Siamo tutte con voi: le donne iraniane, le loro proteste e la costruzione di un mondo di diritti e di pari dignità. Intervista a Parisa Nazari.
Parisa Nazari è una mediatrice interculturale, nata a Teheran. Fa parte dell'associazione "Donne per la dignità" ed è autrice del nostro editoriale di novembre 2022.
Ci ha raccontato, in quell'articolo prezioso, le ragioni della protesta delle donne iraniane scese in piazza dopo l'arresto di Mahsa Amini dello scorso 13 settembre e la sua morte del 16 dello stesso mese. L'abbiamo incontrata nuovamente per sapere, dal di dentro, cosa stia accadendo oggi in Iran.
In che modo le donne in Iran, oggi, sono protagoniste di un cambiamento?
Lo strumento più usato dalle donne, in questa loro lotta pacifica e nonviolenta, è la disobbedienza civile. Laddove le leggi sono contro le donne – e in Iran ce ne sono! – queste ultime, senza violenza né aggressività, cercano di trovare un modo creativo di disobbedire e di violare le leggi. Mi vengono in mente, ad esempio, le immagini di quella che poi è stata soprannominata la "ragazza della via della rivoluzione", dal nome della strada di Teheran, centrale e piuttosto affollata, nel mezzo della quale questa donna ha tolto il velo bianco e lo ha legato a un bastone. Indossava una specie di tuta nera molto semplice ed è salita su una centralina elettrica sventolando il velo. È stata subito arrestata e le immagini sono diventate virali. Era il 2018. Dopo, moltissime donne hanno ripetuto il suo gesto, ovunque, per strada come in piazza. Molte di loro – soprannominate tutte "le ragazze della via della rivoluzione" anche se erano in altri luoghi della città – da allora non portano più il velo, sapendo di rischiare tanto. Sappiamo bene il destino di Mahsa Amini. Come minimo saranno condotte con la forza in tribunale, saranno arrestate e maltrattate, trattate come criminali. Ma può capitare loro di ben peggio. Lo fanno perché credono che queste leggi non siano giuste. Ritengono che lo Stato non possa permettersi di decidere del loro abbigliamento – una forma, di potere sul corpo della donna.
Dall'inizio delle manifestazioni in Iran, quali segnali di cambiamento o reazioni ci sono state?
La situazione è cambiata moltissimo. Sono passati quattro mesi (dal 16 settembre 2022) ed è cresciuta molto la sensibilità e l'attenzione rispetto alle richieste di queste donne giovani che rivendicano i loro diritti fondamentali. Chiedono solo di vivere una vita "normale", che ogni loro esigenza non sia considerata un atto di sfida nei confronti dello Stato. E lo fanno in maniera non solo pacifica ma anche poetica. Mi viene in mente un altro episodio di questi scorsi mesi: l'offerta di un abbraccio, pratica diffusa in tanti altri Paesi del mondo. Sono ragazze giovanissime, poco più che adolescenti, con dei cartelloni in mano con scritto "Offro abbracci a persone tristi" e le braccia aperte. In Iran, questo gesto ha un significato diverso rispetto a quello che può rappresentare in Italia perché una donna non solo deve coprirsi ma non può assolutamente toccare un uomo. Offrire un abbraccio per strada a tutti, uomini e donne, è un atto di sfida, che può costare caro, ma è anche un atto di amore, di umanità. Proprio questa loro grande voglia di libertà è alla base dello slogan che caratterizza questa rivoluzione: "Donna Vita Libertà".Sono persone nonviolente. È incredibile come, in tutti questi mesi di violenza inaudita, proseguano nella loro lotta pacifica. Le notizie che ci arrivano sono tremende: torture subite, corpi lacerati… e di fronte a tutto questo, riescono ancora a rispondere con la convinzione della nonviolenza, in un'età, la giovinezza, in cui è facile essere aggressivi e avercela con il mondo intero.
Cultura, lavoro e politica sono strade di costruzione di una società giusta e fondata sui diritti. Iran e cultura: cosa ci racconti in merito? Quale accesso per le donne?
Cultura è la parola chiave di questa rivolta! Noi la chiamiamo rivoluzione, anche se siamo consapevoli che non risponde ai canoni classici delle rivoluzioni come quelle del secolo scorso. La chiamiamo così perché comporta un cambiamento epocale, radicale, della società iraniana. Un cambiamento di paradigma che si fonda proprio sulla consapevolezza e sulla cultura, intesa come coscienza. Le famiglie iraniane investono molto sull'istruzione universitaria dei propri figli e figlie. Le donne sono "più agguerrite" nello studio così come nei tentativi di superare concorsi nazionali, difficilissimi, che comportano un investimento nell'istruzione che comincia anni prima. Hanno capito il valore della cultura e del lavoro. Sempre di più si iscrivono in facoltà propriamente maschili, riuscendo a superare selezioni spesso inaccessibili anche agli uomini. In tutto questo, è cresciuta la consapevolezza sociale. In tantissimi hanno capito che, pur se lo Stato lasciava fuori le donne da alcuni ambiti sociali, queste hanno trovato il modo di entrarci, anche in zone del Paese dove manca tutto, prive di acqua potabile e di scuole, zone nelle quali arrivano Ong le cui attiviste sono spessissimo donne. Così hanno creato una rete, uomini e donne, sempre più forte e più fitta. Hanno fatto molto, sia per sé che per la società. Anche laddove la legge è contro di loro, hanno cercato di provare ad aprire un dialogo. La società civile iraniana è molto più avanti della classe dirigente. Ad esempio, secondo la Sharia, l'eredità destinata ai figli maschi è maggiore rispetto a quelle delle figlie femmine. Eppure, in tante famiglie, se vi sono fratelli e sorelle, i genitori, prima di morire lasciano una volontà esplicita di dividere il patrimonio ereditario in maniera equa, perché credono che la legge non sia giusta. La società civile ha visto le donne forti e ha capito che le leggi non sono eque e quindi praticano la disobbedienza civile. Ma potrei fare tanti esempi in merito. In Iran, se una donna denuncia uno stupro, può avere serie ripercussioni a suo danno. Dovrebbe dimostrare cosa faceva con un uomo, perché era per strada o in casa con costui. La donna non deve trovarsi mai da sola con un uomo. Eppure, pur consapevoli delle pene severe cui potrebbero andare incontro, in molte denunciano gli stupri. E i tribunali hanno dovuto prendere atto che la donna è vittima di stupro. Qualche anno fa, questo sarebbe stato impensabile. Le donne subivano e tacevano. Nonostante tutti gli ostacoli legislativi e istituzionali, oggi studiano, lavorano, occupano posti di rilievo nel mondo della giustizia o dell'educazione. Le nuove generazioni non farebbero più l'errore delle precedenti – subire senza denunciare – per paura delle ritorsioni. Questo è un cambiamento enorme che parte dalla forza trainante delle donne. Un vento di trasformazione che è arrivato anche nelle zone più remote del Paese, una vera rivoluzione. La società civile viaggia su binari diametralmente opposti alla classe politica e dirigente.
Hai accennato a un ruolo della donna in tanti ambiti della vita sociale. Qual è il rapporto tra donna e lavoro oggi in Iran?
Chi governa relega la donna a un ruolo di madre, moglie e figlia. In Iran, proprio perché studiano, le donne fanno di tutto per affermarsi come persone e per lavorare e, laddove non ci riescono, si auto-organizzano. Costituiscono cooperative o associazioni spontanee, ad esempio di artigianato. Tante donne casalinghe, senza altra opportunità professionale, hanno perseguito la strada del lavoro artigianale negli ultimi anni e producono oggetti che possono realizzare a casa e che poi vendono tramite i social network. Questo consente loro di raggiungere una buona indipendenza economica e fa sapere in tutto il mondo che non sono più disposte a restare in silenzio, ad accettare passivamente condizioni disagiate o violenze domestiche. Che vogliono affermarsi anche fuori casa e che rivendicano diritti, nonostante non ci siano leggi che riconoscano il lavoro femminile. Da sole hanno conquistato importanti spazi professionali.
Questa consapevolezza è solo femminile o nelle nuove generazioni anche gli uomini sono consapevoli del valore del diritto al lavoro delle donne?
Il bello di questa rivolta è che anche gli uomini hanno capito l'importanza dei diritti delle donne e spesso non vogliono usufruire dei privilegi e del potere che la legge concede loro. Un marito potrebbe vietare alla moglie di uscire di casa, di viaggiare, di studiare o di lavorare. Ma sono sempre meno gli uomini che lo fanno. Nel contratto di matrimonio si può specificare se la donna rinunzia a tutti questi diritti o se ne vuole usufruire e spesso gli uomini sono ben disposti a concedere tali diritti alla donna. Sanno che le leggi sono retrograde e agiscono come se non esistessero. Sono sempre meno gli uomini che decidono di usufruire di questi privilegi per limitare le donne!
Grazie!