Tanti giovani attivisti ebrei in tutto il mondo sono scesi in piazza gridando "Not In My Name".
Contrastare l'equazione governo israeliano=mondo ebraico, accreditata dalla narrazione ufficiale, è il primo passo per aprire uno spiraglio alla speranza.
Oscurate dai media, e spesso violentemente attaccate, moltissime voci ebraiche, nei Paesi occidentali e anche in Israele, chiedono il cessate il fuoco come premessa per ragionare su una soluzione che riconosca finalmente, oltre che quelli di Israele, i diritti del popolo palestinese. Voci singole, come, in Italia, quelle di personaggi noti come Moni Ovadia e Gad Lerner, ma anche eventi collettivi. A Firenze una fiaccolata per la pace convocata da padre Bernardo Gianni, priore dell'abbazia di San Miniato, ha visto la partecipazione, insieme a migliaia di persone, del rabbino capo Gadi Piperno e dell'Imam Izzedin Elzir. E a Trieste, con 15 minuti di silenzio davanti al mare, sul molo Audace, moltissime persone hanno pregato, ciascuna a suo modo, per la pace: oltre al promotore, il vescovo Trevisi, il rabbino capo Eliahu Alexander Meloni e il presidente della comunità islamica locale, Omar Akram, e rappresentanti di diverse Chiese. E attivisti e comunità delle sinagoghe alternative al mainstream continuano la loro azione di pace. Di notevole portata l'impegno di un gruppo di giovani ebree e ebrei romani (cfr box).
È ovunque forte l'impegno delle reti internazionali già attive prima della crisi come Alliance for Middle East Peace Europa, una coalizione di 170 organizzazioni presieduta da Giorgio Gomel, con migliaia di israeliani e palestinesi che lavorano per la comprensione reciproca e una società condivisa, e, a lungo termine, una pace duratura che garantisca la giustizia per tutti, JCALL, European Jewish Call for Reason, una rete composta da cittadini ebrei di vari Paesi europei che "aspirano a una pace in Medio Oriente sulla base di un accordo fra israeliani e palestinesi secondo il principio di "due popoli, due Stati" (www.allmep.org), e The International Progressive Jewish Network, in cui l'Italia è rappresentata in JCall Europe, che, in un "appello a mantenere l'umanità anche nei tempi dell'orrore", ha ribadito che senza una soluzione ragionevole e una fine del regime di occupazione non vi sarà mai un orizzonte di pace.
Minimizzata dai media è poi la spaccatura che attraversa il mondo ebraico statunitense, con componenti numericamente consistenti che chiedono il cessate il fuoco e l'apertura di un percorso che porti al riconoscimento dei diritti dei palestinesi, ed esortano a distinguere le politiche sioniste del governo israeliano dalla coscienza ebraica.
Durissime le dichiarazioni del rabbino Yisroel Dovid Weiss del gruppo di ebrei ortodossi Neturei Karta: "L'intero concetto di derubare questa terra al popolo palestinese è completamente antitetico e contradditorio rispetto alla nostra religione, l'ebraismo".
Anche Jewish Voice for Peace ha intensificato le sue Campagne con slogan come: "Non con i nostri soldi", "No tecnologie per l'apartheid", "Stop allo scambio mortale", ossia la partnership Israele-Usa nello scambio di apparati e know-how repressivi che violano i diritti umani in nome di una malintesa sicurezza. E ha organizzato numerose manifestazioni: "Da Ellis Island a Gaza, mai più significa mai più. Per chiunque", "Gli ebrei sentono l'urgenza di esprimere il loro dolore e dicono 'Cessate il fuoco ora'". Il 18 ottobre alcune centinaia di persone sono entrate nel Campidoglio e sono state arrestate, tra loro una ventina di rabbini. Ma ovunque giovani attivisti ebrei, cresciuti politicamente negli ultimi anni nelle mobilitazioni delle minoranze etniche, scendono in piazza gridando "Not In My Name".
Nello stesso Israele, nonostante i divieti e le restrizioni imposti dal governo, tutte le associazioni storiche per l'incontro e la pace, come ad esempio Neve Shalom, continuano "ad accendere una torcia nell'oscurità" con il loro impegno. Standing Together, movimento di ispirazione socialista per l'uguaglianza, la pace, la giustizia sociale, che vede insieme arabi ed ebrei "per una politica congiunta", ha organizzato, ostacolato da estremisti di destra e istituzioni, convegni di solidarietà ad Haifa, Tel Aviv e Abu con centinaia di partecipanti ogni volta e ha in programma altre tappe "per chiedere piena uguaglianza per tutti i cittadini di Israele, ebrei e arabi. Nessuna discriminazione, nessun razzismo, nessuna incitazione. Un futuro di uguaglianza civile e nazionale". Coraggiosissime, infine, le voci di parenti di vittime dell'attacco di Hamas che chiedono pace, non vendetta: "I miei genitori erano gente di pace. Dobbiamo rompere il circolo" (Maoz Inon), "Smettete di uccidere persone, smettete di uccidere bambini. La guerra non è la risposta" (Michal Halev, che ha perso il figlio), Non scrivete il nome di mio padre su un proiettile. Lui non lo avrebbe voluto" (Yotam Kipnis), "Ritorno degli ostaggi. Pace. Moralità e equità… me lo dovete" (diciannovenne sopravvissuto al massacro nel kibutz Be'eri.).
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LƏA, Laboratorio Ebraico Antirazzista
È formato da giovani ebree ed ebrei italiani, esprime angoscia e orrore per la situazione in Palestina e Israele. In questo momento di dolore e di devastazione, in cui piangiamo persone amate sia israeliane sia palestinesi, chiediamo la fine del massacro a Gaza e il rilascio immediato degli ostaggi israeliani.
Siamo ancora sgomenti per la carneficina di Hamas del 7 ottobre: niente può giustificare la strage e la cattura di civili inermi. A questo lutto si è aggiunto l'orrore per la violenta campagna militare israeliana volta a punire collettivamente il popolo palestinese. A Gaza, oltre due milioni di persone sono assediate e bombardate dall'aviazione israeliana, private di cibo, acqua, corrente elettrica e corridoi umanitari. Un crimine di guerra non ne giustifica un altro. Chiediamo al governo italiano e all'Unione Europea di attivarsi con urgenza per porre fine allo spargimento di sangue e per raggiungere un cessate il fuoco.
Qui in Europa, denunciamo la stretta sulla libertà di espressione e di manifestazione pacifica. Rifiutiamo la retorica dello scontro di civiltà che sta già causando una drammatica recrudescenza di episodi di islamofobia e antisemitismo. Invece di mobilitare alcune minoranze contro altre, è necessario affrontare con serietà ogni forma di razzismo e ragionare su altre forme di coesistenza oltre lo stato nazione.
La Nakba, i decenni di occupazione militare della Cisgiordania, le politiche di colonizzazione, l'apartheid e l'embargo su Gaza sono tra i fattori che impediscono di immaginare un futuro insieme. Come lo sono gli attacchi indiscriminati sui civili. La comunità internazionale è complice delle ripetute violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e della distruzione fisica e morale di tutte le comunità che vivono nella regione. Chi è sul campo ha bisogno dell'aiuto e della pressione di tutti gli attori coinvolti per fare spazio a una soluzione politica che comporti la fine dell'occupazione e la dignità per tutti i popoli. Non c'è altra via d'uscita.