Qualifica Autore: Educatrice e comunicatrice digitale

Pianeta giovani tra contraddizioni della società globale, crisi del lavoro e mondo virtuale.

 

Questo è un articolo pensato e scritto da un'adulta per altri adulti. Incominciamo con un piccolo gioco. Vi invito a leggere la citazione seguente (ho fatto lo stesso test prima di voi): "Il metaverso (…) è una sorta di evoluzione di videogiochi dove però ogni elemento che lo compone (la terra digitale su cui costruire, gli avatar, gli oggetti del mondo tridimensionale) non è un Non Fungible Token (Nft), un oggetto digitale che può essere comprato e venduto nella criptovaluta chiamata Sand, grazie alla tecnologia blockchain che sostiene già i Bitcoin e gli Ether"(Focus, aprile 2022, pag. 30).

Quanto di questa citazione avete compreso? Se state sotto il 50% come me, abbiamo un problema: non conosciamo e quindi non comprendiamo coloro che chiamiamo giovani.

In queste pagine parleremo di giovani (intendiamo tutte le persone tra i 18 e i 30 anni) che tentano di sopravvivere all'interno di una società globale con tante opportunità, sempre più connessa e virtuale, foriera di ingiustizie e diseguaglianze, appesantita dai cambiamenti climatici.

Società che hanno ereditato da noi adulti. Adulti che, oggi, riconosciamo la difficoltà di svolgere il nostro ruolo di educatori per i giovani dentro un contesto che abbiamo contribuito a creare (direttamente o con una complicità silente), ma che non comprendiamo: un contesto fortemente complesso e ramificato, mobile e cangiante, performativo e ipertecnologico.

I numeri ci dicono che, dopo il periodo dei lockdown per la pandemia, molte persone non sono tornate al vecchio lavoro: si sono licenziate optando per un impiego, spesso autonomo, che rispettasse di più l'equilibrio lavoro-vita privata. La chiamano 'great resignation', perché sta diventando un vero e proprio fenomeno diffuso e non solo italiano.

L'esperienza di rimanere chiusi in casa con tanto tempo a disposizione, ci ha fatto sperimentare la gioia di gestire il nostro tempo e non di essere gestiti da lui. Alcuni si sono domandati: quanto sono felice in quello che faccio? A cosa posso rinunciare per una vita più sana?

Tra i protagonisti di questa great resignation ci sono anche i giovani.

Sento che noi adulti parliamo di giovani, ma poco con i giovani. E credo che possa valere anche il contrario. L'invito è avviare un dialogo di ascolto profondo per apprezzarci a vicenda, in un processo di vera e propria riconciliazione intergenerazionale. Perché abbiamo bisogno gli uni degli altri.

"A volte sai cosa vuoi ma non sai come ottenerlo. Io, ad esempio, mi sono inventata uno sciopero solitario, ho partecipato a un talent. Quello che pare assurdo si può fare." Vanessa Nakate (attivista ugandese del 1996, tra le fondatrici del movimento Rise Up Climate; autrice del libro in italiano Aprite gli occhi, ed. Feltrinelli).

I nostri giovani oggi sono, tendenzialmente: intersezionali, fluidi, non binari, performer, brand di sé stessi, più tolleranti, multifacetici.

All'interno di queste caratteristiche ci sono aspetti che li fanno fiorire ed elementi di rischio. Il rischio di perdere il contatto con i propri desideri e con il senso di ciò che si fa.

Leggere e interpretare il mondo in modo rigidamente binario (maschio/femmina; destra/sinistra; italiano/straniero) è una caratteristica del secolo scorso. Oggi i nostri giovani, tendenzialmente, vivono l'esperienza delle sfumature, dei grigi. Dentro un elemento c'è sempre un pezzo del suo opposto, e viceversa; situazioni non binarie possono convivere con la binarietà e generare relazionalità e buona vita. E ci stanno dentro con un approccio intersezionale: sanno vedere le interconnessioni tra le esclusioni e adottare un approccio sistemico e integrato.

Combattere contro il cambiamento climatico per i promotori di Fridays for Future è lottare anche per la sicurezza alimentare e il diritto all'educazione. I giovani non possono che essere intersezionali: vivono sulla loro pelle le ingiustizie che derivano solo dal fatto di essere giovani più quelle legate al genere, all'orientamento sessuale, alla finanza predatoria.

Sono anche, tendenzialmente, più tolleranti verso chi professa una fede ed è portatore di una cultura altra. È molto più probabile per un giovane trovarsi nel luogo di lavoro persone provenienti da contesti diversi o avere come capi figli di seconda generazione di genitori immigrati nel nostro Paese.

In una società profondamente performativa come la nostra, i giovani sono sottoposti a un grande stress per essere sempre sul pezzo, connessi, pronti a performare. Nascono in un contesto profondamente competitivo dove prevale l'abilismo: non si può manifestare fragilità, vulnerabilità, incertezza, dubbio, disabilità, dolore, paura; pena l'esclusione e l'invisibilità. Ci sarà sempre qualcuno più perfomante di noi.

Che posto lasciamo loro per le domande di senso che nutrono l'anima? Che spazio creiamo noi adulti perché loro possano esprimere i loro desideri senza essere etichettati?

Brand di sé stessi

"Dobbiamo fare i conti con un'alta disoccupazione, ma anche con numeri impressionanti di lavoro povero, di sottoccupazione, e un sistema pensionistico molto fragile. E viviamo un paradosso tutto italiano: siamo tra i Paesi meno scolarizzati, ma abbiamo un problema estremamente preoccupante di sovra-istruzione relativo a quelle persone troppo formate per la mansione che svolgono.

La nostra generazione ha interiorizzato una precarietà esistenziale e tanti giovani combattono ogni giorno contro la frustrazione per una situazione che pare senza uscita." Elly Schlein (La nostra parte, Mondadori, pag. 108).

Il secolo XX è stato il tempo in cui il lavoro definiva la propria identità e della conquista dei diritti dei lavoratori. Oggi sembra che molti di questi traguardi si stiano erodendo sotto il peso della flessibilità e della mobilità. Come anche sta cambiando il rapporto con il lavoro da parte dei giovani.

I contratti nazionali, negoziati da corpi intermedi come i sindacati, sono oggi l'eccezione. Spesso i giovani sono soli nella fase di contrattazione del rapporto di lavoro con un'impresa, consapevoli di una competizione da giungla, soprattutto per i compiti in cui non è richiesta un'alta specializzazione. Una frase che spesso sentiamo dire è "Intanto accetto questo lavoro in attesa di trovare qualcosa di meglio". Sovente questo meglio non esiste o non arriva, oppure non si ha il tempo di cercarlo.

In questo contesto sociale ed economico, i giovani sono brand di sé stessi. Al pari di una grande azienda che deve piazzare sul mercato il proprio prodotto, i giovani devono piazzare sé stessi come buona merce per essere "selezionata/scelta" dal datore di turno, per un lavoro a breve termine, rinnovabile (con criteri poco trasparenti).

Per curare il proprio brand impiegano il brodo esistenziale nel quale sono cresciuti: le tecnologie digitali. Da qui nascono impieghi nuovi come gli influencer e i youtubers.

Guadagnano denaro per stare in rete a dire o fare cose che altri e altre apprezzano, seguono e condividono.

Salta agli occhi la fragilità di questa situazione: la loro reputazione digitale è la cifra della loro sopravvivenza. La vulnerabilità, che deriva dagli sciami di opinioni e sentenze nei social network, rende la reputazione un bene fragilissimo e, spesso, poco rinnovabile.

I giovani crescono in questo contesto di grande mobilità e vulnerabilità. Cosa che ha degli aspetti positivi: lasciarsi sfidare dal nuovo, uscire dalle nostre zone di confort, life long learning (formazione continua), life-based learning (saper apprendere da ciò che accade).

Ma, allo stesso tempo, presenta delle zone d'ombra ed è dove noi adulti dovremmo essere presenti per accompagnare la riflessione e il discernimento dei giovani.

 

 

 

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Glossario: giovani e lavoro

La lingua è mobile e cambia; cambia secondo le istanze e gli usi che di essi si fa nella comunità che la parla. Per comprendere il nostro tempo, è necessario apprendere nuove parole, che usiamo per poterlo interpretare e definire (spesso solo provvisoriamente, in attesa di un altro termine migliore).

Un piccolo glossario che può aiutare a fare un passo in più sul tema "giovani e lavoro".

SLASH WORKERS: sono i lavoratori che sono costretti a svolgere più lavori differenti nella giornata per raggiungere uno stipendio di sopravvivenza. Un giovane oggi può fare il rider e lavorare in un call center. Quindi oggi è difficile definirsi con un solo ruolo. Un giovane può essere rider slash impiegato call center.

NEET (In Italia abbiamo il numero più alto di NEET, di giovani disoccupati e di espatriati, cfr. il libro di Elly Schlein, La nostra parte, Mondadori): è un acronimo inglese che si legge "Not in Education, Employment or Training". Sociologicamente sono quella schiera di giovani, sempre più numerosa, che non lavora, non studia, non si aggiorna. Per motivi diversi hanno "deciso" (il virgolettato è dovuto al fatto che mi domando se è una decisione vera quando non hai altre opzioni) di smettere di cercare un lavoro, non frequentano né la scuola né corsi di aggiornamento professionale.

BYOD: è un acronimo inglese che si legge "Bring your own device", letteralmente: porta il tuo apparato elettronico. Nel contesto del lavoro mobile, spesso viene richiesto ai giovani di usare i propri strumenti tecnologici nel luogo di lavoro: il datore tende a fornire sempre meno un contesto strutturato al lavoratore giovane. Questo nel nome di una relazione contrattuale sempre più 'light' e priva di troppe certezze a lungo termine. È anche vero che, i giovani, usano i propri device come una parte essenziale di sé e, quindi, preferiscono usare più questi che quelli forniti dal datore di lavoro, magari privi di quegli accessori tecnologici necessari per lavorare.

EMPLOYER BRANDING: con questa espressione si vuole indicare il fatto che l'impiegato può diventare un veicolo, positivo o negativo del branding aziendale. L'impiegato può parlare della propria azienda ai suoi follower sui suoi social e contribuire positivamente o negativamente alla reputazione aziendale. Coinvolgere l'impiegato nella mission dell'azienda contribuisce a creare dell'azienda un'immagine migliore.

Molte aziende, anche nel no-profit, a seguito di questo, hanno redatto delle vere e proprie linee guida per la gestione dei social personali dei dipendenti per ciò che riguarda l'azienda.

Ma sappiamo che le linee guida non possono risolvere la sfida che oggi viviamo della netta separazione tra vita personale e vita pubblica; tra spazi personali e spazi condivisi.

FOMA: è un acronimo inglese che si legge "Fear of missing out". La paura di rimanere fuori. Non è un'espressione tipica del mondo lavorativo giovanile, è considerata una caratteristica del nostro tempo ipertecnologico. Controlliamo continuamente il cellulare per la paura di perderci qualcosa e rimanere tagliati fuori.

Questa situazione di "always on" (sempre accesi e connessi), spesso data per scontata dagli imprenditori e dalla società, incide sulla qualità della vita personale, relazionale e familiare dei nostri giovani. Producendo, sovente, un'ansia da prestazione continua; un'angoscia di arrivare prima di altri nella cornice di una competizione spietata nei posti di lavoro.

 

 


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