Il cammino sinodale della Chiesa in Italia.

 

Con la pubblicazione estiva della Sintesi nazionale della fase diocesana e del testo I cantieri di Betania è avvenuto il passaggio dal primo al secondo anno del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, un percorso quinquennale (2021-2025) avviato dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) nel maggio del 2021 e suddiviso in tre fasi.

La prima, definita "narrativa" (2021-2023), è finalizzata all'ascolto e al racconto della vita delle persone, delle comunità e dei territori, attraverso il coinvolgimento non solo dei praticanti, ma anche di quanti si sentono ai margini o fuori dell'esperienza ecclesiale, compresi i membri di altre Chiese e religioni. Questa fase risulta, a sua volta, distinta in due tappe, quella dall'ottobre 2021 al maggio 2022, dedicata alla riflessione sulla sinodalità come forma della Chiesa e coincidente con la consultazione prevista per il Sinodo dei vescovi su "Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione" (di cui ha utilizzato il Documento preparatorio), e quella dal giugno 2022 al maggio 2023, in cui il confronto dovrà concentrarsi su alcuni temi prioritari.

Nella seconda, chiamata "sapienziale" (2023-2024), le Chiese locali s'impegneranno in una lettura spirituale delle narrazioni emerse nel biennio precedente, cercando di discernere "ciò che lo Spirito dice alle Chiese" attraverso il sensus fidei del popolo di Dio. La terza o "profetica" (2024-2025) consisterà nella preparazione di un documento contenente alcune scelte pastorali, da sottoporre a una consultazione a livello locale per essere assunte in un'assemblea nazionale e riconsegnate al popolo di Dio, affinché le incarni nelle comunità dal 2025 al 2030.

Una lungagestazione

Alla convocazione del Cammino sinodale delle Chiese in Italia si è giunti dopo sei anni di sollecitazioni sempre più perentorie di papa Francesco. Era stato lui, infatti, a Firenze nel 2015 a suggerire, durante il V Convegno nazionale della Chiesa italiana, di avviare "in modo sinodale" un approfondimento della Evangelii gaudium. Poi, all'Assemblea della Cei del 2019, aveva evocato un "possibile Sinodo italiano", dicendo, quindi nel gennaio 2021, all'Ufficio catechistico nazionale che "la Chiesa italiana deve incominciare un processo di Sinodo nazionale"; infine, rivolgendosi al Consiglio nazionale dell'Azione cattolica italiana nell'aprile successivo, aveva annunciato il "cammino sinodale che incomincerà la Chiesa italiana… da ogni comunità cristiana, dal basso fino all'alto. E la luce, dall'alto al basso, sarà il Convegno di Firenze".

Davanti a questi inviti, per molto tempo la Cei era rimasta in silenzio, resa reticente dalla scarsa abitudine a discutere liberamente per dare della Chiesa un'immagine di compattezza (cui venivano sacrificate, emarginandole, le voci e le esperienze critiche), dallo spauracchio del Cammino sinodale della Chiesa tedesca, cioè di un dibattito che sollevasse questioni "controverse", come la fine dell'obbligo del celibato per i preti e l'accesso delle donne ai ministeri ordinati, e soprattutto dalla mancata percezione del bisogno di una "discontinuità" rispetto all'ultimo mezzo secolo ecclesiale, scandito da Convegni nazionali decennali sempre più rituali,  descritto in termini di armonioso sviluppo, rimuovendo svolte e conflitti, e non scosso dagli scandali degli abusi su minori a opera di membri del clero, ritenuti incresciosi casi individuali.

A vincere queste perplessità ha però contribuito la pandemia, che ha evidenziato la fragilità e i molti nodi irrisolti di una Chiesa e di un cattolicesimo italiani che starebbero vivendo, secondo il sociologo Franco Garelli, "una stagione ‘autunnale' dovuta al processo di secolarizzazione, alla crisi delle vocazioni, alle tensioni interne agli ambienti ecclesiali e al peso ormai insostenibile delle strutture", al crescente numero di cattolici (cosiddetti "culturali", pari al 45%) assenti dai riti religiosi, al crollo di quello dei giovani praticanti, che rendono superato il "modello di ‘cattolicesimo di popolo' pensato nel passato".

Una Chiesa dove non mancano realtà feconde ed esperienze innovative, ma nell'insieme stanca, inerte, poco creativa, sempre più estranea alla vita della gente, ancora retta da un modello ecclesiologico espressione di un regime di cristianità, concentrata su una pastorale "sacramentalista" e su forme di cristianesimo devozionale e sentimentalista, spaesata davanti alle trasformazioni delle modalità del credere, incapace, nonostante le sue innumerevoli iniziative di carità, di "dire una parola rilevante" nelle gravissime crisi vissute dall'Italia dal 2008 a oggi.  

Così, proprio quando si chiede di passare da un modo di procedere deduttivo e applicativo a un metodo di ricerca e sperimentazione che costruisce l'agire pastorale dal basso e in ascolto dei territori, forti risultano lo scetticismo di un clero affaticato e lo scarso interesse in un laicato poco formato sul piano teologico, entrambi accomunati dalla sfiducia circa la volontà di operare cambiamenti.

La prima fase della consultazione ha comunque suscitato 50mila "gruppi sinodali", con circa mezzo milione di partecipanti, e 200 sintesi diocesane (su 220 diocesi) pervenute alla Cei, oltre a 19 elaborate da altri gruppi. L'impressione è che in alcune diocesi l'impegno sia stato intenso, ma in molte altre tutto si sia svolto in modo burocratico, coinvolgendo solo gli "addetti ai lavori". Emergono comunque con chiarezza alcuni nodi critici: una Chiesa vista come giudicante, clericale, incapace di ascoltare e comunicare, soprattutto coi giovani, perché moralista e dotata di un linguaggio obsoleto, che si riverbera nella catechesi e nella liturgia, ma non offre una spiritualità in grado di orientare la vita, una Chiesa in cui il laicato non conta nulla, le donne sono emarginate e le persone omosessuali discriminate. Al contempo forte è la richiesta di rimettere al centro la Parola di Dio, di accogliere le differenze (generazionali, di genere e orientamento sessuale, culturali e sociali) e accompagnare le diverse situazioni di vita, dando priorità alle relazioni rispetto a ruoli e strutture, di rinnovare "liturgie smorte o ridotte a spettacolo", aggiornando il "registro linguistico e gestuale", di superare "la mancanza di trasparenza" che "ha favorito insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali quali la gestione delle risorse economiche e gli abusi di coscienza e sessuali", di promuovere la corresponsabilità, "vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico", e il dialogo con la società civile, di "rivedere la formazione dei presbiteri e rafforzare le competenze delle laiche e dei laici impegnati nei diversi ministeri". Temi ed esigenze in larga consonanza con quelle sollevate dalla rete di una trentina di sigle (tra cui Pax Christi), spesso formate da una pluralità di gruppi, che si è costituita l'anno scorso proprio per offrire un apporto "di base" al Cammino sinodale.

Il discernimento su questa sintesi ha condotto la Cei a individuare tre "cantieri sinodali" (cui ogni Chiesa locale potrà aggiungerne un quarto a propria scelta) su cui focalizzare il secondo anno di ascolto, attorno all'icona dell'incontro di Gesù con Marta e Maria nella casa di Betania (Lc 10, 38-42): la strada e il villaggio, con l'ascolto dei mondi in cui i cristiani vivono e lavorano, in particolare quelli solitamente silenziosi o inascoltati (poveri, esclusi o discriminati nella società come nella comunità cristiana); l'ospitalità e la casa, interrogandosi sulla qualità delle relazioni, sulla sostenibilità e funzionalità delle strutture ecclesiali, sul decentramento pastorale per una presenza diffusa sul territorio, per esempio sulla funzione consultiva e deliberativa da riconoscere agli organismi di partecipazione; le diaconie e la formazione spirituale, ravvivando il nesso tra servizio e spiritualità, individuando i ministeri da promuovere nelle comunità cristiane e approfondendo la formazione dei laici e dei ministri ordinati.

 

 

 


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