, disconosciuta dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 68/262 del 27 marzo 2014.
Dopo nuove violenze verificatesi nel Donbass, si era giunti a un'intesa tra il Governo ucraino e le regioni di Donetsk e di Luhansk, gli Accordi di Minsk del 2014-2015 (approvati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 2202 del 17 febbraio 2015), i quali si fondavano principalmente sul ritiro delle forze armate da tali regioni e sulla concessione di un'autonomia alle stesse; ma essi non sono stati mai adempiuti dalle parti coinvolte. Le tensioni tra la Russia e l'Ucraina si sono aggravate a seguito dell'intenzione manifestata dal presidente ucraino Zelensky di aderire alla Nato.
L'operazione russa è stata giustificata dal presidente Putin con molteplici argomenti. Quelli più significativi si fondano su un preteso diritto di legittima difesa contro la minaccia derivante dall'espansione della Nato e sul carattere umanitario del proprio intervento a tutela delle popolazioni civili dell'Est dell'Ucraina sottoposte da otto anni a "humiliation and genocide perpetrated by the Kiev regime".
La legittima difesa, intesa come l'impiego della forza da parte di uno Stato per respingere un attacco armato, è l'unica sicura eccezione all'ampio e perentorio divieto dell'uso e persino della minaccia della forza nelle relazioni internazionali ammessa sia dall'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite che dal diritto internazionale generale. Ma affinché il ricorso alla forza sia lecito è necessario che l'attacco armato sia in atto ("if an armed attack occurs"), non essendo sufficiente la minaccia o il timore di un tale attacco. La posizione della Russia, invero, sembra riecheggiare la dottrina della difesa (o della guerra) preventiva teorizzata dal presidente statunitense Bush nel 2002 e concretamente applicata in nome di inesistenti armi di distruzione di massa in possesso dell'Iraq per giustificare la brutale aggressione contro tale Stato nel 2003. Questa dottrina è in conflitto con il citato art. 51 e fu respinta anche dall'allora Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan (cfr. il nostro scritto in Mosaico di pace, novembre 2003, p. 4 ss.). Neppure il preteso diritto di intervento umanitario trova fondamento nel diritto internazionale. In proposito non potrebbe invocarsi il precedente della guerra del 1999 dei Paesi della Nato contro la Repubblica federale di Iugoslavia, motivata con l'intento di fare cessare le violenze contro la popolazione del Kosovo da parte delle autorità centrali della Iugoslavia. La reazione della maggior parte della comunità internazionale, dalla Cina alla Russia al c.d. Gruppo dei 77 (comprendente oltre 130 Stati), fu nettamente contraria al riconoscimento di un tale diritto. L'intervento umanitario, privo di una base giuridica risultante da una prassi e da un convincimento diffuso tra gli Stati, si rivela, quindi, per un'aggressione contro la sovranità e l'integrità territoriale di uno Stato, ieri la Repubblica federale di Iugoslavia, oggi l'Ucraina. Non può farsi a meno di rilevare un tragico gioco delle parti tra gli Stati occidentali e la Russia nell'invocare gli stessi (infondati) argomenti per giustificare le proprie guerre e condannare quelle degli altri.
Così pure, dinanzi alla guerra mossa dalla Nato contro la Iugoslavia (senza dimenticare le numerose altre guerre degli Stati Uniti e dei Paesi europei contro Stati extraeuropei come l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia), non può non stupire la ripetuta affermazione, da parte di governanti, di sedicenti esperti e persino dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (risoluzione n. ES-11/1 del 2 marzo 2022), che le operazioni militari russe all'interno del territorio sovrano dell'Ucraina sono di un'ampiezza mai vista in Europa da decenni. Va denunciata altresì l'attiva partecipazione dell'Italia alle guerre ricordate in violazione del ripudio della guerra prescritto dall'art. 11 della Costituzione.
Aggressione
L'operazione della Russia rappresenta una palese e massiccia aggressione dell'Ucraina, come denunciato dal Consiglio europeo lo stesso 24 febbraio 2022. Tale qualificazione sollecita le competenze delle Nazioni Unite, in particolare del Consiglio di sicurezza, il quale ha la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e, a questo fine, ha il potere di adottare decisioni obbligatorie comportanti misure coercitive di vario genere contro lo Stato aggressore e, se necessario, persino misure implicanti l'uso della forza. Com'è noto, la procedura di votazione nello stesso Consiglio prevede, di regola, il c.d. diritto di veto dei suoi Membri permanenti, tra i quali la Russia, la quale, con il suo voto contrario, ha potuto impedire l'adozione di un progetto di risoluzione votato il 26 febbraio 2022 che condannava la sua aggressione e ne chiedeva l'immediata cessazione. Tale progetto è stato sostanzialmente ripreso dall'Assemblea generale, che lo ha approvato il 2 marzo successivo con la risoluzione già ricordata, avente, peraltro, valore solo esortativo, ma non vincolante. Pur in assenza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, misure estremamente severe contro la Russia sono state adottate da numerosi Paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, e dall'Unione europea.
Se non sorprende la "fisiologica" incapacità del Consiglio di sicurezza di assumere decisioni contro uno Stato aggressore, quando si tratti di un suo Membro permanente (o di un altro Stato che goda della sua protezione), non può spiegarsi con il diritto di veto l'inerzia che altri organi (e lo stesso Consiglio di sicurezza, su un piano diverso dall'azione coercitiva) hanno sinora mostrato.
Occorre ricordare, infatti, che l'obiettivo del mantenimento della pace non è perseguito nella Carta soltanto prescrivendo il divieto della forza nelle relazioni internazionali e, per converso, istituendo un sistema di sicurezza collettiva incentrato nel Consiglio di sicurezza. Le Nazioni Unite intendono agire anzitutto sulle cause delle tensioni internazionali che minano la pace alle sue basi. Esse, al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici e amichevoli tra le Nazioni basate sul rispetto dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli, promuovono condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale, la soluzione dei problemi internazionali economici, sociali, sanitari e il rispetto e l'osservanza universale dei diritti umani (art. 55).
All'obiettivo di mantenere la pace e la sicurezza internazionale si collega anche l'obbligo degli Stati di risolvere le loro controversie con mezzi pacifici (art. 2 par. 3). A questo scopo il Consiglio di sicurezza, ai sensi del Capitolo VI, ha poteri "conciliativi", in quanto può raccomandare alle parti di una controversia metodi o termini di regolamento. Non c'è dubbio che l'aggressione della Russia all'Ucraina si innesta su una controversia tra i due Stati, che ha per oggetto non solo la condizione delle regioni del Donbass, ma anche la possibilità che l'Ucraina aderisca alla Nato o, al contrario, assuma lo status di neutralità permanente. Tale controversia ha natura essenzialmente politica e ben difficilmente potrebbe essere risolta da un tribunale internazionale in base a valutazioni strettamente giuridiche; essa richiede un'opera di mediazione, di attenzione alle esigenze di sicurezza e agli interessi delle parti, di ricerca di un compromesso accettabile che conduca a un loro accordo e alla cessazione e alla prevenzione di qualsiasi uso della forza.
La stessa Assemblea generale, nella citata risoluzione del 2 marzo 2022, pur condannando senza mezzi termini l'aggressione da parte della Russia, ha chiesto con urgenza che il conflitto tra la Russia e l'Ucraina sia risolto immediatamente in maniera pacifica mediante dialogo politico, negoziati, mediazione e altri mezzi pacifici. Ma proprio gli organi delle Nazioni Unite non sembra abbiano inteso formulare o promuovere in alcun modo una soluzione politica. Il Segretario generale Guterres ha dato l'impressione di accorgersi della guerra solo dopo due mesi e il Consiglio di sicurezza non ha assunto alcuna iniziativa; e si noti che potrebbe farlo senza l'ostacolo del veto della Russia, poiché l'art. 27 par. 3 dispone che nelle decisioni previste nel suddetto Capitolo VI un Membro del Consiglio di sicurezza che sia parte della controversia – qual è la Russia – è obbligato ad astenersi dal voto.
A questa condotta rinunciataria delle Nazioni Unite fa riscontro un atteggiamento della maggior parte della comunità internazionale, con in testa gli Stati Uniti, seguiti dal Regno Unito, dalla Nato, dall'Unione europea e dai suoi Membri, di assoluto disinteresse alla ricerca della pace, se non di costante inasprimento del conflitto.
L'articolo del prof. Villani prosegue nella rubrica Mosaiconline