Le proteste in difesa dei diritti delle donne in Iran proseguono in tutto il mondo. A colloquio con Leila Karami.
Quanto accade oggi in Iran continua a colpirci profondamente, a partire dal coraggio delle donne di Teheran e dalla violenza della Polizia Morale. Vogliamo continuare a dar voce alle donne e agli uomini iraniani che sono in prima fila nella difesa dei diritti umani. E lo facciamo con un'intervista a Leila Karami, iraniana di nascita e oggi in Italia, docente presso l'Università di Venezia Cà Foscari e la Sapienza-Università di Roma.
Come nasce la protesta in difesa dei diritti delle donne in Iran? Chi era Masha?
Come è noto, le manifestazioni hanno inizio a Saqqez (capoluogo nella provincia iraniana del Kurdistan), qualche giorno dopo la morte della ventiduenne di etnia curda, Masha Amini, a causa delle percosse ricevute durante l'arresto da parte della Polizia Morale. Subito dopo essere stata caricata nel furgone, un'accesa discussione sfocia in atti di violenza fisica, e Masha, prima di arrivare alla stazione di polizia, sviene, soccorsa da altre donne arrestate. Arriva l'ambulanza, ma pochi giorni dopo Masha perde la vita. Lei e le altre arrestate avrebbero dovuto essere "indottrinate". Le proteste hanno origine da uno scontento generale. Non sono senza peso la questione economica e l'embargo, ma la morte di Masha è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Scendono in piazza in tanti, ragazze e ragazzi molto giovani, contro il velo obbligatorio, tale dal termine della rivoluzione iraniana del 1979. L'obbligatorietà del velo vale per tutte, anche per le donne iraniane non musulmane (armene, cristiane…).
Masha muore e cominciano le manifestazioni. Inizialmente, nell'area intorno al luogo in cui la ragazza ha perso la vita e poi in tutta l'area curda. La sua stessa sepoltura diventa una grande manifestazione. In segno di protesta e di solidarietà, molte donne si tagliano i capelli, secondo un'usanza preislamica. Il governo prova a spostare l'accento sulla questione etnica e tribale, ma non ci riesce. La popolazione ha dimostrato di non essere interessata a isolare un'etnia quanto a lottare per la libertà e i diritti.
Accennavi a un obbligo di rieducazione per le donne che violano le regole. Cosa vuol dire?
Si sono raccolte testimonianze secondo cui Masha, dopo l'arresto, doveva essere indottrinata. Per l'indottrinamento più soft, in base alle testimonianze, la punizione è informare le donne sui versetti coranici che parlano del velo; nel caso di violazioni più serie, le misure detentive sono proporzionalmente più dure. Il velo, in generale, è un'imposizione del potere. Penso che non esisterà mai una repubblica islamica senza donne velate. Potrà esistere forse una repubblica islamica con uomini senza barba, ma con donne senza velo, secondo me, no. Le donne sono considerate la parte più debole della società. Il governo, negli ultimi trent'anni, ha cercato di accentuare il ruolo tradizionale delle donne, ma non ha avuto grande successo. Le donne oggi sono ben istruite, in tutti i campi del sapere. Il governo ha fallito, sia sul piano internazionale sia su quello interno: economia, sviluppo, investimenti militari. E ha fallito con le donne. In Iran, prima della rivoluzione, non si aveva una coscienza femminista: le donne seguivano, per grandi linee, la retorica secondo cui prima bisognava risolvere le questioni più importanti; la questione femminile si sarebbe risolta da sé. Così si pensava sino a quarant'anni fa. La questione del velo ha aperto uno squarcio di coscienza: prima tra le donne dell'élite, poi tra quelle di quasi tutte le fasce sociali.
Cosa è la Polizia Morale? Vi sono donne al suo interno?
La questione è complessa. La Polizia Morale risale alla fine degli anni Novanta, inizi Duemila, all'epoca del riformismo, quando era al potere Seyyed Mohammad Khatami (per due mandati: 1997-2001 e 2001-2005). Nel 2005, il "Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale" definisce le "Linee guida per la propagazione della cultura della virtù". Viene affidato alle Forze dell'Ordine il compito di lottare contro le malvelate. Così nasce la Polizia Morale con un lavoro preciso ed entra in funzione nelle città. Tale Polizia Morale, nella sua prima uscita in "pubblico", ha malmenato i partecipanti a una manifestazione, per lo più di donne, contro nuove misure che il governo voleva adottare. La storia risale a molti anni prima della rivoluzione, quando esisteva una legge sulla protezione della famiglia, successivamente abolita e che il governo avrebbe voluto ripristinare intorno agli anni 2003/2004. Tante donne hanno manifestato contro queste misure, che andavano ad accrescere il potere maschile. La Polizia Morale fa la sua prima uscita con donne poliziotte nel 2006, durante una manifestazione di donne contro le leggi discriminatorie davanti all'Università di Teheran. Chi ne fa parte? È difficile saperlo. L'arruolamento solitamente avviene tramite il sito della Polizia Morale. A volte sono membri di famiglie tradizionali, altre volte sono laureate. Qualcuna potrebbe essere dell'area paramilitare. Degli uomini riusciamo a sapere qualcosa di più perché l'adescamento avviene nel quartiere o attraverso gruppi universitari; possono essere persone che hanno ricevuto aiuti economici da parte del governo iraniano. Si presume che succeda la stessa cosa con le donne.
Di fronte alle evidenti violazioni dei diritti umani che si compiono oggi in Iran, quale voce internazionale si leva in difesa dei più deboli?
Bisogna prima capire come è strutturato il governo in Iran. Ci sono ambiti di attività che fanno capo alla legislazione religiosa e altri a quella laica. Il governo ha a capo un giureconsulto, nominato a vita, che è "la Guida suprema" – oggi l'Ayatollah Ali Khamenei. Secondo tale governo del giureconsulto, tutte le regole dello Stato non devono essere in contrasto con quelle della Guida suprema che sono le stesse della religione islamica. Così le norme della giustizia coincidono con quelle della religione islamica. In Iran esiste un'area in difesa dei diritti umani, che informa su tutte le violazioni commesse e a parlare sono spesso ex carcerati/e. Dal 1997 al 2013, c'è stato un grande movimento femminile che agiva anche alla luce del sole ma, pur essendo molto attive, le loro voci non erano ascoltate e i loro tentativi di collaborazione con le ong naufragavano. Tutto il mondo dei movimenti, non solo femminili, è stato soppresso con Mahmoud Ahmadinejad, cioè a partire dal 2007 sino al 2013. Poi, nel 2014 c'è stato un inasprimento della situazione interna che è precipitata con l'elezione di Trump e con l'embargo.
Quali realtà della società civile, delle chiese o delle Ong sostengono la vostra azione?
Le minoranze etniche presenti in Iran sono: curdi e beluchi che sono sunniti; gli azeri; i curdi, che sono suddivisi tra sunniti e sciiti. I beluchi sono sunniti. Nessuna tra queste minoranze si è espressa sui diritti delle donne, ma quasi tutte sono contro il velo obbligatorio e la mancanza di libertà femminile. La figura religiosa di spicco dei beluchi si è espressa tantissime volte accusando il governo centrale di Teheran di aver ucciso circa 90 persone durante la preghiera del venerdì e ha chiesto più volte un referendum popolare. Ma, in generale, le minoranze etnico-religiose non si esprimono apertamente perché non si vogliono compromettere parlando della situazione delle donne. Questa questione, in Iran, è un'arma nelle mani del governo e, pur avendo ragione, allorquando un qualunque cittadino dice qualcosa sui diritti delle donne è come se avesse detto qualcosa contro il governo.
Quello che accade oggi in Iran è di portata storica e sta avendo un grande sostegno in tante parti del mondo. Questa solidarietà serve a qualcosa o è solo l'espressione di una vicinanza ideale?
Sicuramente serve anche perché la comunità iraniana all'estero, nella componente femminile, è ampia. Approfitto della domanda per aggiungere che moltissimi figli di coloro che sono al potere in Iran vivono all'estero con spensieratezza. Magari vengono in Europa, o vanno negli Usa, per studiare e conducono una vita normale, come noi, mentre i loro genitori sono parte integrata di un determinato esercito o polizia e ammazzano senza scrupoli. Ma la gran parte dell'intera comunità iraniana all'estero è contro il governo e le sue azioni. È uno scontento generale. E ricordiamo che in tanti, prima di andare all'estero, hanno dovuto passare anni in carcere e solo in seguito sono andati via. Alcuni sono parenti di chi fa esecuzioni sommarie o di chi le ha subite. Poi ci sono tantissimi iraniani, sempre all'estero, che conducono una vita ordinaria, che sono contro le violazioni dei diritti dei bambini o delle donne. Questa volta la lotta per i diritti delle donne ha avuto e sta avendo un grande sostegno. Oggi, nonostante le tante Forze dell'Ordine in piazza molto ben armate, la gente non ha paura. E questo è indice di una tolleranza arrivata al limite. Ad esempio, molti sportivi si sono ritirati dalle squadre nazionali, come il karatè, lo snooker o il ping-pong: ragazzi e ragazze che non vogliono far parte della squadra ufficiale di una nazione che non considerano loro. Prima questi gesti non erano mai capitati. Certo, non dimentichiamo che, oltre gli schermi, le forze di polizia governative attaccano casa per casa, nelle aree curde. Proprio come fanno gli israeliani nei confronti dei palestinesi. Con furti illeciti, violenze ingiustificate…