Fermarsi, respirare, fare spazio: il riposo in una società performativa.

 

Quante volte in un giorno, chiediamo "come stai?" a una persona? Quante volte ci aspettiamo una risposta sincera e attendiamo, con attenzione, una risposta reale di come la persona si sente?

Non conosco le vostre risposte, ma conosco le mie: tante alla prima e poche alla seconda domanda. Il come stai è diventato il commento tipico sul tempo meteorologico con la persona sconosciuta in ascensore o in fila alla cassa. Quest'ultimo, però, ha il suo senso proprio per gestire l'imbarazzo di non sapere cosa dire.

Il primo commento ha un senso diverso. Andiamo sempre di fretta e non abbiamo il tempo di ascoltare il racconto e la verità dell'altrə: soprattutto quando l'altrə ci stupisce, rompendo il ritmo della fretta, rispondendo la verità: "È un brutto periodo". Quali scenari si aprono? Non ascolto e vado avanti; ascolto e rispondo una frase retorica tipo "Dai, passerà" o "Dai, non abbatterti"; oppure, mi fermo, lə guardo negli occhi e mi predispongo a un dialogo rispettoso di ascolto.

Pensiamo quando siamo noi a dover rispondere alla domanda come stai? e l'altrə non ci ascolta come desidereremmo. Cosa proviamo? Come ci sentiamo? Abbiamo talmente introiettato che il "tempo è denaro", che dobbiamo sempre produrre, che non ci fermiamo, non ci ri-posiamo. Il "semplicemente sostare" in una relazione, ci rende ansiosə, scalpitantə.

Ri-posare

La parola riposare viene dal latino tardo repausāre, composto di re-, che indica continuità, e pausāre 'posare'. Quando ci posiamo o appoggiamo su qualcosa o qualcunə, è perché abbiamo fiducia, non siamo in tensione, non assumiamo la postura del "controllo tutto". Di questo parliamo ampiamente nell'articolo di questo dossier sul corpo.

Sono momenti preziosi per riprendere energie, respirare, ampliare gli spazi dentro, rallentare, fare silenzio e ascoltare l'inedito e il nuovo che nasce solo quando ci fermiamo.

Siamo immersi nel continuo rumore. Non siamo circondati solo da suoni, ma da tanti rumori che spesso disturbano, perché interrompono flussi dentro di noi. I rumori interrompono la concentrazione e il focus; gli stimoli esterni ci fanno stare in un continuo stato di non pausa, perché costiantemente invitati a elaborare dati.

Il rumore ci abita. Ce ne accorgiamo proprio quando ci fermiamo e sentiamo la spinta a fuggire dall'assenza di stimoli.

Chi medita si può accorgere di questo. Appena ci fermiamo, si inizia a muovere il fango che sta sotto e ci spaventiamo. Emozioni che non sappiamo gestire emergono. Se, in questi momenti, invece di scappare, semplicemente accogliessimo queste emozioni, la trasformazione inizierebbe. Una trasformazione verso una maggiore integrazione di tutte le nostre dimensioni.

Facciamo tanto rumore per nulla talvolta. Pensiamo che alzare polvere intorno a noi, dica che siamo persone produttive. Facciamo tante cose ma non stiamo dentro quelle cose con tuttə noi stessə.

Sintomi e desideri

In un podcast di informazione che seguo, spesso ascolto la pubblicità di un antiacido per il reflusso gastrico in cui viene consigliato il prodotto. In quel momento vorrei fare la voce fuori campo che dice: perché invece non ti fermi e riposi?

Curiamo il sintomo senza soffermarci sul perché sono in aumento patologie, più o meno serie, che ci cambiano nel corpo e nell'anima. L'acidità ci viene non solo per l'alimentazione sbagliata; simbolicamente può significare che mandiamo giù cose amare senza elaborarle, senza creare uno spazio o barriere protettive tra la rabbia, la tensione e noi stessə.

In questa corsa continua ci fermiamo raramente a domandarci: di cosa ho bisogno? Cosa desidero? Cosa mi rende felice? Quanti, nell'accompagnamento spirituale, sanno rispondere a queste domande?

Più viviamo una vita che risponde a ritmi e stili che non abbiamo scelto consapevolmente, più ci allontaniamo dai nostri desideri profondi.

La parola "vocazione" è spesso associata alla scelta di consacrazione a Dio. Io penso che tuttə abbiamo una vocazione: questa parola deriva dal latino vocare, che significa chiamare.

La chiamata non è una voce misteriosa che ci parla dall'esterno. È un movimento interno e profondo dentro di noi. Ascoltare la chiamata del chi possiamo essere e diventare, è un impegno di tutta la vita. Diventiamo la nostra vocazione, vivendo e camminando nella vita con altre e altri. E sono proprio le altre e gli altri ad aiutarci a scoprire la nostra vocazione. Anche la vocazione è relazionale e connessa con ciò che ci circonda: esseri umani e non, e il cosmo.

La premessa per essere in sintonia con la vocazione è abitare spazi di ozio, di silenzio, di immobilità cosicché questa voce si faccia udire da noi.

Tempi di vita

Il secolo scorso è stato caratterizzato da un paradigma "disciplinare": la forza ad adeguarsi al dovere proveniva da una forza esterna. Questo è il secolo del paradigma della performance, in quanto la disciplina l'abbiamo introiettata al punto che non serve un'autorità esterna per farci produrre, siamo noi stessə a obbedire a questa spinta performativa che è dentro di noi.

Una spinta che non ci fa fermare mai e, se lo facciamo, ci sentiamo in colpa e in dovere di giustificarci con colleghi e famiglia.

Abbiamo incorporato un modello di vita in cui la separazione tra vita personale, pubblica e professionale non ha più i sani confini che ci permetterebbero di vivere in modo più equidistante e salutare: rispettando i bisogni di tutte le nostre dimensioni e livelli di personalità. Siamo esseri complessi e, come abbiamo bisogno di pane, sentiamo la spinta a nutrire le parti meno produttive di noi, quelle gratuite; quelle cioè che non necessariamente portano a un negozio o sono finalizzate a un risultato tangibile.

Vivere senza nutrire la nostra spiritualità (che non è aderire a una religione o un credo di fede) ci può portare ad aridità interiore, incapacità di cogliere ciò che non possiamo misurare e a una disabilità esistenziale che, in qualche modo, grida e vuole essere ascoltata. Spesso è il vuoto il linguaggio che la spiritualità utilizza per attirare la nostra attenzione: ma noi dal senso del vuoto tendiamo a fuggire, riempendolo di impegni, rumori, pensieri, oggetti, persone. E se, semplicemente, accettassimo di accogliere, accettare e ascoltare questo vuoto?

Stanchi

Abbiamo una relazione con il lavoro quasi ossessivo: dobbiamo mostrare di essere sempre efficientə e prontə a rispondere, anche fuori dal nostro orario canonico di ufficio. Le categorie di tempo e spazio sono saltate, per come le conoscevamo, a causa della cultura digitale. Questo ci richiede una nuova saggezza per saper definire confini di vita preziosi al nostro equilibrio affettivo, corporeo e mentale.

Siamo spesso tanto stanchə; non in modo episodico, ma strutturale. La stanchezza è diventata cronica, endemica e connaturata al nostro stile di vita. Al punto che parliamo di "società della stanchezza". Questo ci porta a subire gli eventi, generando un senso di smarrimento e pessimismo. Proviamo esaurimento delle nostre risorse e come una fatica a essere pro-attivə; privilegiamo un approccio reattivo dovuto alla fretta e all'ansia. Cosa ci aiuterebbe a prenderci un tempo tra lo stimolo e l'eventuale risposta? Come possiamo nutrire la nostra consapevolezza?

Il riposo, interrompendo un ritmo ad alto livello di stress, può favorire lo spezzare questa catena: ma dobbiamo avere pazienza, perché all'inizio desideriamo solo fuggire dal riposo. Invece l'invito è: resta, stai, lasciati andare, appoggiati.

Amicizia

Qual è il valore e lo spazio che diamo all'amicizia nella nostra vita? Non mi riferisco solo a relazioni digitali da "like", che, comunque, hanno il loro senso. Ma per la loro fragilità e disconnessione veloce, potrebbero non nutrire quel bisogno di stabilità affettiva e fedeltà amicale che ci abitano come esseri umani.

L'amicizia è lo spazio dove possiamo riposare, è la nostra stanza sicura dove poter esprimere le nostre emozioni, anche quelle più ignorate dalla società. L'amico e l'amica è l'altro, l'altra: chi non è uguale a noi, ma con cui creiamo un flusso relazionale e comunicativo che ci fa sentire in sintonia, connessi, meno solə. L'amicizia è il miglior antidoto a stare chiusə nel proprio io; è l'invito a uscire dalle nostre zone confortevoli. Ma anche la possibilità di starci quando ci sentiamo troppo espostə, fragili e vulnerabili.

L'assenza di riposo spegne il fuoco dell'Eros che ci spinge verso l'altrə. Diventiamo orfani di quel desiderio di relazione che richiede presenza e tempo.

Se siamo troppo stanchə, non ci rimane tempo per prenderci cura di noi, delle persone che amiamo e di chi è lontano. Sì, abbiamo bisogno anche di fare del bene a chi non conosciamo al punto da amarlo: se siamo tuttə connessə, come ci dice la scienza, è necessario rispondere al desiderio di nutrire questa connessione, facendone consapevoli e apportando il nostro piccolo perché tuttə possiamo vivere bene.

 

  

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Nella nostra società tecnologizzata, performativa e competitiva, dove troviamo spazi e momenti per lasciar riposare l'anima, il corpo, la mente e la terra? E, quindi, poter costruire relazioni sane e appaganti?

Viviamo dentro un movimento continuo di cui siamo, sovente, inconsapevoli: quando poi il corpo o l'anima ci chiedono di fermarci, non sempre li ascoltiamo.

L'immagine che possiamo usare per spiegare questo fenomeno è il criceto che corre sulla ruota nella sua gabbia. Forse lui o lei non possono fare altrimenti. Ma quando è la persona umana a vivere come il criceto sulla ruota nella gabbia, ci possiamo porre la domanda: esistono alternative? Possiamo vivere diversamente? Desideriamo vivere diversamente?

Per ascoltare questo desiderio profondo è opportuno fermarsi e fare spazio al silenzio.

Se la persona continua a stare sulla ruota, fa tanto movimento e rumore, ma potrebbe perdere il senso per sé e per la società di ciò che fa, di ciò che sta diventando.

Nella sapienza biblica ebraica appare il concetto del lasciar riposare la terra (Levitico 25), condonare i debiti e restituire ciò che non ci appartiene. Come un "anno zero" della giustizia e della vita. Sempre la Bibbia ci ricorda il concetto del sabato ebraico, della domenica cristiana e del tempo sabbatico: tutte idee che oggi sembrano rimosse dalla narrazione della nostra società iper-produttiva.

Questo dossier vuole riflettere sul tema del Riposo da diversi punti di vista. L'invito a chi lo legge di integrare queste riflessioni in un tutto unico che può far cambiare la rotta della esistenza.

 

 


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