L'Africa non è una miniera da sfruttare. La voce forte di papa Francesco in difesa del popolo e della pace africana.
Vedere finalmente la papamobile percorrere le strade di Kinshasa, proprio non sembrava vero! Fino all'ultimo momento, a causa dell'intensificarsi della guerra a est del Paese, tantissime persone hanno temuto un altro rinvio del primo viaggio apostolico di papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo (RDC)!
In diretta televisiva mondiale, l'abbiamo visto lasciare Roma, dopo aver visitato un gruppo di rifugiati congolesi, ospiti del Centro Astalli. Nelle ore successive, anche tramite gli immancabili social media, abbiamo seguito e ascoltato le sue dichiarazioni alla stampa internazionale durante il volo verso questo gigante nel cuore dell'Africa.
Alle ore 14.35 di mercoledì 31 gennaio, l'aereo finalmente atterra a Kinshasa, capitale della RDC, una metropoli di più di 17 milioni di abitanti, unica tappa del suo viaggio nel Paese più cattolico del continente africano. Ad aspettare il Papa, all'aeroporto di Ndjili e lungo tutta la strada che lo condurrà al Palazzo della Nazione – dove pronuncerà il suo primo discorso – centinaia di migliaia di persone. Tutti volevano vederlo, avere una sua immagine e in tanti, cattolici o non, avrebbero voluto toccarlo, salutarlo, abbracciarlo.
Le attese
Francesco, dopo l'annullamento del viaggio previsto a luglio dello scorso anno, era atteso non solo come pastore della Chiesa cattolica, ma anche come una delle personalità più importanti e più influenti a livello globale. Quanta speranza e quante aspettative! Il popolo congolese, paziente e fiducioso, ha contato i giorni che mancavano all'arrivo di Francesco, fino a quel bellissimo pomeriggio, con clima e tempo meteo meravigliosi, se si pensa che, solo due notti prima, una tempesta aveva fatto crollare la tribuna da dove papa Francesco avrebbe parlato allo Stadio dei Martiri.
Bergoglio, da parte sua, non ha tradito l'attesa e le aspettative della gente, dei tanti "kinois" (abitanti di Kinshasa) e centinaia di migliaia di persone arrivate da diverse diocesi e regioni per accoglierlo ed ascoltarlo, come pastore e come un fratello.
Tutti, adulti e giovani, ricorderanno questo viaggio, che, per i congolesi, è durato poco, essendo stata annullata la visita di Bergoglio nella città di Goma, capoluogo della provincia del Nord-Kivu, a causa della guerra di aggressione e di occupazione di alcune località e città dell'est del Paese da parte del movimento terroristico M23, affiliato e, secondo rapporti di esperti delle Nazioni Unite, sostenuto e finanziato dal Ruanda.
Questo viaggio, rispetto alle due visite di papa Woytila nel 1981 e nel 1985, rimarrà nella memoria collettiva e in quella dei congolesi, grazie proprio a quella tecnologia che, da un punto di vista umano e ambientale, ha trasformato l'est di questo Paese in un vero inferno, contrapposto all'idea di paradiso terrestre che rappresenta questo gigante per via della grande concentrazione di minerali di ogni tipo: diamanti, oro, coltan, cobalto, uranio e così via.
Ai politici
Ci si aspettava da Francesco denuncia e denuncia è stata. Ci si aspettava compassione e compassione è stata. Il suo è stato un messaggio di speranza per il popolo congolese e un messaggio di denuncia per la comunità internazionale e i governanti congolesi. Senza ombra di dubbio, è stato il messaggio più importante mai pronunciato da una autorità di tale "calibro". Un messaggio importante, quello che il Papa ha rivolto ai vari destinatari, da Kinshasa diretto verso Giuba, capitale del martoriato Sud Sudan (il Paese più giovane del mondo, nato nel 2011).
Papa Francesco si è fatto aiutare dalla metafora del diamante, quando si è rivolto ai tre destinatari principali del suo messaggio: la comunità internazionale, il governo congolese e il popolo del Congo. Bergoglio non ha fatto sconti alla comunità internazionale né tantomeno al governo congolese!
Interpellando la prima, papa Francesco ha ricordato che il continente africano merita maggiore rappresentanza nelle istanze importanti e non va sfruttato: "Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo e dall'Africa. L'Africa non è una miniera da sfruttare!".
Rivolgendosi al presidente Tshisekedi, ha parlato ai politici congolesi, chiedendo a coloro che hanno la responsabilità di guida del Paese di essere trasparenti come un diamante, di non violare la legge e di organizzare elezioni democratiche, libere e credibili, di essere al servizio della gente.
Ricordiamo che siamo nell'anno elettorale e che il calendario pubblicato dalla Ceni – Commissione Elettorale Nazionale Indipendente – fissa le prossime elezioni presidenziali al 21 dicembre 2023. Ma sono in tanti a pensare che Tshisekedi stia già preparando un rinvio e, in ogni caso, un sistema di brogli che gli permetta di avere un secondo mandato, nonostante l'incapacità oggettiva dimostrata in questi quattro lunghi anni in cui il Paese è sembrato avvicinarsi, sempre di più, a un punto di non ritorno.
Al popolo
Le parole più dolci, forse, sono quelle che papa Francesco ha pronunciato rivolgendosi al popolo congolese. "Il vostro Paese è davvero un vero diamante ma voi, congolesi, siete infinitamente più preziosi di ogni bene. Avete un valore inestimabile e il Papa e la Chiesa credono in voi. Ciascun congolese si senta chiamato a fare la propria parte!". E, con la stessa dolcezza, ha aggiunto: "Il vostro futuro è nelle vostre mani. Coraggio, fratello e sorella congolesi. Rialzati. Attraverso un duro lavoro, costruiremo un Paese più bello di prima e dove regni la pace".
Dopo aver ascoltato e consolato i sopravvissuti e le sopravvissute dei massacri e degli stupri, in un momento che ha commosso tutti, forse il messaggio più importante è stato quello che papa Francesco ha consegnato ai tantissimi giovani, accorsi numerosi ad ascoltarlo allo Stadio dei Martiri: "No alla corruzione. Siate indomiti sognatori di un mondo più unito. Nelle vostre mani è un futuro di pace".
Il silenzio assordante
Nonostante l'appello che 107 associazioni e reti della società civile italiana e alcuni esponenti della diaspora congolese in Italia hanno lanciato durante la conferenza stampa, organizzata il 25 gennaio scorso a Roma – per chiedere alla stampa e ai media italiani di coprire e raccontare correttamente e con responsabilità il viaggio di papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo e di rompere il silenzio sul conflitto che continua a mietere vittime all'est di questo Paese – è triste notare come la notizia della guerra a Est della RD Congo sia già sparita da quasi tutti i quotidiani, per non parlare dai telegiornali. E la colpa non è da addebitarsi al drammatico terremoto che ha fatto migliaia di vittime in Siria e in Turchia. No, purtroppo, abbiamo notato un certo "boicottaggio" di papa Francesco e del suo viaggio in Africa in tanti media, giornali e televisioni del nostro Paese, soprattutto, i più importanti.
Sono davvero in tantissimi i giornalisti che si sono interessati e hanno scritto di questo primo viaggio di Bergoglio nella Repubblica Democratica del Congo ma, a parte qualche eccezione, sono stati soprattutto giornalisti legati alla stampa vaticana e alla Chiesa cattolica in generale e tantissimi freelance. a scrivere articoli che hanno dato forza e slancio al messaggio che Francesco ha consegnato ai congolesi.
La guerra a est del Congo non si è fermata, neanche durante la permanenza di papa Francesco a Kinshasa. E dal vertice straordinario dell'Eac (East Africa Community) tenutosi lo scorso 4 febbraio a Bujumbura, il Congo è uscito ancora più fragile.
Dai media e social congolesi del 9 febbraio, ad esempio, si apprende che sono 8 le vittime e tanti i feriti durante le manifestazioni di protesta di alcuni sfollati a Goma. Le accuse, tutte da verificare, sono che, ad aprire il fuoco, siano stati, di nuovo, militari delle Nazioni Unite. Altre fonti, sempre da verificare, puntano il dito contro l'esercito ruandese e i miliziani del movimento M23. L'unica verità è che la popolazione civile, che cerca di manifestare in modo nonviolento, viene massacrata, ieri come oggi, sempre nel silenzio. E, purtroppo, non si vede l'uscita dal tunnel. La speranza è, quindi, che la stampa internazionale non si dimentichi di questo Paese e del suo popolo.