Nonviolenza in cammino: il popolo della pace passa dalle guerre. Per ribadire la loro inefficacia e il ripudio.

 

In tempo di pace siamo tutti concordi a dichiarare che la guerra sia uno strumento obsoleto, inefficace e disastroso per stabilire il diritto e la giustizia. Ma è quando è in corso un conflitto che bussa alle nostre porte che il ripudio si fa più difficile!

Quella del ricorso alle armi appare come la semplificazione ordinaria alla quale la nostra intelligenza sembra piegarsi senza sforzo. Ci appare come l'unica possibilità a disposizione dell'umanità, anche perché è quella adoperata più frequentemente nel corso della storia, oltre la quale, sembra restare solo l'abisso di una violenza peggiore che produce vittime tra la popolazione inerme. Nell'immaginario collettivo, alimentato dai talk show e dalle riflessioni dotte, l'alternativa è tra il ricorso alla difesa armata e la resa. Di qui tutti gli esempi storici di "guerra giusta" con citazione evidenziata della guerra partigiana, del Catechismo della Chiesa cattolica e della Dottrina sociale della Chiesa. Senza considerare che sono proprio coloro che avevano partecipato alla guerra di resistenza che hanno proposto l'articolo 11 della Costituzione. Senza interrogarsi che anche nella storia della Chiesa si considera una dinamica evolutiva della valutazione morale che è passata da una legittimazione della violenza (vedi crociate e inquisizione), a una sua radicale esclusione come avviene nell'insegnamento di papa Francesco.

Resta impresso quanto Giovanni XXIII rispondeva a coloro che non accettavano le innovazioni del Concilio, vedendosi quasi costretti ad ammettere che fino al giorno prima si erano sbagliati. Il Papa rispondeva: "Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo comprendiamo meglio". Pertanto, la condanna pressoché quotidiana di ogni tipo di guerra da parte di papa Francesco, così come il superamento del concetto di guerra giusta insieme all'affermazione del valore della nonviolenza, non potrebbe essere inteso come uno sporgersi su una nuova era della morale che supera definitivamente e totalmente il principio della violenza?

Da tutte queste considerazioni (e valori) era sicuramente ispirato don Tonino Bello quando nel 1992 trovò il coraggio di proporre l'azione di pace che ci portò a Sarajevo. Si trattava di una primizia, ovvero di una scelta profetica, della realizzazione di un sogno che forse non abbiamo poi trovato il coraggio di trasformare in un progetto. Adesso che la guerra è ritornata a bussare alle porte dell'Europa, un piccolo nucleo di persone che hanno trovato la forte capacità di organizzazione logistica nell'Associazione Papa Giovanni XXIII e, in particolare nella sua ramificazione di Operazione Colomba, ha immaginato una presenza nonviolenta in Ucraina. In poche settimane si è strutturato il progetto che sin dall'inizio prevedeva tanto l'aiuto umanitario e l'azione diretta nonviolenta consistente nell'incontro con altre associazioni e Ong ucraine, con alcune istituzioni civili e religiose e una manifestazione dalla stazione di Leopoli (importante crocevia di umanità) al centro della stessa città.

È sempre difficile riuscire a descrivere le fatiche insieme ai sentimenti e alle emozioni di questa azione così come di quella a Sarajevo. Chi, come lo scrivente, le ha vissute entrambe, può dire che si è trattato di cose molto diverse tra loro ma che hanno presentato novità e prospettive veramente interessanti. Umanitario e simbolico si sono contaminati reciprocamente inverandosi laddove ce ne fosse stato bisogno rispetto alle sensibilità di chi giudica. Resta comunque il dato di aver portato in Ucraina 66 pulmini con 221 persone che, al ritorno, hanno accompagnato 300 profughi. Mentre scriviamo, i rappresentanti delle 170 organizzazioni che nel frattempo hanno aderito a Stop the war – Facciamo la pace, stanno progettando altre azioni verso la popolazione russa, hanno dichiarato la propria disponibilità a costituirsi osservatori nonviolenti sul terreno e a proteggere i corridoi umanitari. Si stanno programmando altre azioni nonviolente e soprattutto si stanno censendo disponibilità di movimenti, associazioni, gruppi, Ong europee che possano integrare una rete nonviolenta continentale di interposizione. Riuscire a convocare gli Stati generali della nonviolenza europea sarebbe un passaggio decisivo verso l'azione nonviolenza organizzata e coordinata che passi dal sogno e dall'azione dimostrativa al progetto. A chiedercelo sono le vittime delle nostre armi e delle tante parole di odio.

 

 


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