Qualifica Autore: Università degli Studi di Urbino
24 marzo 1998: manifestazione a Roma per l’obiezione  di coscienza con don Luigi Ciotti

1972: l'obiezione è legge. Una lotta lunga 25 anni.

 

Obiezione vuol dire l'atto di gettare qualche cosa contro; e in questo caso è la coscienza che presenta e oppone all'ordine legale di preparare ed eseguire la guerra, motivi che essa trae da se stessa.

Si tratta forse di una delle più note definizioni di obiezione di coscienza. La scrive Aldo Capitini, ricorrendo all'etimo latino, nel 1959, nel libro L'obbiezione di coscienza in Italia, nel quale fa il punto sulla situazione, dieci anni dopo il caso di Pietro Pinna. Non era un gran bel momento per l'obiezione di coscienza: nel 1957, il Partito socialista aveva presentato un progetto di legge per il suo riconoscimento, senza alcun esito. Soprattutto, rispetto alla fine degli anni Quaranta, il tema era diventato impalpabile.

Primi obiettori

Pinna non era stato in realtà il primo obiettore: lo avevano preceduto i giovani che avevano rifiutato di imbracciare un'arma durante la Prima guerra mondiale; poi c'erano stati i testimoni di Geova, incarcerati durante il fascismo. Con l'avvento della Repubblica la sorte degli obiettori non era mutata: prima di Pinna erano stati condannati al carcere militare un pentecostale, Rodrigo Castiello, e un testimone di Geova, Enrico Ceroni. Ma si trattava di casi rimasti pressoché segreti. L'obiezione di coscienza veniva discussa in alcuni circuiti, come il Movimento di religione, sorto attorno alla figura di Capitini, o il gruppo di pacifisti radunati dall'ex-prete modernista Giovanni Pioli. Ernesto Caporali, deputato all'Assemblea costituente, del neonato Partito dei socialisti lavoratori italiani (PSLI), aveva addirittura proposto il suo riconoscimento nella Costituzione. Ma rimaneva una discussione ideale, non legata a un caso concreto.

Pietro Pinna aveva fornito all'obiezione un volto e una risonanza nazionale. Al suo processo erano presenti i maggiori quotidiani e diversi periodici gli avrebbero dedicato un reportage. Allo scalpore era seguita l'iniziativa legislativa di due deputati: un democristiano, Igino Giordani, e un esponente del PSLI, Umberto Calosso. Per Pinna la spirale di cartoline precetto e condanne si sarebbe interrotta alla terza chiamata, quando i militari per liberarsene lo riformarono per una inesistente nevrosi cardiaca. Altri giovani erano tuttavia pronti a seguirne l'esempio: il libertario Elevoine Santi e gli anarchici Pietro Ferrua e Mario Barbani. A sostegno si era formato un gruppo di attivisti: oltre a Capitini e Pioli, ne facevano parte Eugenia Bersotti, Edomondo Marcucci, il poeta Guido Ceronetti e Bruno Segre, avvocato difensore di Pietro Pinna (e di molti altri obiettori dopo di lui) e fondatore del mensile L'Incontr", una voce assidua nel sensibilizzare alla causa dell'obiezione.

L'obiezione di coscienza aveva tuttavia incontrato l'ostilità delle maggiori culture politiche. Per quella comunista l'obiezione di coscienza era svalutata a comportamento individualistico e borghese, non compatibile né con la dottrina marxista-leninista, che riconosceva la necessità storica della violenza rivoluzionaria, né con l'esperienza resistenziale, né con un approccio politico che vedeva nel servizio militare un dovere del militante e un'opportunità di propaganda.

Nella Chiesa cattolica il dibattito fu più animato: inizialmente L'Osservatore roman" rivendicò addirittura le radici cattoliche dell'obiezione, raccontando il rifiuto di prestare il servizio militare, da parte di alcuni francescani in piazza dell'Arengo a Rimini nel 1221. Si tratta tuttavia di un'apertura di breve periodo. Sull'ufficiosa Civiltà Cattolica padre Antonio Messineo avrebbe accusato l'obiezione di coscienza di essere elaborazione "dei novatori della riforma protestante", sottraendo alla coscienza del singolo credente la possibilità di raffrontarsi con la moralità di una dichiarazione di guerra e della prestazione del servizio militare. L'articolo sarebbe rimasto un punto di riferimento dottrinale fino al Concilio Vaticano II. Lungo tutti gli anni Cinquanta poche voci dal mondo cattolico si sarebbero levate a difesa degli obiettori, su tutte quella proveniente dalla sperduta parrocchia di Bozzolo di don Primo Mazzolari. A soffocare ulteriormente il dibattito intervenne il clima plumbeo, generato dall'acuirsi delle tensioni tra i blocchi dopo la guerra di Corea. Per tutti gli anni Cinquanta l'obiezione continuò a esistere nelle continue condanne di testimoni di Geova, la grande maggioranza tra gli obiettori: secondo le cifre fornite nel 1972 dal ministro della Difesa su 706 obiezioni avvenute tra il 1945 e il 1972, 622 riguardavano testimoni di Geova.

Non uccidere

Le cose cominciano a mutare al principio degli anni Sessanta. Prima ha una certa risonanza la decisione del sindaco di Firenze Giorgio La Pira di proiettare in pubblico il film Non uccidere, del regista francese Claude Autant Lara, nonostante fosse stato colpito da un provvedimento di censura. Racconta un fatto accaduto nel dopoguerra: lo stesso giorno un tribunale militare francese aveva condannato un obiettore di coscienza e assolto un seminarista tedesco, colpevole di aver obbedito all'ordine di sopprimere un maquis disarmato. Un anno dopo, all'obiettore del cinematografo subentra nel dibattito pubblico uno in carne e ossa. Nel gennaio del 1963 è processato Giuseppe Gozzini, il primo obiettore a rifarsi alla fede cattolica: nella dichiarazione cita le parole di Giovanni XXIII. A don Luigi Stefani, intervenuto su La Nazione per sconfessare la scelta del giovane, risponde in un'intervista sul Giornale del mattino padre Ernesto Balducci, sollecitato dagli operai della Nuova Pignone: chi paga a proprie spese una sincera volontà di pace, merita "silenziosa ammirazione". Per queste affermazioni sarebbe stato denunciato: all'assoluzione in primo grado segue la condanna in appello. Nella sentenza, un "magistrato teologo" lo avrebbe accusato di frode per non aver espresso l'autentico pensiero della Chiesa, omettendo tuttavia la recente enciclica di papa Giovanni XXIII che aveva cambiato irreversibilmente il pensiero della Chiesa cattolica sulla guerra giusta: la Pacem in terris. Due anni dopo, nel 1965, don Lorenzo Milani, avrebbe risposto, con una lettera, divenuta celebre, ai cappellani militari in congedo della regione Toscana che avevano accusato l'obiezione di coscienza di essere "estranea al comandamento dell'amore" ed "espressione di viltà". "Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene". Per don Milani e per Luca Pavolini, il direttore responsabile di Rinascita che aveva pubblicato il testo, sarebbero seguiti un processo e la condanna, giunta dopo la morte del priore di Barbiana.

Anche in Parlamento si manifestano significative aperture: tre progetti di legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza: sono proposti da Lelio Basso del Psiup, Luciano Paolicchi del Psi e Nicola Pistelli della sinistra democristiana. Dal ministro della Difesa Andreotti sembra giungere un assenso per una legge molto restrittiva: persino il generale De Gaulle aveva approvato uno statuto per gli obiettori, lasciando l'Italia in compagnia delle dittature di destra o dei regimi comunisti. Lo Stato Maggiore si mette tuttavia di traverso e il progetto si ferma.

Movimento Nonviolento

Nel frattempo, si era riorganizzato il movimento intorno all'obiezione di coscienza. Dopo la marcia per la pace Perugia-Assisi, Capitini aveva fondato il Movimento nonviolento, chiedendo a Pietro Pinna di sostenerlo nell'impegno. Nascono allora i Gruppi di azione diretta nonviolenta che, attraverso dimostrazioni e sit-in, portano l'obiezione di coscienza nelle piazze. Sono ancora pochi attivisti, spesso vessati dalle requisizioni e dagli arresti delle forze dell'ordine.

Nuovi obiettori, intanto, finiscono sulle pagine dei giornali: il cattolico Giorgio Viola e l'anarchico Ivo Della Savia presentano insieme la propria obiezione al circolo Sacco e Vanzetti, fondato a Milano da Giuseppe Pinelli; pochi mesi dopo a obiettare è un assistente di diritto romano all'Università di Roma: l'eco del caso del cattolico Fabrizio Fabbrini sarebbe stata paragonabile a quelli di Pinna e Gozzini.

Dentro questa temperie non solo le punte più avanzate, ma la stessa Chiesa conciliare matura una posizione diversa. Alla fine del 1965, la costituzione Gaudium et spes esprime l'auspicio che "le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana". Rispetto alle attese la dichiarazione appare tenue e giunge parecchi anni dopo il primo pronunciamento della Chiesa valdese, che, con la sua massima istituzione, il Sinodo, nel 1958 aveva deliberato di appoggiare ogni iniziativa che, "per il rispetto dovuto ai diritti insopprimibili della persona umana, tende a dare uno stato giuridico agli obiettori di coscienza". La Gaudium et spes è comunque un grimaldello che prepara dichiarazioni via via più avanzate. Seguono infatti gli interventi di Paolo VI nella Populorum Progressio nel 1967, della Pontificia commissione Iustitia et Pax nel 1969, del Sinodo episcopale nel 1971. Nel 1976, infine, il convegno "Evangelizzazione e promozione umana" avrebbe definito l'obiezione di coscienza "scelta esemplare e preferenziale dei cristiani". Rispetto a questa maturazione, particolarmente significativa è l'evoluzione di Pax Christi che, sotto l'impulso del vescovo Luigi Bettazzi, diventa il primo movimento cattolico a mobilitarsi per l'obiezione. L'ultimo giorno del 1969, la Marcia per la pace, divenuta poi un appuntamento tradizionale, si conclude al carcere militare di Peschiera del Garda come segno di solidarietà con gli obiettori detenuti.

Il Sessantotto

Il Sessantotto trasforma l'obiezione di coscienza. Da fatto principalmente intimo di uomini che con il loro rifiuto intendevano costruire una civiltà di pace, l'obiezione diventa atto politico che partecipa alla più ampia lotta di classe, contro un sistema oppressivo che ha nell'esercito il suo baluardo. Gli obiettori aumentano. Tra 1971 e 1972 nascono quattro collettivi che sottoscrivono veri e propri manifesti antimilitaristi. Anche i movimenti che sostengono l'obiezione di coscienza mutano: in molte città sorgono gruppi antimilitaristi nonviolenti. In un primo momento, un indipendente di sinistra, Luigi Anderlini cerca di legare questo nuovo movimentismo all'iniziativa parlamentare di deputati e senatori, trasversale ai partiti. L'esperimento si sarebbe esaurito dopo un paio di anni, preda delle divisioni tra una componente più istituzionale e un'altra meno incline a un compromesso su una legge più restrittiva.

Alla guida del movimento antimilitarista si pone allora il Partito radicale. Mutando la propria linea restia a ogni accordo, nel 1972 sarebbe stato in grado di imporre al Parlamento una legge sull'obiezione di coscienza, con il lungo sciopero della fame di Marco Pannella e Alberto Gardin, che ottiene una risonanza internazionale. Non pone alcun vincolo rispetto ai contenuti, ma solo sui tempi: il Parlamento avrebbe dovuto approvare il provvedimento entro Natale. E così avviene. La nuova legge sarebbe stata in realtà particolarmente restrittiva: il servizio civile era posto alle dipendenze del ministero della Difesa, rimanendo impraticabile per testimoni di Geova e anarchici, e durava otto mesi in più di quello militare. Soprattutto, l'obiezione di coscienza non era un diritto: le motivazioni degli obiettori erano sottoposte al vaglio di una commissione. Votata la legge truffa sull'obiezione di coscienza, avrebbe titolato allora Azione nonviolenta, mentre per Pax Christi continuava la lotta per una legge "corrispondente allo spirito della Dichiarazione dei diritti dell'uomo" e della Costituzione.

Per diversi obiettori, la legge non muta dunque il destino di incarcerazione. Tuttavia, le restrizioni non impediscono una cospicua crescita degli obiettori. Soprattutto dopo l'ingresso di Caritas e Arci tra gli enti firmatari di una convenzione con il Ministero, i giovani in servizio civile si sarebbero attestati nell'ordine delle migliaia. L'obiezione di coscienza era dunque il successo di tante minoranze che, pur da posizioni non sempre convergenti, si erano adoperate per proporre un'altra idea di difesa della patria: nonviolenti, libertari, cattolici, anarchici, socialisti, radicali, valdesi, testimoni di Geova.

 

 

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Marco Labbate, Un'altra patria. L'obiezione di coscienza nell'Italia repubblicana, ed. Pacini, Pisa, 2020

L'autore traccia la storia della legge 772 del 1972 che introdusse l'obiezione di coscienza al servizio militare. Una lotta durata oltre 25 anni che ha coinvolto movimenti, intellettuali, uomini politici, sacerdoti, cristiani di diverse confessioni, libertari, anarchici, e soprattutto giovani. A quei giovani, i primi 706 che scelsero di non servire la patria con le armi, furono imposti rifiuto e pene detentive.

 

 

 


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