Qualifica Autore: redattore di Radio Orantes delle Benedettine di Lecce

Il dialogo interreligioso monastico e le sue voci: intervista a Paolo Abd-Al Ghafur Masotti, referente della Comunità Religiosa Islamica Italiana.

 

L'Islam non conosce monachesimo, ma accoglie al suo interno una particolare corrente spirituale che è il Sufismo. Chi aderisce a tale scuola, all'interno dell'Islam, coltiva quelle dimensioni che sono proprie dell'esperienza monastica: il distacco, la purificazione, l'ascesi, la ricerca di Dio. Dell'origine del Sufismo e dei suoi elementi ne parliamo con Paolo Abd-Al Ghafur Masotti, referente del dialogo Interreligioso della Co.re.is. (Comunità Religiosa Islamica Italiana) e membro del Dim (Dialogo Interreligioso Monastico).

Paolo, gli appartenenti alla Co.re.is. vivono da tanti anni l'esperienza del Dim. L'Islam, però, non esprime un vero e proprio monachesimo. E allora, perché fate parte del Dim? Cos'è dunque la Co.re.is.?

La Co.re.is. è stata fondata molti anni fa dallo Shaykh Abd al Wahid Pallavicini che nel 1986 partecipò allo storico incontro di Assisi con i leader delle diverse religioni del mondo voluto dal pontefice San Giovanni Paolo II. In quel contesto e in quel tempo si rese conto dell'importanza del dialogo. Effettivamente nell'Islam non vi è un monachesimo; è anche scritto infatti nel Corano e nei detti del Profeta Mohammed che nell'Islam non esiste il monachesimo secondo i canoni che si conoscono in Occidente. C'è però un anelito verso la conoscenza, la contemplazione con metodi differenti. Non esiste infatti un ritiro dal mondo, ma è proprio quest'ultimo, come dicono alcuni santi dell'Islam, ad essere una prova continua per il fedele. Per noi islamici, dunque, il mondo deve essere una prova di realizzazione spirituale, di approfondimento e di avvicinamento a Dio attraverso i mezzi che Lui ci ha dato.

Quale differenza esiste, se c'è, tra la Co.re.is. e l'Islam tradizionale? Come vi situate all'interno dell'Islam?

La nostra comunità non si distingue in modo specifico dalle altre comunità perché l'Islam è uno ed è quello fondato sulla rivelazione avvenuta al Profeta Mohammed e proprio per questo noi membri della Co.re.is. non possiamo non fare riferimento al Corano, ai detti e ai fatti della vita del Profeta Mohammed e alle esposizioni dei santi che in tutti i secoli si sono manifestati. Questi sono, dunque, dei binari uguali per tutti gli islamici.

Chiarito ciò, è palese che ogni comunità islamica ha delle caratteristiche diverse; la Co.re.is., in particolare, crede molto – adoperandosi in tal senso – nel dialogo. Quest'ultimo però non ci distingue nettamente dalle altre comunità religiose in quanto, a mio avviso, il dialogo è nel Dna dell'Islam.

La parola "Sufismo” potrebbe sembrare nuova a tanti e potrebbe ingenerare confusione nella comprensione dell'Islam. Qual è l'origine di questa via spirituale? Quali sono i suoi pilastri? Dove lo si ritrova per la prima volta?

Il Sufismo nasce con lo stesso Profeta Mohammed e con lo stesso Islam. Si narra che un giorno lui strinse un patto con i suoi vicini, chiamato al-Ḥudaybiyya. I suoi compagni gli chiesero qualche metodo per approfondire la contemplazione e Mohammed strinse con loro un patto consistente nella completa disponibilità da parte dei suoi compagni ad accogliere qualsiasi ammaestramento del Profeta, e dei futuri maestri Sufi, per giungere alla contemplazione del volto di Dio. Nel X secolo il primo a scrivere uno studio sul Sufismo fu lo Shaykh Abu Bakr al-Kalabadhi. Già tre secoli dopo, dunque, c'è l'esigenza di conoscere meglio questa corrente spirituale dell'Islam. Questo studioso individua diversi termini per definire l'etimologia e il significato originario di Sufismo: esso potrebbe derivare dalla parola safà che significa purezza, oppure da saff che indica i saff al-àwwal, cioè coloro che sono in prima fila al cospetto di Dio, oppure ancora da ṣuffah cioè panca che indica le genti della panca e cioè i compagni del profeta che si sedevano sulla panca per ascoltare i suoi insegnamenti 'interiori'. Un'ultima derivazione potrebbe essere quella proveniente dal termine ṣūf che significa lana grezza e indicherebbe il tessuto di cui si rivestivano i maestri sufi. Questi termini non si escludono a vicenda e pertanto indicano l'identità di coloro che vivono il sufismo.

La rinuncia all'attaccamento, non coltivare le passioni, purificare il cuore sono elementi propri del cammino che si intraprende nel Sufismo e che, tra l'altro, trovano per esempio corrispondenza nel monachesimo cristiano. Da qui comprendiamo che la "lotta”, jihad, è elemento fondamentale. A cosa porta tutto ciò? Qual è il fine? È la santità? Cosa si intende per 'santità' nell'Islam e soprattutto nel Sufismo?

Chi intraprende questa via è generalmente denominato faqir che significa 'povero'. Questo è un termine che ha la sua origine in un brano del Corano (3,15) in cui si legge: "O uomini, voi siete i poveri e Dio è il ricco e degno di lode”. Ciò ci deve mettere nella prospettiva di essere radicalmente dipendenti da Allah. Tutti gli esseri umani sono poveri, al di là delle appartenenze religiose. Essi non hanno null'altro se non quello che ci viene dato da Dio. Coloro però che intraprendono questa via di purificazione ricercano questa via di povertà che non si traduce necessariamente nell'assenza di beni materiali ma nella consapevolezza di non essere nulla al confronto di Dio che è tutto. Come dice uno dei primi maestri del sufismo, Junayd, nel II secolo dell'era islamica: "L'uomo povero non è quello la cui mano è vuota di mezzi di sussistenza ma colui la cui natura è vuota di desideri. La povertà consiste nel vuotare il cuore dalle forme del mondo”.

Esiste una figura di spicco nel sufismo?

Esistono diverse figure di spicco che nel corso dei secoli hanno rappresentato dei punti fermi, dei fari. Tra i primi maestri, venti o trent'anni dopo la morte del Profeta Mohammed, troviamo Rābiʿa al-Baṣrī da Bassora, e poi ancora Junayd originario di Baghdad.

Tutti questi maestri hanno rappresentato l'inizio di un cammino, di una via. La Co.re.is. fa riferimento a un maestro marocchino vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800, lo Shaykh Ahmad Ibn Idris.

La vostra esperienza umana e religiosa si è incontrata, da sempre, con l'avventura del dialogo e in particolare ora con il Dim a cui lei ha partecipato alla sua ultima sessione annuale qui a Lecce. Com'è avvenuto l'incontro e perché?

L'incontro che la nostra comunità ha avuto con il Dim risale a molti anni fa quando al nostro attuale Imam e maestro Pallavicini fu chiesto se si potesse aprire una nuova prospettiva di dialogo operativo e di ricerca interiore tra tutti i monaci e le monache membri del Dim e l'Islam, pur non avendo questo al suo interno il monachesimo. La risposta del nostro Imam è stata positiva in virtù della consapevolezza che esiste un anelito alla contemplazione che unisce l'Islam con i monachesimi delle differenti religioni.

È difficile sintetizzare quest'esperienza in una sola parola. Da parte mia, posso affermare che questo è stato un cammino positivo e proficuo perché ci si ritrova con persone che condividono la mia stessa ricerca spirituale, la ricerca del Divino.

Cosa afferma il Corano riguardo alla compresenza di diverse vie religiose?

Mi piace riprendere delle Sure significativamente al riguardo: "O genti del Libro non avete basi sicure se non crederete alla Torah e al Vangelo e a quello che è stato fatto scendere su di voi da parte di nostro Signore” (Corano V, 68). Qui addirittura Allah dice a cristiani e a ebrei che non avranno basi sicure finché non obbediranno ai loro Testi Sacri, alla loro fede. Egli non dice che tutti debbano convertirsi all'Islam.

Un'altra recita così: "A ciascuno di voi abbiamo donato una regola e una via. Mentre se Dio avesse voluto avrebbe fatto di voi una comunità unica. Così non fece per provarvi con ciò che vi ha donato. Gareggiate dunque nelle opere buone. Voi tutti ritornerete a Lui ed Egli vi informerà riguardo alle vostre differenze” (Corano V, 48). Con questa Sura ci troviamo dinanzi a un discorso antiglobalista ante litteram in quanto Allah qui esprime la sua volontà originaria: Egli non ha mai inteso unificare tutte le genti in un'unica fede ma ha inteso permettere che queste esistano perché tutte possano condividere, in modo differente, la stessa via dell'amore.

In tal senso, un documento a mio avviso fondamentale e attuale è il Documento sulla "Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” firmato da papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb in cui è tra l'altro scritto: "Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza sono una sapiente volontà divina con la quale Dio ha creato gli esseri umani” ("Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, pag.5).

 

 

 


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