Disarmo nucleare: una priorità globale ignorata dal governo italiano.
Mentre scrivo questa nota è in corso a Vienna la prima riunione degli Stati sul Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPNW, Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons) alla quale anche Stati non ancora aderenti al Trattato erano invitati a partecipare. Invito accettato, tra gli altri, da Germania, Belgio e Olanda che hanno deciso di essere presenti da osservatori a questa importante riunione organizzata dalle Nazioni Unite. Si tratta di Paesi che, come l'Italia, appartengono alla Nato e ospitano bombe atomiche degli Usa.
L'Italia si è voluta distinguere in negativo decidendo di non partecipare alla riunione. In altre parole, il governo non ritiene necessario riflettere sulla propria posizione rispetto alla presenza di bombe atomiche sul territorio italiano, nonostante siano considerate illegali dal diritto internazionale umanitario da quando è entrato in vigore il TPNW e nonostante sia universalmente riconosciuto che il rischio di un impiego di armi nucleari è oggi più alto che mai.
Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato, nel suo discorso di apertura della riunione viennese, che non è ammissibile permettere a una manciata di Paesi di mettere a repentaglio la sicurezza del resto del mondo. È amaro constatare che l'Italia faccia parte di questa manciata di Paesi e, a differenza di altri, non senta nemmeno il bisogno di fermarsi a riflettere e di confrontarsi con la comunità internazionale su questo tema.
L'AIE (Associazione italiana di epidemiologia), nelle scorse settimane, aveva mobilitato la Sanità pubblica con una lettera aperta (https://www.epidemiologia.it/lettera-aperta-al-governo-italiano/) al governo per chiedere che l'Italia partecipasse alla riunione di Vienna. Molti esponenti non solo del mondo sanitario ma anche della società civile avevano firmato la lettera, con adesioni individuali (oltre 700 firme) e collettive di altre società scientifiche di area biomedica. Anche la rivista biomedica The Lancet sta per pubblicare una lettera che descrive l'iniziativa dell'AIE e ne illustra le motivazioni di Sanità pubblica. Chi svolge una professione sanitaria ha infatti il compito di salvaguardare e promuovere la salute della popolazione e sa, più di altri, che le infrastrutture sanitarie non sono e non possono essere preparate per la catastrofe umanitaria che risulterebbe dall'esplosione anche di una sola bomba atomica in una delle nostre città. Inoltre, permettendo la presenza sul territorio italiano di armi nucleari, ci diciamo pronti a sterminare la popolazione civile di un altro Paese. Questo non è eticamente sostenibile, neanche nel caso di una risposta a seguito di un attacco. Lo stesso concetto di "difesa" non è applicabile al ricorso alle armi nucleari che, palesemente e per loro stessa natura, violano tutti i principi sanciti dal diritto internazionale.
Queste armi esistono, sono già state utilizzate e, se non verranno eliminate, prima o poi verranno utilizzate di nuovo, deliberatamente o accidentalmente. Anzi, si stanno già utilizzando considerando che anche la sola minaccia ne rappresenta già una modalità d'uso.
L'unica soluzione è la loro eliminazione se non vogliamo essere eliminati da loro, per riprendere la frase con cui Antonio Guterres ha chiuso il suo discorso a Vienna augurando a tutti buon lavoro. Molto lavoro è, infatti, ancora da fare e non sarà facile, specialmente in Italia, ma abbiamo dalla nostra parte l'evidenza scientifica e tutti coloro che non accettano l'idea di essere "difesi" attraverso la minaccia reciproca dell'assassinio di massa della popolazione civile di altri Paesi.
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L'Italia è l'unica dei quattro Paesi dell'Unione Europea che ospita testate nucleari NATO sul proprio territorio ad aver disertato la Prima Conferenza degli Stati Parti del Trattato per l'abolizione delle armi nucleari (TPNW), che si è svolta a Vienna dal 21 al 23 giugno scorsi. Erano presenti Olanda, Belgio e Germania, (nella foto) come Stati osservatori, insieme ad Australia e Norvegia, anche loro membri della Nato. È mancato il coraggio politico. Da quando è entrato in vigore il Trattato, 22 gennaio 2021, innumerevoli sono stati gli interventi per chiedere al Governo Italiano di firmarlo e di partecipare almeno come osservatore a Vienna. Niente da fare. In Italia una fitta rete di associazioni e istituzioni ha rilanciato la campagna "Italia ripensaci" promossa da Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica, enti locali, associazioni e movimenti di ogni ispirazione religiosa e laica. Tutti a sottolineare il pericolo nucleare e l'importanza dell'adesione al Trattato. Significativo il lavoro nel territorio di Brescia (anche perché proprio vicino a Ghedi) con impegni di decine di istituzioni e varie comunità montane, oltre che associazioni e singoli cittadini. È intervenuta più volte la CEI, anche nell'ultimo comunicato dello scorso 27 maggio: "i vescovi hanno condiviso l'appello Per una Repubblica libera dalle armi nucleari firmato nella scorsa primavera da oltre quaranta presidenti nazionali di associazioni cattoliche. Anche il neopresidente della CEI, card. Zuppi, è intervenuto così come lo stesso presidente di Pax Christi Italia, mons. Giovanni Ricchiuti: "Voglio sperare che il Governo Italiano possa essere presente a Vienna, magari arrivando anche all'ultimo momento. Sarebbe una presenza importante. Non voglio perdere questa speranza. Meglio tardi che mai". E invece Italia, non pervenuta. Ma la Campagna continua. Con più convinzione. Info: https://retepacedisarmo.org