Parola a rischio
Qualifica Autore: benedettina

Indignazione, sgomento, speranza nelle preghiere e nei salmi.

 

Dire parole violente, le parole suscitate dall'offesa subita, dalle ferite che sono state inferte con accanita e compiaciuta crudeltà. Lasciare che l'urlo si raccolga nelle parole e diventi spazio per affermare, ancora una volta, la propria identità, per lasciar vivere la propria libertà per fare di un no la confessione della fedeltà, tutto ciò vive in questo breve bellissimo salmo.

È un salmo che scandalizza per la virulenza, quale che sia la traduzione proposta. Sgomenta. Allora ci viene incontro la retorica a ricordarci varietà di generi letterari presenti nel testo biblico con l'offerta di chiavi ermeneutiche da utilizzare per far sì che tali parole non brucino e non provochino decisioni di distanza da Dio e dal suo popolo.

L'orizzonte storico è l'esilio o, meglio, la memoria dell'esilio. Piccole sillabe compongono questa parola "esilio", sillabe che grondano lacrime, dolore e che si affidano al silenzio. Non s'ode il canto richiesto, non vibra alcuna corda delle cetre, sospese. Perché il canto è il mio esistere, è dichiarazione di un'appartenenza, è indicazione dell'orizzonte del mio vivere.

Il canto sospeso

Non può il canto di culto essere eseguito, in contesto difforme da quello in cui è fluito, rispondere a finalità incongrue, dirigersi verso destinatari che lo richiedono soltanto per soddisfare il gusto musicale del momento. Non può il canto di lode e di confessione di fede, il canto dei liberati, non può divenire il relax degli aguzzini; è canto nato per altro, per l'Altro. È canto di popolo con il suo Dio, non può disfarsi, alterarsi, negarsi. E, soprattutto, il canto di lode non può inneggiare ad alcun potere!

Il salmista abita ora la terra dell'esilio irrigata, ma sulle sponde dei suoi fiumi non crescono come alberi verdeggianti i giusti, piuttosto, vi passeggiano gli oppressori; e la città che domina non è la città della pace, Gerusalemme, ma la città della confusione, della devastazione, Babilonia. La città cifra del potere che ammalia, seduce, manipola, schiavizza… Tra nostalgia e ricordo benedetto di Sion, si muove il parlare e il tacere del salmista. Se la lirica gravita verso l'imprecazione finale, acutizzata dall'inopportuno (tale ci pare!): "beato", è perché sul ricordo dell'esilio domina il fulgore della città della pace.

Nessuna lontananza può sciogliere il rapporto con lei! Il ricordo di lei immette non già nell'atmosfera del rimpianto o della pura nostalgia, ma nella mobilitazione interiore per una novità, forse per un sogno, il sogno di Dio, la vittoria sul male. Tale desiderio divampa in noi proprio quando il male sembra sovrastarci: si affida inizialmente allo smarrimento per una sicurezza infranta, quindi sciorina "perché?", ma ogni risposta non regge, è instabile, si rischia allora di imboccare la strada della rassegnazione che sclerotizza il tempo oppure si può dar spazio, voce al desiderio. Il ricordo e il noi campeggiano in questo salmo. La memoria è il punto-forza di aggregazione e il ricordo, accompagnato dal rifiuto di cantare i canti di Sion, diviene azione di resistenza.

Il sogno – augurio e speranza si raccoglie nella raccapricciante beatitudine finale: beato chi afferrerà – i tuoi piccoli... I piccoli, sempre loro sono i primi destinatari con le donne, dell'accanimento bellico. Sempre loro, i germogli di vita e le madri che li hanno portati in grembo, coloro che la paura ha urgente bisogno di estirpare ieri e oggi. Ora sono gli esiliati a desiderare e a volere questa efferatezza, simmetrica a quella sperimentata e subita. Si tratta di distruggere il fondamento e il futuro del potere tiranno e idolatra, si tratta di distruggerlo ab imis.

L'esegesi patristica del Salmo ci riporta alla nostra responsabilità: occorre esercitare violenza nella vita spirituale, con la forza dello Spirito, occorre distruggere i pensieri perversi, i suggerimenti appena nati, non è consentito alcun patteggiamento. È ciò che S. Benedetto, in modo icastico, alla scuola della tradizione monastica, suggerisce: "Cogitationes mala scordi suo advenientes mox ad Christum allidere" (RB 4, 50).

Leggo questo salmo anche come un chiaro invito a leggere la storia, a scrutare disegni mortiferi, ad aprire gli occhi sui dati di realtà, operazione difficile che è animata da una passione politica, da un autentico impegno per la tutela del bene comune.

Pregare imprecando?

No, non è possibile! Invece, sì. La preghiera accoglie la voce della tempesta, dell'uragano, accoglie l'urlo, accoglie le emozioni quelle socialmente bollate come inopportune: l'ira, la violenza, l'odio, la vendetta. Sì, ci abitano e se non ne siamo consapevoli ci orientano in modo subdolo rivestendosi anche di limpida concettualità. Così l'urlo immediato dell'"a morte" viene strozzato, perché troppo volgare, ma lo si stempera nell'ovattato mondo degli incontri internazionali dove tutto ha il fascino dell'osservanza protocollare e l' "a morte" diviene progetto di reclutamento, di embargo, di riarmo. È più difficile oggi, strappare i progetti mortiferi appena concepiti o neonati, ma per questo impegno che deve essere audacemente e sapientemente politico, passa anche il confine tra una vita idolatrica e la fedeltà all'alleanza. Babele armata di bombe! Devastatrice! Beato chi afferra i tuoi figli – le creature dei tuoi laboratori – e li scaglia contro una roccia (Ernesto Cardenal, Grido Salmi degli oppressi, Cittadella, Assisi 1975 p.66).

Sguardo libero

Un altro orizzonte si disegna in questo salmo, un orizzonte che sorprende. È un midrash ad additarcelo: "Rabbi Zeira, in nome di Rabbi Shimon ben Laqish, dice: quando le iniquità di Israele fecero sì che i gentili entrassero a Gerusalemme, questi oppressero i più forti tra i figli di Israele e legarono loro le mani dietro la schiena: allora il Santo – sia benedetto – disse: "Nell'angoscia io sono con lui" (Sal 91,15) come a dire: i miei figli sono nell'angoscia e io dovrei stare a guardare? Infatti – se ciò fosse possibile – "Egli ripose la sua destra dietro la schiena di fronte al nemico (Lam 2,3) e disse: Per tutto il tempo in cui i miei figli sono legati in schiavitù, anche la mia destra sarà legata insieme a loro: Ma quando libererò i miei figli, libererò anche la mia destra (Mt 525; cf Sa l98,1)" (Alberto Mello, Leggere e pregare i Salmi, Qiqajon Comunità di Bose, 2008, p.568).

Come non pensare al Cristo con le mani legate, flagellato, insultato, oppresso? E come non cantare, nella luce pasquale, alla destra del Signore, alla destra piagata del Risorto, attraverso la quale la destra slegata di Dio, immette germogli di vita nuova nel nostro feriale segnato ancora da rivoli di sangue, da cataste di macerie, da cieli violati da missili e da nubi tossiche?

Sperare è avanzare in questa regione della promessa, accettando oggi di compatire, di condividere, di lottare, facendo sì accettare che la vita, la nostra vita, sia perenne intercessione. Attraverso il silenzio, la memoria, l'imprecazione questo salmo ci conduce, alla vigilanza, all'impegno e alla contemplazione.