Chi sono i veri responsabili delle stragi per abbandono in mare?
Giovedì 4 agosto scorso, quando era già evidente la serie di burrasche che avrebbe colpito il Mediterraneo centrale, chiedevamo invano alle autorità politiche e marittime italiane ed europee di predisporre piani di emergenza per soccorrere il maggior numero possibile di naufraghi che si sarebbero trovati in pericolo in mare nei giorni successivi.
Chiedevamo il coinvolgimento di tutte le unità civili e militari presenti in quel tratto di mare, soprattutto gli assetti aeronavali di Frontex, della missione europea Eunavfor-Med Irini e della Marina militare impegnata nella missione Mediterraneo sicuro.
Chiedevamo anche, come si verificava fino al 2016, il dislocamento in acque internazionali delle unità navali più grandi della Guardia costiera italiana, che invece sono state impegnate prevalentemente nei trasferimenti di migranti dall'hotspot di Lampedusa verso altri centri di prima accoglienza, E, infine, chiedevamo che le navi umanitarie delle Ong fossero impiegate in base alle loro potenzialità reali di ricerca e salvataggio, mentre invece sono state ancora una volta allontanate verso porti sempre più distanti, praticamente vuote, solo per impedire che potessero continuare a svolgere la loro attività di soccorso in acque internazionali. Del resto era proprio questo lo scopo del decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023, che ha permesso al Ministero dell'interno di esercitare un'ampia discrezionalità per allontanare le navi delle Ong, addirittura fino ai porti di La Spezia e Ravenna, o sottoporle a provvedimenti di fermo amministrativo.
Malgrado la denuncia a livello delle Nazioni Unite della frequente collusione delle milizie libiche e delle correlate guardie costiere con le organizzazioni di trafficanti, e malgrado la conclamata corruzione che caratterizza i sistemi di controllo di frontiera in Libia e in Tunisia, si è andati avanti con la consegna di altre motovedette ai libici e con la proposta di un Memorandum d'intesa tra Unione Europea e Tunisia. Un Memorandum firmato in una bozza non vincolante tra il sottosegretario agli esteri tunisino e il rappresentante della Commissione europea per le relazioni esterne, su cui neppure Saied e la Meloni hanno apposto una firma. Un ennesimo Memorandum d'intesa che si vorrebbe prendere a modello delle future relazioni con Egitto e Marocco, ma che, prima ancora di essere approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ha già prodotto una scia di morte legittimando le peggiori pratiche di respingimento collettivo e di abbandono in mare decise dal Presidente tunisino Saied, con il supporto determinante di Giorgia Meloni e del ministro dell'Interno Piantedosi.
I migranti forzati che sono da mesi in fuga dalla Tunisia non cercano di attraversare il Mediterraneo perché i trafficanti gli promettono il paradiso in Europa, ma cercano soltanto di fuggire dalle persecuzioni alle quali vengono sottoposte dal governo del presidente Saied, o dal rischio di essere respinti nella terra di nessuno al confine tra Tunisia e Libia.
Le capacità operative della Guardia costiera italiana e degli altri assetti militari che operano all'interno della nostra zona di ricerca e salvataggio (Sar) sono fuori discussione, ma i fatti confermano gli effetti letali delle prassi di abbandono in mare in acque interazionali, frutto degli accordi con Paesi terzi e dell'allontanamento preordinato delle navi delle ong che in passato hanno contribuito, in coordinamento con gli assetti aeronavali militari italiani, al salvataggio di decine di migliaia di persone. Prima che nel 2018 fosse istituita la cosiddetta zona Sar "libica" e prima che si scatenasse l'attacco mediatico-giudiziario contro le ong, un attacco che anche se è stato respinto nelle sedi giudiziarie ha scavato un fossato di disumanità nell'opinione pubblica italiana, al punto che ancora oggi si continua ad attaccare ogni intervento di soccorso delle navi umanitarie, persino quando sono bersaglio delle intimidazioni provenienti dalle motovedette libiche donate dall'Italia. Le responsabilità di trafficanti e scafisti, anche quando sono individuate nelle rare operazioni di polizia nei Paesi di transito, o sono oggetto di riconoscimento e denuncia da parte dei sopravvissuti, una volta giunti in Italia, non possono certo esaurire la ricerca delle responsabilità delle stragi che sempre più spesso caratterizzano le rotte migratorie del Mediterraneo centrale, le più letali del mondo.
I fatti di queste ultime giornate, quattro naufragi, in quattro giorni, tra decine di barchini avvistati in acque internazionali e segnalati per tempo alle autorità marittime degli Stati costieri, ma sui quali chi si sarebbe dovuto dichiarare competente come autorità Sar ha deciso di non intervenire, magari perché si trovavano al di fuori delle acque territoriali, richiama responsabilità al livello più elevato, dei decisori politici e dei vertici militari che assumono il coordinamento delle attività di sorveglianza delle frontiere, opponendo il segreto militare ad ogni richiesta di informazioni.
Solo la magistratura, se sarà capace di andare oltre la ricerca dello scafista di turno, potrà accertare l'intera catena di responsabilità per casi sempre più frequente nei quali appare plausibile parlare di omissione di soccorso in acque internazionali. Sempre che non intervenga ancora una volta il Parlamento a bloccare l'accertamento dei fatti e delle responsabilità. Oppure si dovrà attendere l'intervento dei tribunali internazionali.
Nel trattamento dei migranti abbandonati nel deserto o nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, sono chiaramente configurabili crimini contro l'umanità, come sosteniamo dal 2017, crimini che possono essere perseguiti davanti alle corti internazionali, ma che non possono restare irrilevanti per le giurisdizioni nazionali. Ma sarà anche necessario intensificare il lavoro di denuncia e controinformazione, al di là dei tempi lunghi degli accertamenti operati dalle diverse magistrature, per impedire che intorno a queste autentiche tragedie umane cali una cappa di assuefazione e da qui all'impunità definitiva dei responsabili il passo è molto breve e in questi giorni sembra proprio che sia stato compiuto. Come se si fosse superato un punto di non ritorno. Nel degrado progressivo della tutela dei diritti umani, del diritto alla vita, del diritto di asilo.