Ultima tessera
Qualifica Autore: Ong Mediterranea Saving Human

Commenti e note a partire dal decreto-legge 1/2023 con le nuove norme previste per le navi di soccorso in mare: quale coscienza e fraternità?

 

Negli ultimi mesi è ricominciata la campagna di criminalizzazione delle organizzazioni della società civile che operano per il soccorso nel Mediterraneo.

Come al solito, tra le parole più efficaci sull'argomento troviamo quelle dell'arcivescovo Giancarlo Perego, presidente della Commissione Cei per le migrazioni, che in audizione presso le Commissioni Affari Istituzionali e Infrastrutture ha affermato: "Il provvedimento (decreto legge 1/2023, NdR) va abrogato. Se si vuole combattere il traffico di esseri umani l'attenzione va portata sul rinnovo del memorandum con la Libia piuttosto che sull'azione delle Ong". Il punto è esattamente questo: cercare in vari modi, tramite campagne di diffamazione e provvedimenti, di allontanare le Ong dal Mediterraneo ha l'effetto di togliere dal mare le navi della società civile che monitorano, testimoniano e denunciano le violazioni dei diritti umani e salvano le persone prima che le catturi la cosiddetta Guardia Costiera libica. Il vero problema del Mediterraneo centrale non sono le navi delle Ong, ma le motovedette della cosiddetta Guardia Costiera libica, in gran parte donatele dall'Italia, che catturano le persone migranti in mare e le deportano nei lager libici, violando così i diritti umani internazionali, in particolare quello al "non refoulement" sancito dalla Convenzione di Ginevra.

Sono più di 20.000 le persone migranti catturate in mare dalla cosiddetta Guardia Costiera libica nel 2022. Tutto ciò avviene grazie agli accordi Italia-Libia del 2017, rinnovati tacitamente nel novembre 2022. Specialmente in questi tempi in cui giustamente si ricomincia a parlare di mafia, non bisogna dimenticare quello che le inchieste di Nello Scavo su Avvenire hanno svelato: i superboss della mafia libica, citati in vari rapporti internazionali, Bija e Al-Khoja, si trovavano ai tavoli degli accordi Italia-Libia del 2017. A distanza di 5 anni da quegli accordi, recentemente rinnovati, il potere di tali superboss della mafia libica nei respingimenti e nei lager è addirittura aumentato: Bija è Maggiore della cosiddetta Guardia Costiera libica di Zawyia, che appunto opera i respingimenti su finanziamento di Italia e Malta, e Al-Khoja è direttore del Dipartimento per il contrasto all'immigrazione illegale, che gestisce una dozzina di Centri di detenzione, ossia lager, finanziati dall'Unione Europea. Su Twitter gestisce un account, qualificato sia nelle inchieste giornalistiche sia negli atti parlamentari come "portavoce della mafia libica": in tale account, oltre a pubblicare materiale per conto della mafia libica e delle milizie, ha divulgato foto di velivoli militari europei e foto, scattate con il cellulare, di documenti "top secret" di apparati militari nostrani e ha attaccato pubblicamente alcuni di noi, proprio per il nostro lavoro. Tutto questo è stato oggetto di interrogazioni parlamentari e di denunce presso la Magistratura, ma ancora non ci sono state risposte dalle autorità. È un Paese civile quello che finanzia la mafia di un altro Paese, perché catturi le persone migranti e le deporti nei lager? La posta in gioco non è solo la vita e la dignità dei nostri fratelli e sorelle, ma anche la nostra civiltà e l'integrità della nostra Repubblica e dell'Unione Europea. Risuona il grido del card. Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia: "Fino a quando l'indifferenza continua a soffocare l'indignazione, non si sono speranze. Ci chiediamo: perché l'Unione Europea continui a finanziare le mafie della Libia che mantengono aperti campi di concentramento per migranti nel Paese? Fino a quando le nostre coscienze rimarranno sorde e anestetizzate a tutto questo? Quando si risveglierà la coscienza del Mediterraneo?".

Il fenomeno dell'immigrazione è complesso e, come tale, va affrontato assumendo proprio il paradigma della complessità. La verità esige che si dica chiaramente che quello che si sta verificando in questa epoca storica non è una crisi migratoria ma una crisi della giustizia globale, come ha affermato la nostra amica e compagna Carola Rackete: "Fino a quando questo sistema economico continuerà a produrre una disuguaglianza sociale così profonda e la natura sarà sfruttata pressoché in ogni angolo del pianeta, le persone affideranno le loro vite a barche sulle quali nessuno sceglierebbe mai liberamente di viaggiare. Ed è questa la ragione per cui non ci troviamo di fronte a una crisi migratoria. Siamo di fronte a una crisi della giustizia globale". Ricostruire la giustizia è una sfida ardua ma necessaria e non si può basare semplicemente sui fondi che gli Stati versano ai governi africani. La giustizia riguarda le relazioni: per ricostruire la giustizia occorre tessere una vera fraternità tra i popoli, a partire dal basso, come fanno le Chiese e i movimenti popolari. Occorre farci fratelli tutti non a parole, ma nella carne, tramite i nostri corpi e le nostre relazioni.

È l'unica via per costruire davvero la giustizia e la fraternità ed è l'unica via per salvarci: è quello che mi mostrano costantemente i miei tanti compagni e compagne di avventure di Mediterranea, delle comunità cristiane, dei centri sociali… Rimango sempre sbalordito da una cosa: com'è possibile che i miei compagni, che affrontano una missione così impegnativa, attraverso molte difficoltà, siano così felici? Chi conosce il Vangelo non deve sorprendersi: Gesù lo ha mostrato chiaramente che amare veramente, cioè visceralmente, è la via per trovare la vita piena. I miei compagni e le mie compagne mi testimoniano continuamente con il loro esempio, che la Parola di Gesù è vera. È questa la sfida che tutti abbiamo davanti in questo momento storico, sia come singoli sia come comunità: vogliamo chiuderci davanti a chi soffre, a chi è oppresso, a chi è scartato, o vogliamo aprire il nostro cuore e amare veramente? La prima via può portarci a un benessere materiale ma superficiale e ci lascerà sempre insoddisfatti e irrequieti; la seconda via ci chiederà impegno e dedizione, ma ci darà la gioia vera. Non è una predica, è quello che ho visto e vedo con i miei occhi. Prego e spero che tutti possiamo scegliere la via dell'amore vero, la via di Gesù: salveremo così non solo i nostri fratelli e sorelle oppressi o scartati, abbandonati in Libia, in mare o lungo le nostre strade, ma anche noi stessi.