Crisi della sicurezza e violenze in Sahel. Donne e bambini: vittime invisibili.

 

Frequenti massacri di popolazioni civili, sfollamenti forzati di intere località con la chiusura di scuole e centri sanitari, crisi alimentare e nutrizionale senza precedenti, caratterizzano la vita quotidiana dei Paesi del Sahel centrale (Burkina Faso, Mali, Niger) negli ultimi anni.

Questo dramma di vasta portata che si vive nel Sahel è il risultato dell'insicurezza provocata dai pericolosissimi gruppi armati insediatisi nell'area dall'inizio del 2010. La crisi è caratterizzata in particolare dagli attacchi di gruppi armati non statali (Gane) che colpiscono maggiormente le donne e i bambini a causa della loro vulnerabilità all'interno delle comunità.

Fuggire dagli abusi

La sig.ra Fouré Hinsa è fuggita dal suo villaggio natale di Daba, località del dipartimento di Torodi (Tillabéri, estremo ovest del Niger), nell'aprile 2022 per trovare rifugio a Komba, a una ventina di km da Niamey. Ha lasciato il villaggio in compagnia dei suoi cinque bambini sotto la pressione esasperata dei gruppi terroristici che operano nella cosiddetta zona dei tre confini, condivisa da Burkina Faso, Mali e Niger. "Quando arrivavano all'inizio, era per imporci comportamenti da osservare come l'obbligo del velo e per sottrarci i nostri beni, prendendo con sé fisicamente solo i notabili e i ricchi del villaggio, che spesso poi uccidevano o rapivano. Poi una mattina, sono venuti a chiederci di lasciare il villaggio salvo essere tutti massacrati", racconta Hinsa, seduta su una stuoia sotto un albero del recinto della scuola elementare di Komba con altre donne, e un neonato sulle gambe.

Le famiglie, con cui Hinsa è fuggita dal villaggio, hanno camminato per cinque giorni con diverse fermate lungo la strada, per raggiungere Komba totalmente esausti. "Non abbiamo potuto portare via nulla durante la nostra fuga, a parte gli abiti che indossiamo e alcuni beni di prima necessità", aggiunge. Le famiglie ospitate temporaneamente nelle classi della scuola Komba (una quindicina) contano solo donne e bambini. Alla domanda su dove sono andati gli uomini, Halima Daouda, un'altra donna, risponde: "I nostri mariti non ci sono, sono andati a cercare lavoro. In attesa del loro ritorno, tocca a noi cercare di sfamare i bambini, grazie soprattutto alla solidarietà degli abitanti di Komba".

In tutte le regioni del Paese colpite dalla crisi della sicurezza, migliaia di donne si trovano attualmente in questa situazione difficile e doversi occupare da sole della cura dei figli perché i mariti sono stati rapiti o spesso anche uccisi dai gruppi armati terroristi. Atti di barbarie che non li risparmiano dal resto, poiché questi ultimi li rapiscono anche per sottometterli a schiavitù sessuale o per arruolarli addirittura come combattenti.

Spopolamento dei villaggi

Nella regione di Tillabéri, territorio del Paese più duramente colpito dagli attacchi terroristici negli ultimi anni, lo spopolamento dei villaggi non conosce tregua nonostante la forte militarizzazione della zona. Le popolazioni continuano a fuggire in massa dalle loro località per evitare le estorsioni dei gruppi armati che operano nell'area dei tre confini. Nel mese di settembre 2022, il Ministero nigerino dell'Azione umanitaria e della Gestione delle catastrofi (Mah/Gc) ha contato circa 153.455 persone, ossia 24.269 famiglie, sfollate interne contro 156.107 cittadini censiti al 21 luglio 2022, ripartiti in 12 dei 13 dipartimenti della regione di Tillabéri.

Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), questi spostamenti forzati delle popolazioni, ancora in corso, privano decine di migliaia di bambini del diritto all'istruzione. La situazione è estremamente preoccupante. La direzione regionale dell'istruzione di Tillabéri ha censito un totale di 817 scuole chiuse, a causa dell'insicurezza, sulle 2.678 che compongono la regione, di cui 784 scuole primarie e 33 scuole secondarie a fine settembre 2022.

Il numero totale di bambini privati della scuola, a causa di questa situazione, è stimato in circa 72.431 alunni, di cui 34.464 bambine. "Per garantire la continuità pedagogica ai 72.431 alunni sfollati, il governo li ha collocati in centri di raggruppamento e scuole di accoglienza nei dipartimenti interessati. Così 15.423 alunni sfollati sono stati dislocati in 91 scuole di accoglienza e 21 centri di raggruppamento", ha censito, nella regione, l'organismo dell'Onu. Queste cifre mostrano, se ancora dovessero esserci dubbi, la gravità della crisi della sicurezza legata al terrorismo che il Niger si trova ad affrontare da più di 7 anni. Si tratta di un vero e proprio dramma nella cui gestione la miseria delle donne e dei bambini che ne sono vittime non è sufficientemente mediatizzata. 

 

 

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Giornalista, esperta di comunicazione per lo sviluppo, di genere e media, Amina Niandou è attivista per la promozione dei diritti umani e, in particolare, dei diritti delle donne. Presidente dell'Associazione delle Professioniste Africane della Comunicazione, sezione del Niger (Apac-Niger), Amina Niandou è anche una delle promotrici della Carta per il miglioramento dell'immagine della donna nei media del Niger.

 

 

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Donne, Pace e Sicurezza sono stati i pilastri del nostro percorso editoriale che ci porta qui, a partire dalla Risoluzione 1325/2000. Abbiamo tratto spunto dall'assegnazione del premio Nobel per la Pace nel 2021 alla giornalista filippina Maria Ressa e al giornalista russo Dmitry Muratov, "per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, condizione preliminare per la democrazia e una pace duratura". Ressa ha denunciato il sistema securitario e antidemocratico del presidente filippino Duterte, mentre Muratov è uno dei fondatori del quotidiano "Novaja Gazeta", la testata per cui scriveva la giornalista Anna Politkovskaja, difensora dei diritti umani dei Ceceni, scomparsa nel 2006 in circostanze mai accertate. Partendo dai loro lavori coraggiosi in difesa della libertà di espressione e dei diritti umani, abbiamo voluto ascoltare donne rappresentative di quella spinta democratica che muove dal centro del potere per raggiungere modalità di attivismo e di espressione in spazi apparentemente "di confine". La violazione dei diritti umani passa attraverso il sistematico e violento silenziamento delle voci che denunciano e che propongono alternative alle dittature e ai conflitti. In quest'ultimo lavoro, abbiamo raccolto voci di attiviste per i diritti umani che si esprimono nei luoghi "decentralizzati", fisici e intellettuali, della diaspora, delle piazze, delle regioni desertiche oggi abbandonate dalla Comunità Internazionale, dei campi profughi, ma anche dell'arte e del giornalismo di denuncia.

Marcella Orsini

 

 

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Le immagini di questo Dossier sono opere di Malak Mattar, intervistata da Marcella Orsini (cfr. pag. 30). Malak è una giovane artista palestinese, della Striscia di Gaza, che ha iniziato a dipingere all'età di 14 anni, sotto i bombardamenti israeliani. 

 

 

 


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