Luigi Bettazzi e il Vietnam. Mediatore, attento conoscitore delle ragioni dell'altro: racconto di una delegazione di Pax Christi.

 

Tra le esperienze di impegno e di amicizia che ho vissuto accanto a mons. Luigi Bettazzi ci sono anche i due viaggi in Vietnam, nel 1994 con alcuni sacerdoti della sua diocesi e nel 1996 come delegazione di Pax Christi, con don Tonio Dell'Olio.

Lì ho potuto constatare, tra l'altro, la sua determinazione instancabile nel tessere reti di dialogo e relazioni di fiducia anche con chi partiva da posizioni più rigide e distanti o da pregiudizi ideologici più radicati.

Per poter comprendere le ragioni che portarono don Luigi Bettazzi ad avere un'attenzione così particolare nei riguardi del Vietnam – tanto da recarvisi per ben otto volte – bisogna, a mio avviso, risalire proprio agli anni del Vaticano II quando era ancora ausiliare del cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna.

Cominciò ad allacciare in quel periodo dei rapporti di amicizia con alcuni vescovi di quel Paese, dilaniato allora dalla lunga guerra che contrapponeva da una parte il Sud, sostenuto dal mondo occidentale con gli Stati Uniti d'America, e dall'altra il Nord, sostenuto dal mondo comunista con l'U.R.S.S. e la Repubblica popolare cinese.

Cessate il fuoco!

Parlando del Concilio e in particolare della Gaudium et Spes, Bettazzi ricordava spesso che si era arrivati alla condanna della guerra totale (n.80) ma, per l'opposizione di alcuni vescovi statunitensi, non a una condanna assoluta della guerra, perché – come ebbe a dire il card. Spellmann, arcivescovo di New York, con toni accesi e accorati – "non si possono pugnalare alle spalle i nostri ragazzi che in Estremo Oriente difendono la civiltà cristiana".

Finito il Concilio, Bettazzi divenne vescovo di Ivrea e, qualche tempo dopo, presidente di Pax Christi, della sezione italiana prima, nel 1968, e poi anche presidente internazionale dal 1978.

Proprio nel 1968 per volontà di Paolo VI si cominciò a celebrare a Capodanno la Giornata mondiale per la Pace e Pax Christi da allora si attivò per organizzare ogni anno, il 31 dicembre, la marcia nazionale della Pace.

Il primo gennaio di quello stesso anno divenne una data memorabile anche per lo sconcerto suscitato in ambito politico ed ecclesiastico dalla coraggiosa e sorprendente omelia del card. Lercaro nella cattedrale di Bologna nel corso della quale condannò duramente e senza mezzi termini i bombardamenti americani in Vietnam e lanciò un appello per il cessate il fuoco.

Quella denuncia così chiara e autorevole accese il dibattito pubblico, scosse la coscienza di molti cattolici e non lasciò certo indifferenti i membri di Pax Christi a partire dal suo presidente, il vescovo Bettazzi già ausiliare di Lercaro.

"La Chiesa – disse Lercaro – non può essere neutrale di fronte al male da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia; (...) La dottrina di pace della Chiesa (...) non può non portare oggi a un giudizio sulla precisa questione dirimente (...) Intendo riferirmi come voi ben capite alle insistenze che si fanno in tutto il mondo sempre più corali (...) perché l'America (al di là di ogni questione di prestigio e di ogni giustificazione strategica) si determini a desistere dai bombardamenti aerei sul Vietnam".

Poco dopo il cardinale fu costretto, senza molte spiegazioni, a rassegnare le dimissioni dalla cattedra di San Petronio.

Veti

Nel 1973 – ci racconta ancora mons. Bettazzi – in una riunione del Consiglio internazionale di Pax Christi venne presentata la richiesta di organizzare un'assemblea mondiale di appoggio ai popoli del Vietnam-Cambogia-Laos (l'antica Indocina francese) allora assediati dalle truppe americane.

La sezione francese mise ovviamente un veto e per superare la difficoltà si decise di affidare alla sezione italiana l'organizzazione di quell'assemblea da tenere a Torino agli inizi di novembre (cfr. L. Bettazzi, In dialogo con i lontani, Aliberti ed. pag.86).

Sapendo che l'iniziativa non era gradita alla Cei, Bettazzi interpellò l'allora segretario generale monsignor Bartoletti che gli rispose di decidere "secondo coscienza". 

"Il convegno di Torino – scrive – riuscì bene, con l'approvazione dell'arcivescovo, il card. Pellegrino, che venne a portare il suo saluto e il suo augurio. Mi sentii spinto – per coerenza – a recarmi l'anno seguente nel Vietnam del Sud, dove avevo vescovi locali fatti amici durante il Concilio, e dove ebbi contatti con cristiani impegnati nei movimenti di liberazione, ma dove mi resi conto dell'imbarazzo di tanti settori della Chiesa di fronte ad alternative così incerte.

Lo stesso Delegato vaticano, allora residente a Saigon, esitò a ricevermi e non si sentì di tenermi a pranzo… perché avevo organizzato il Convegno di Torino" (ivi pag.87). Poi, all'arrivo delle truppe del Nord, il Delegato vaticano fu allontanato e da allora venne a mancare un Nunzio vaticano in Vietnam così come un'Ambasciata vietnamita presso il Vaticano.

Questa situazione di mancato riconoscimento ufficiale della Chiesa da parte del governo e la conseguente difficoltà di scambio e di dialogo creavano non pochi problemi alla minoranza cattolica del Paese, molto limitata nel suo dinamismo pastorale e nell'attività di evangelizzazione.

Gradita e in qualche modo incoraggiata era invece la sua molteplice attività caritativa e assistenziale.

Diplomazia

Il desiderio di favorire la ripresa dei rapporti col Vaticano con una sorta di diplomazia informale e dal basso spinsero il vescovo di Ivrea a recarsi per ben altre sette volte in quella terra, cercando sempre quel che unisce e non quel che divide. Ha praticato anche lì quella nonviolenza attiva e creativa che diviene cura paziente dei rapporti personali e amichevoli, favorisce un clima di fiducia e di ascolto reciproco e genera la cultura dell'incontro.

Le visite ai vescovi locali, alle diverse realtà ecclesiali e ai rappresentanti del Ministero per gli Affari religiosi, si svolgevano alla presenza di un interprete che in realtà aveva il compito informale di seguire e controllare discretamente i nostri movimenti e i nostri colloqui.

Tra gli argomenti che Bettazzi portava per aiutare le due parti, la Chiesa cattolica e le autorità politiche, a superare le divergenze e poter avviare un percorso d'intesa e di riconoscimento reciproco, c'era anche il motivo dell'utilità e della convenienza per le possibili aree comuni di impegno e di collaborazione a servizio della gente.

Ricordo, ad esempio, che, quando in ambienti ecclesiali gli si faceva notare la limitazione – perciò la privazione della libertà religiosa – riguardante il numero delle ordinazioni sacerdotali o delle professioni religiose femminili consentite dal governo in un anno, lui rispondeva che bisognava partire dalle piccole aperture date come concessione e che sicuramente nel tempo si sarebbero ulteriormente allargate.

"In una città del Nord – racconta – partecipai all'ordinazione sacerdotale di nove diaconi. I candidati erano tredici – mi si osservò – ne hanno fermati quattro. Risposi: ringraziate il Signore per questi, gli altri saranno ordinati l'anno prossimo" (ivi pag.88).

In un'altra occasione incontrammo nella città di Ho Chi Min (precedentemente si chiamava Saigon) tante suore che "lavorano con i poveri e gli ammalati (magari nelle stesse istituzioni fondate da loro e assorbite dal governo o dai municipi) e manifestano una serenità e una gioia che conquistano" (ivi pag.89).

Ci recammo anche nel monastero delle Carmelitane – quello dove voleva trasferirsi a fine Ottocento anche la giovane suora francese Teresa di Lisieux – che vivevano con grande serenità e libertà la loro vita di clausura e che, moltiplicandosi, stavano per aprire un nuovo Carmelo (ivi pag.89).

È del 29 settembre scorso la lettera di papa Francesco alla comunità cattolica del Vietnam in cui comunica finalmente "l'accordo sullo statuto del Rappresentante pontificio residente della Santa Sede in Vietnam".

Ed è così che quel sogno per cui tanto si è speso l'amico vescovo, fedele testimone del Concilio e paziente tessitore di dialogo, ora che se n'è andato, abbia cominciato davvero a realizzarsi.

 

 

 


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