Donne, pace e sicurezza in Mali: dall'invisibilità alla polverizzazione.
A Bamako, la capitale del Mali, nel mese di novembre del 2022, si è svolto un incontro destinato a celebrare i 22 anni della Risoluzione 1325 adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2000.
L'incontro ha riunito 150 donne, di cui 14 attiviste nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti, ed è stato seguito da una mostra fotografica internazionale itinerante intitolata "Quando le donne prendono la pace in mano" e da quattro giorni di sensibilizzazione del pubblico maliano su questa risoluzione storica. Questi eventi hanno permesso di mettere in luce, nonostante le numerose iniziative, il debole coinvolgimento reale delle donne maliane nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti nel loro Paese, pur in preda a una crisi politica. La partecipazione delle donne al Comitato di Monitoraggio dell'Accordo per la pace e la riconciliazione in Mali (Csa) e ai suoi sottogruppi tematici è passata dal 3 al 38% con l'integrazione nel settembre 2021 di altre 15 donne, attualmente 24.
Le condizioni
Di fatto, creare le condizioni adeguate per la piena partecipazione delle donne alla vita politica resta una sfida. Al di là dei pii desideri istituzionali, le prime vittime sul terreno dell'insicurezza e dei conflitti sono spesso invisibili e impercettibili. Nel 2014, è stata creata a Gao la Casa della Pace, luogo avviato localmente dalle donne, con l'appoggio della Minusma (Missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite), come spazio di incontro, di dialogo, di promozione dei loro diritti e di migliore partecipazione alla vita pubblica e politica. Ma con quale impatto sull'efficacia della loro partecipazione e sulla presa in considerazione delle loro preoccupazioni e raccomandazioni?
Perché "le donne prendano la pace in mano", come dice uno slogan nazionale, occorre elevare la loro visibilità e amplificare le loro voci. Diverse organizzazioni femminili, tra cui la Rete delle giovani donne leader dei partiti politici e delle organizzazioni della società civile (Rejefpo) e la Piattaforma delle donne del G5-Sahel tra le più recenti, si sono impegnate in tal senso.
Tuttavia, nonostante l'impegno nazionale e internazionale del Mali, le donne sono state emarginate durante tutto il processo di pace in Mali e la loro inclusione non è stata realmente considerata una priorità. Durante tutto il percorso dell'Accordo di pace scaturito dal processo di Algeri, oggi rimesso in discussione da alcuni gruppi firmatari, l'inclusione delle donne non è stata prioritaria e sono state emarginate durante i negoziati di pace e nell'attuazione dell'Accordo.
Strategie
Un Piano d'Azione Nazionale (Pan) sulla Risoluzione 1325 (il terzo dopo quelli del 2012-2014 e 2015-2017, che va fino al 2023) in vista di una migliore inclusione delle donne nei processi di pace e di una maggiore protezione dalle violenze e per il rispetto dei loro diritti è stato adottato dal governo maliano con il Ministero della Promozione della donna, del bambino e della famiglia (Mpfef) come strategia di inclusione e di abilitazione (empowerment) di un gruppo finora trascurato, appunto le donne.
In questo contesto, Ong come Wildaf (Women in Lawand Development in Africa), finanziate da partner internazionali, si sono impegnate a cambiare paradigma rivolgendosi a rifugiati, sfollati interni, giovani e donne vicine o integrate in gruppi armati, donne politiche (elette o candidate) e a decisori (come i capi di famiglia o le imprenditrici), coinvolgendo gli uomini.
Questi programmi hanno permesso approcci innovativi come i "Circoli di Pace", che hanno mobilitato 500 donne di tutte le regioni del Mali e campi di rifugiati, in una dinamica di artigiani di pace, di trattamento del passato, di ricerca della verità e di guarigione della memoria: si cerca di andare verso la riconciliazione e il vivere insieme a partire da una fiducia instaurata tra di loro, basandosi su buone pratiche sviluppate in altri Paesi.
L'Associazione delle Donne per le Iniziative di Pace (Afip) lavora anche in tutte le regioni del Mali "sulle questioni legate alla pace e allo sviluppo". Una sua responsabile, Fatoumata Maïga, ha dichiarato di recente in un'intervista: "Non dirò che le donne maliane non sono coinvolte ufficialmente nella risoluzione del conflitto, ma dirò che lo sono in modo molto insignificante. Lavorano in modo informale, perché hanno le loro organizzazioni, a livello locale, e si impegnano, lavorano per la stabilità sia delle proprie realtà territoriali, sia delle loro regioni d'origine o anche a livello nazionale. È il caso di organizzazioni come la nostra, per esempio. Ma, in modo ufficiale, il loro coinvolgimento è quasi inesistente. Si ha l'impressione che non ci siano donne in Mali, alla luce di ciò che stiamo vedendo. Per gli uomini, finché ci sono certe poste in gioco, non ci saranno donne".
Per essere ascoltate
Se dal 2012 le donne hanno cercato di essere coinvolte nella ricerca di soluzioni di pace sociale, avviando molteplici attività, prima in gruppi informali e poi in movimenti più strutturati, come il lavoro di sensibilizzazione delle comunità o quello per perorare la causa dei dirigenti, quando sono stati organizzati i colloqui di Ouagadougou – che hanno permesso l'organizzazione delle presidenziali del 2013 – le donne maliane non sono state invitate come parte coinvolta. Si sono fatte invitare, hanno sfondato la porta e si sono imposte come rappresentanti delle donne. Erano in cinque a nome della società civile femminile, spiega Bintou Founé Samaké Bouaré, presidente di Wildaf-Mali. "E quando si è trattato di iniziare i colloqui ad Algeri, alle donne è stato semplicemente detto che si trattava solo del governo e dei gruppi armati". Queste signore hanno dovuto forzare le porte anche lì per essere un po' ascoltate.
Riforme necessarie
Uno degli assi da privilegiare per una migliore partecipazione delle donne maliane alla sicurezza e alla pace è certamente il lavoro di riforma in corso del settore della sicurezza, attuato da una struttura dedicata e di competenza del Segretariato permanente del Consiglio di Sicurezza nazionale (Sp-Csn) incaricato della politica di sicurezza nazionale (Psn) del Mali.
Nel maggio 2022, l' Sp-Csn ha organizzato un incontro per creare un consenso generale sulla politica di sicurezza nazionale. In questa occasione, il generale Yamoussa Camara, ministro della Difesa e segretario permanente del Consiglio di Sicurezza nazionale, ha dichiarato che la visione del Mali consiste nel far sì che entro il 2050, "possiamo avere un Paese pacifico, stabile e prospero, dove lo Stato può garantire la sicurezza delle persone e dei beni". Ha aggiunto: "Siamo in una situazione deplorevole oggi, e anche di dramma esistenziale che si protrae dal 2012. E questo perché non abbiamo mai messo in atto una struttura di sorveglianza e di lavoro per il futuro".
Quale sarà il posto delle maliane in questa struttura? Alla fine di maggio 2022, subito dopo questo evento, ha avuto luogo il Forum di Bamako, sul tema "Donne, Pace, Sicurezza e Sviluppo in Africa: Il nostro futuro nella marcia del mondo". Appena due anni dopo la commemorazione del 25º anniversario della Dichiarazione e della Piattaforma d'azione di Pechino e in occasione del 22º anniversario della Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulle donne, la pace e la sicurezza.
E oggi?
Da qui la persistenza del dilemma attuale: iniziative lodevoli sono prese sul terreno, spesso seguite da effetti benefici, ma rimangono portate poco a conoscenza del pubblico (anche se la discrezione e la riservatezza sono spesso imperative) e faticano ad essere rese stabili per mancanza di finanziamenti, anche modesti. D'altra parte, forum, seminari e workshop sono regolarmente organizzati con grandi dichiarazioni finali, purtroppo raramente attuate. Per quanto tempo ancora le maliane potranno contare solo su se stesse e qualche amico in materia di pace e di sicurezza?
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Rahamata Diaouré è una giornalista maliana. Si occupa principalmente di questioni ambientali, salute, genere e diritti umani, governance, cultura, sviluppo e ricerca. Attualmente è segretaria di redazione del settimanale Journal du Mali, formatrice, consulente e Presidente del Consiglio di etica e deontologia della Maison de la Presse du Mali, un organismo di autoregolamentazione dei media. Dal 2019 è anche Presidente della sezione del Mali dell'Union de la presse francophone (UPF) e membro del Consiglio nazionale di transizione delle organizzazioni di stampa maliane.