Qualifica Autore: ASGI, PhD Student - Migration and Asylum Law

Il diritto di asilo sospeso ai confini europei: un'analisi delle proposte iniziali e delle recenti evoluzioni del Patto europeo sulla Migrazione e l'Asilo.

 

Il prematuramente scomparso Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, nel suo messaggio di Natale agli europei, ha ricordato che anche nel 2021 "abbiamo visto nuovi muri e i nostri confini in alcuni casi sono diventati confini tra morale e immorale, tra umanità e disumanità". I muri, in Europa, hanno preso sempre più la forma di recinzioni spinate o barriere elettrificate, edificate da diversi Paesi che si trovano ai confini esterni dell'Europa, nell'Est ma non solo. Eppure, i muri non sono soltanto quelli fisici: ancora prima di questi sono stati riaffermati e rinforzati muri virtuali, legali, normativi.

Muri tenuti insieme da leggi e regolamenti, che impongono la sorveglianza, il contenimento e il confinamento alle frontiere esterne dell'Ue per impedire l'ingresso non autorizzato alle persone migranti e, tra di esse, anche ai rifugiati e richiedenti asilo, cui invece il diritto internazionale riconosce protezione e tutela.

Muri che vengono legittimati e puntellati anche attraverso le recenti proposte legislative presentate dalla Commissione europea (le prime nel settembre 2020, le seconde nel dicembre 2021) nell'ambito del processo di riforma avviato con il Patto europeo sulla Migrazione e l'Asilo. Attraverso questo documento programmatico la Commissione ambiva a dettare una linea di riforme, da adottarsi entro la legislatura, capaci di incidere significativamente sul funzionamento del sistema di asilo e di gestione delle migrazioni nei Paesi europei.

Politiche migratorie

L'istituzione europea sembrava preannunciare il superamento delle soluzioni emergenziali adottate per affrontare la cosiddetta "crisi dei rifugiati" del 2015, un nuovo modello di solidarietà tra gli Stati membri e un potenziamento delle vie legali di accesso in Europa. In realtà, il Patto non ha proposto soluzioni innovative e modellate su un approccio inclusivo e di lungo periodo al tema migratorio. Il focus è stato posto soprattutto sul controllo dei confini, sul contenimento dei richiedenti asilo alle frontiere esterne, e sulla cooperazione con i Paesi terzi in vista dell'esternalizzazione dell'asilo e del potenziamento dei rimpatri.

Il confine si conferma così come uno dei topoi delle politiche migratorie europee: da un lato, è una linea cui è mortalmente difficile avvicinarsi, a causa degli accordi con Paesi terzi (come Libia, Turchia e Marocco) che frenano la partenza delle persone; dall'altro, è zona di limbo, geografico e giuridico, dove i rifugiati rimangono imprigionati in attesa di una decisione sulla loro domanda di asilo, o prima di essere espulsi dal Paese: emblematica è l'attuale situazione al confine tra Polonia e Bielorussia, dove persone che necessitano di assistenza sono bloccate e detenute, o nascoste tra i boschi per evitare i respingimenti.

Il confine si presenta come un elemento essenziale anche nella complessiva strategia di contenimento, contrasto e allontanamento dei migranti elaborata dalla Commissione europea con il Patto sulla Migrazione e l'Asilo. Il pacchetto di proposte legislative, presentato ormai più di un anno fa, introduce numerose procedure che dovranno essere attuate necessariamente alle frontiere esterne, prima che le persone facciano formalmente ingresso sul territorio europeo e, soprattutto, prima che possano muoversi da uno Stato all'altro. Le nuove norme, in realtà, riprendono soluzioni già sperimentate dagli Stati, e rivelatesi pericolose per i diritti delle persone in transito.

Frontiere

Ad esempio, numerose previsioni del nuovo regolamento sugli accertamenti alle frontiere esterne (cd. regolamento ‘screening') hanno sostanzialmente istituzionalizzato le prassi che alcuni Stati membri hanno già posto in essere negli ultimi anni. In Italia e in Grecia si assiste fin dal 2016 al confinamento delle persone migranti negli hotspot, spesso situati su isole remote. Già oggi, quindi, e non solo negli Stati menzionati, i rifugiati vengono imprigionati per giorni o mesi pur senza aver commesso alcun reato; sono costretti a vivere in condizioni degradanti e inumane; sono allontanati verso luoghi in cui possono subire nuove torture o traumi.

Il Patto europeo non costituisce una inversione di rotta, sotto questo punto di vista: anzi, pur affermando astrattamente che nell'attuazione delle nuove procedure (di screening, di asilo e anche di rimpatrio) è necessario rispettare i diritti umani, dona una veste giuridica a prassi che possono aggravare i rischi di violazione di questi diritti, soprattutto ai confini.

Complessivamente, quindi, l'approccio seguito dalla Commissione è sempre più restrittivo e indifferente ai diritti. Le migrazioni non sono concepite come fenomeno da comprendere e gestire, ma come minaccia da contenere e allontanare: ne è conferma il fatto che, tra tutte le proposte programmatiche formulate nel documento, quella sul potenziamento delle vie di accesso legali in Europa non abbia visto alcuna evoluzione.

Del resto, l'adozione delle riforme è decisamente rallentata rispetto alle aspettative della Commissione, che aveva auspicato la conclusione dei negoziati sulle nuove proposte legislative entro il 2021. Infatti, mentre la gran parte degli Stati membri ha accolto positivamente le proposte in materia di rafforzamento dell'efficacia delle frontiere esterne dell'Ue, permangono tensioni e interessi contrapposti in materia di bilanciamento degli oneri degli Stati in ossequio al principio di solidarietà.

Le riforme

Ciò ha frenato i negoziati su riforme importanti quali i nuovi regolamenti sulla gestione della migrazione e l'asilo (volto a sostituire il regolamento Dublino) e sulla gestione delle crisi. Ad oggi, nessun accordo sui dossier principali è stato formalmente raggiunto tra il Consiglio e il Parlamento, le due istituzioni che ricoprono un ruolo centrale nella procedura legislativa europea. Inoltre, permangono forti divisioni tra gli stessi Stati membri, con i blocchi contrapposti degli Stati di Visegrad, che non intendono accettare alcuna forma di distribuzione dei migranti, e i Paesi mediterranei, particolarmente critici per l'assenza di reali meccanismi di solidarietà e per gli eccessivi oneri posti a carico degli Stati frontalieri.

Di fronte all'incagliarsi dei processi legislativi in materia di asilo, la Commissione ha di recente tentato di rilanciare un altro tassello del Patto: il corretto funzionamento dello spazio Schengen. A dicembre 2021 sono state presentate due nuove proposte normative nell'ottica di "rinforzare la governance dello spazio Schengen". La prima è volta a riformare l'attuale "Codice Schengen", strumento che disciplina la libertà di circolazione all'interno dell'Ue; la seconda, a regolamentare le situazioni in cui i confini siano minacciati dall'"uso a fini politici dei migranti", scenario che si sarebbe delineato, secondo la Commissione, nel corso della crisi politica tra Ue e Bielorussia.

Pur occupandosi di questioni distinte, entrambe le nuove proposte sono preoccupanti perché riproducono la stessa dinamica già osservata rispetto al pacchetto legislativo presentato nel 2020: l'istituzionalizzazione di prassi e comportamenti che le autorità di frontiera già pongono in essere oggi, e che mettono a repentaglio le vite e i diritti dei migranti e dei rifugiati.

La crisi umanitaria cui si è assistito negli ultimi mesi al confine con la Bielorussia ben rappresenta questa dinamica. Ultimamente gli Stati europei, primi tra tutti la Polonia, hanno posto in essere condotte violente e illegittime, respingendo illegalmente i migranti verso la Bielorussia e abbandonandoli a loro stessi. Invece di sanzionare il comportamento degli Stati membri, la Commissione, nella sua recente proposta, ha sostanzialmente accettato e "normalizzato" queste azioni, ammettendo che si possa derogare alle regole in materia di asilo e accoglienza in situazioni caratterizzate dalla cd. "strumentalizzazione" politica dei migranti. Similmente, con la riforma del codice Schengen, si ammette che i migranti possano essere respinti sulla base di accordi di riammissione tra Stati confinanti, conformemente a quanto già avviene, ad esempio, alla frontiera italo-francese.

Con queste proposte, dunque, la Commissione ha nuovamente cercato di tenere il passo con le politiche repressive di (molti) Stati europei, caratteristica peculiare dell'intero Patto europeo. Si è dimenticata, però, che così facendo contribuisce a minare le fondamenta non soltanto del diritto di asilo, ma anche del sistema di valori, improntati al rispetto dei diritti della persona umana, su cui l'Europa dichiara di fondarsi: come ricordato da Sassoli, "il dovere delle istituzione europee è di proteggere i più deboli", e questo può e deve essere valido anche quando le persone si trovano al di fuori, o in prossimità dei confini europei.

 

 


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