Qualifica Autore: vescovo emerito di Pinerolo

Sulla via della cura, della Chiesa di strada, della passione per la pace. Un vescovo che l'ha conosciuto da vicino ripercorre lo stile pastorale e il tratto umano di don Luigi.
 

Pier Giorgio Debernardi, ora missionario in Burkina Faso, risponde idealmente all'ultima lettera inviatagli dal "suo" vescovo. Ne pubblichiamo una parte significativa.

Carissimo mons. Luigi,

quindici giorni fa, nei primi giorni di luglio, ricevevo la tua lettera contenente gli auguri di Pasqua.

La custodisco preziosa, come un tuo testamento nei miei confronti. Terminavi dicendo: "Ti ricordo sempre e quasi ti invidio per la tua scelta missionaria". Devo dire, però, che la scelta missionaria me l'hai insegnata tu. Ancora prima di papa Francesco, tu parlavi di Chiesa in uscita; infatti, una delle prime iniziative dopo il tuo arrivo a Ivrea, fu di inviare dei preti Fidei donum in Brasile.

In quel gruppo ci dovevo essere anch'io. Stavo preparando le valigie per partire nei primi giorni di ottobre del 1971, quando a giugno, la scoperta che mio papà aveva un cancro mi fece cambiare decisione. Anzi, tu stesso, mi consigliasti di rimandare la partenza nell'attesa di una conoscenza più dettagliata della sua situazione; salparono da Genova solo don Gian Battista Ossola e don Pietro Garbiero. La destinazione era la diocesi di Barra in Bahia, che a quell'epoca era una zona poverissima. Il servizio pastorale era svolto da un anziano prete brasiliano novantenne e da alcuni monaci benedettini provenienti dall'Austria.

La scelta missionaria l'ho imparata da te. Anche tu, ricordo bene, desideravi terminare la tua vita in Africa, in Burundi, dove già operavano preti della diocesi di Ivrea, don Gobbi Fabrizio e don Romanoni Virginio. Ma poi, a malincuore, hai deciso di rimanere in Italia. Ti avevano convinto che la tua presenza sarebbe stata preziosa nel nostro Paese per sostenere il cammino del Concilio. Se dovessi sintetizzare la tua vita la riassumerei in queste parole: vicinanza/affetto, amore per la Chiesa, passione per la pace.

Attenzione al prossimo

La vicinanza e l'attenzione agli altri sono sempre state caratteristiche della tua personalità. Oggi si parla di "legami caldi" anche nella pastorale della Chiesa, ma qualche decennio fa questo linguaggio era poco praticato, almeno nell'ambito ecclesiale, eppure tu già lo parlavi con disinvoltura e convinzione.

Legami caldi prima di tutto con le famiglie dei tuoi preti. Gli esempi sono tanti. Ricordo la vicinanza che hai avuto nella malattia dei miei genitori. Lascio parlare mia mamma per la quale hai sempre mostrato molto affetto, in particolare nel tempo in cui ero vicario generale, risiedendo a Banchette. Quante volte, passando davanti al condominio, fermavi la macchina, suonavi il campanello e salivi al primo piano a prendere un caffè. E uno dei ritornelli tra te e mia mamma era questo: "Guardi che il mio Pier Giorgio le vuole tanto bene"; e tu rispondevi: "Pier Giorgio lo sa che anche il vescovo gli vuole molto bene". A lei, caro mons. Luigi, hai fatto la confidenza che presto, forse, sarei stato nominato vescovo. La mamma ti domandò: "Ma lo mandano lontano?"; tu le rispondesti: "No, certamente rimarrà in Piemonte". In seguito, mi hai confidato che a questa notizia la mamma pianse. […]

Una Chiesa povera

Hai amato appassionatamente la Chiesa e desideravi che la tua testimonianza di vita, la manifestasse come la voleva Gesù, povera e ricca d'amore. Tra i tanti libri che hai scritto, ho più volte letto le pagine di Una Chiesa per tutti. Una Chiesa inclusiva che non esclude nessuno, le cui porte sono sempre aperte a chi bussa. Le parole scritte in quel libro sono un anticipo di quelle che sentiamo ripetere oggi da papa Francesco. Desidero soprattutto sottolineare la tua insistenza sulla Chiesa povera, nei suoi pastori e nei suoi fedeli.

Voglio sottolineare, anche, come la tua vita è stata una preziosa icona della Chiesa povera. Durante il Concilio, parecchi vescovi sono intervenuti su questo tema. Ricordo, in particolare, il cardinale Lercaro. Alla conclusione del Concilio, una quarantina di vescovi hanno firmato un documento denominato il "Patto delle Catacombe" in cui ciascuno, ritornato alla propria sede, si impegnava a vivere uno stile di povertà secondo il Vangelo. Tra questi c'eri anche tu. […]

I poveri prima di tutto

Di giorno abitavo in vescovado, ma di notte andavo ad accudire mia mamma malata nella vicina Banchette. Al mattino giungevo presto in città. In vescovado spesso trovavo, distesa sul sofà dell'entrata, una persona che dormiva e, nello stanzone attiguo, altre distese sui materassi messi lì da te per rispondere alle necessità, soprattutto d'inverno. Sovente c'era anche un uomo, dedito al vino, che di notte vomitava e al mattino c'era un odore insopportabile che metteva a dura prova anche la signora, di carattere mite e paziente, che veniva a fare le pulizie. Ma quando giungevi tu, caro mons. Luigi, tutto si appianava.

Sono questi piccoli gesti. Ma non dimentichiamo che la storia si costruisce come il mare che è formato da piccole gocce.

Negli anni del tuo episcopato, in diocesi, si rafforzò la Caritas e sorsero diverse istituzioni a favore dei giovani presi nel laccio della droga; inoltre, la Casa dell'ospitalità e la Casa di Abramo, per venire incontro alle necessità di famiglie e persone anziane sole; tutto gestito con spirito ecumenico, senza guardare alla fede religiosa e alla provenienza geografica delle persone.

Solidarietà con i lavoratori

Un capitolo appassionante è quello della tua presenza nel mondo operaio e la tua difesa dei lavoratori in un momento di grave crisi della Olivetti e di altre fabbriche dell'indotto. All'inizio di questa crisi, nel febbraio 1971, quando la struttura economica del territorio mostrò le prime crepe, ci fu l'iniziativa del blocco dell'autostrada nel tratto tra Torino e Quincinetto a sostegno del Cotonificio Valle Susa di San Giorgio Canavese. Tu manifestasti la volontà di essere presente. Apriti cielo! … Nonostante i pareri contrari, seguisti la tua coscienza e partecipasti. Ricordo, inoltre, la tua dura lettera del 10 ottobre 1979 a De Benedetti sul futuro della Olivetti e la difesa dei lavoratori del Montefibre e di altre fabbriche del canavese.

Là dove era in gioco il posto di lavoro, tu eri sempre presente.

Ancora un ricordo: dopo una manifestazione a difesa dei lavoratori, alla quale tu partecipasti, il giorno seguente, in città, vennero affissi manifesti ampi come lenzuola che portavano la scritta perentoria, intimando che tu, vescovo, ti ritirassi in sacrestia insieme alla "tua scomposta pretaglia". Non ti intimidirono, certo, queste parole, perché hai continuato a tirare dritto su ciò che la libertà evangelica ti comandava.

Lettere aperte

Nel tuo libro Lettere Aperte… o quasi scrivevi: "La ‘lettera aperta' è un espediente che richiama più facilmente l'attenzione, non solo del destinatario della lettera, ma di quanti ne vengono a conoscenza. Anche perché la lettera è per sua natura più immediata e più rapida di un articolo, e perché suscita una risposta, in genere più vivace, com'è nello stile delle polemiche" (pag. 27).

La più famosa fu quella rivolta a Enrico Berlinguer, allora segretario del Partito Comunista Italiano, il quale rispose ben quindici mesi dopo averla ricevuto.

Ne scrivesti anche molte altre, finché fosti presidente di Pax Christi.

Certamente ricevesti numerosi consensi per la tua lettera all'on. Berlinguer, ma ricordo in particolare che una ti ferì nel profondo. Era quella di un cardinale, che esprimeva il parere di molte altre persone di Chiesa (vescovi, preti e laici), il quale si poneva le domande: "A nome di chi scrivevi questa lettera? E con quale diritto ti facevi voce dell'episcopato?". La tua risposta è contenuta nel volume Lettere Aperte… o quasi. Personalmente posso dire che tu non ti sei mai arrogato di parlare a nome dell'episcopato, ma prima di tutto a nome della tua coscienza, profondamente formata dal Vangelo.

Ti accusavano anche di esibizionismo ma le tue lettere non avevano questo timbro. Bisogna riconoscere che, tra le tante qualità e capacità che tu possedevi, c'era anche quella di avere un'abilità comunicativa attraverso la scrittura. E questo è un dono della natura e di Dio. Ad esempio, nella mia biblioteca conservo circa 68 titoli di libri e diversi articoli, da te scritti, pubblicati su riviste a carattere scientifico.

Conoscendoti a fondo, posso assicurare i tuoi accusatori che in te c'era solo volontà sincera di dialogo su temi e problemi cocenti nell'Italia di quel tempo, i quali tante volte non trovavano risposta né dalle Conferenze Episcopali Regionali né dall'intera CEI. E questo silenzio per te era una sofferenza grande.

Passione per la pace

La parola pace era per te il cuore del Vangelo, perché solo Gesù è la nostra pace. Di qui si comprende la tua passione per la pace da realizzare in famiglia, nel territorio e nel mondo intero. In particolare, credevi fermamente alla potenza della preghiera per la pace e desideravi che nelle preghiere dei fedeli, soprattutto la domenica, ci fosse una particolare intenzione per questo scopo.

È facile fare retorica sulla parola pace e non accorgersi che si ha la guerra in casa. Predicavi la pace, cercando di realizzarla innanzitutto in diocesi, tra preti e tra laici e preti.

Un piccolo episodio: il giorno di Natale, nelle prime ore del mattino giunse in vescovado la telefonata di un prete che, con parole furibonde, si scagliava contro il vescovo e i preti che gli stavano attorno. Le ho ben impresse ancora nella memoria: "Ieri sera ho celebrato la Messa di mezzanotte con poche persone e oggi non mi sento di celebrare, sono solo". La tua risposta è stata immediata: "Celebra tu la Messa solenne in Duomo e io vado a celebrarla da don…". Questa decisione operò un cambiamento totale, fu come il sole che appare improvvisamente tra le nubi.

Subito telefonai a quel parroco per comunicargli che il vescovo era già in viaggio per raggiungere la sua parrocchia. Il risultato fu che egli chiamò i chierichetti e li inviò in tutte le case del piccolo paese ad annunciare che arrivava il vescovo a celebrare la Messa delle undici e, quando vide l'auto salire sulla collina, fece suonare a festa le campane.

Caro mons. Luigi, dopo aver ricordato questi piccoli gesti casalinghi di pace, voglio passare al tuo percorrere le strade del mondo con la stessa semplicità, prontezza e amore. Emblematica fu la Marcia dei cinquecento a Sarajevo, insieme a don Tonino Bello dopo una notte passata in mare con onde spaventose che sembravano travolgere l'imbarcazione. Fu questo un bel segno di pace, eroico e fecondo, espressione della cultura della nonviolenza, che ancora oggi si ricorda in quella città.

Non ti arrendevi davanti alle difficoltà e alle calunnie, come avvenne a causa del dialogo con alcuni esponenti politici del Vietnam del Nord, come pure non ti arrestavi di fronte ai visti negati per l'ingresso in alcuni Paesi dell'America latina dove vi erano regimi dittatoriali. Bisogna riconoscere che al tuo fianco c'erano due cardinali, Pellegrino e Ballestrero, che in forme diverse ti stimavano e sostenevano la tua testimonianza chiaramente evangelica, soprattutto come presidente di Pax Christi. Per te il dialogo non aveva colori perché è lo strumento che Dio usa continuamente con l'umanità.

Gioiosi ricordi

Prima di lasciare Ivrea per andare a Pinerolo, il Consiglio pastorale diocesano e il Consiglio presbiterale, in seduta congiunta, vollero organizzare un saluto, lasciandomi un dono come ricordo.

Tra i numerosi interventi, una signora mi rivolse questa domanda: "Quali sono i ricordi più belli della diocesi e del territorio che porta con sé?"; le risposi: "Il primo ricordo riguarda la prima visita pastorale di mons. Luigi alla diocesi. Una visita accurata, capillare, durata più anni. Lo scopo era conoscere la diocesi nella sua ferialità e le realtà sociali che in essa prosperavano. Dalla pianura alla montagna, anche le realtà più nascoste egli le volle visitare, fotografare e di ogni parrocchia fare una relazione di quanto aveva visto. Fu un'esperienza faticosa ma gioiosa che permise alla gente di conoscere il vescovo e a lui, mons. Luigi, di conoscere la gente e soprattutto i preti. Lui entrò in tantissime case là dove c'era una sofferenza, una malattia, oppure un momento di gioia da condividere. Fu un'esperienza bellissima, però difficilmente imitabile".

Il secondo ricordo è quello relativo ai due Sinodi. Il primo durato due anni, preparato dal documento Insieme per pregare e per servire (lo definivi quasi un documento celeste, perché scritto nell'alto dei cieli, sull'aereo, andando in giro per il mondo). Era il Sinodo che tentava di realizzare quanto proposto dalle 4 Costituzioni conciliari. Il secondo Sinodo verteva sulla parola di Dio, guidato dal Priore di Bose, Enzo Bianchi, che lasciò una traccia profonda nella vita della diocesi.

Il terzo ricordo è la visita di papa Giovanni Paolo II. Per me è stato un momento esaltante, soprattutto perché il papa celebrò la Santa Messa nella mia parrocchia (lunedì 19 marzo 1990), inaugurando i lavori archeologici e di restauro. Desidero ancora ricordare un piccolo particolare, quasi insignificante, avvenuto la sera prima in cattedrale, domenica 18 marzo, dove erano riuniti gli operatori pastorali, i preti, i religiosi e le religiose. Prima del discorso del Papa, ogni gruppo espresse brevemente una sintesi del loro lavoro pastorale. Io parlai a nome del clero. Al termine volli aggiungere questa espressione non scritta: «Santità, oltre tutto questo, voglio assicurarle che noi tutti vogliamo un gran bene al nostro Vescovo»; seguirono molti applausi. Ma voglio mettere in risalto un particolare notato da pochi: il Papa, prendendomi il foglio di tra le mani, mi disse "Delle ultime parole, anche il papa è molto contento". […]

Grazie

Tu ci hai insegnato che l'ecumenismo e il dialogo interreligioso sono un cammino irreversibile. Non lo abbiamo intrapreso per nostra strategia. È il Signore che ha messo davanti ai nostri occhi un indicatore per orientarci su questa strada. Lui stesso è la meta che dobbiamo raggiungere. Tu oggi lo hai raggiunto per sempre.

Ancora un grazie per l'anello episcopale che tu avevi ricevuto, a fine Concilio, da Paolo VI e che tu mi hai donato nel giorno della mia ordinazione episcopale. L'anello mi stava largo perché il tuo anulare era molto più ampio del mio, ma alla vigilia dell'ordinazione tu mandasti una tua segreteria da un'orefice a farlo adattare alla mia misura. Così l'anello del Concilio dalle tue mani passò alle mie e tu ti accontentasti di una sua imitazione. Custodisco il tuo anello come un dono prezioso che mi dona forza e mi accompagna per tutta la vita.

Infine, un grazie per gli insegnamenti che mi hai lasciato e per il bene che mi hai voluto.

 

 

Con tantissimo affetto.

+ Pier Giorgio Debernardi

Ouagadougou

18 luglio 2023

 

 

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La lettera integrale è pubblicata nel sito di Mosaico di pace, nella sezione "Mosaiconline"

 

 

 

 


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