Qualifica Autore: Un ponte per...

In ricordo di Dino Frisullo e del suo impegno incessante per le minoranze etniche oppresse e per i migranti.

 

Una lapide sul muro lo ricorda proprio all'inizio della discesa ai Giardini del Frontone da dove parte da sempre la Marcia Perugia-Assisi. A Roma l'amministrazione comunale gli ha dedicato una via, o meglio un "Largo", al Testaccio, area ex mattatoio dove è situato il centro culturale curdo Ararat.

"Senzaconfine", l'associazione antirazzista di cui fu per anni portavoce, gli ha dedicato un premio quest'anno conferito a Mimmo Lucano, Vincenzo Luciano e Antonio Graziosi, rispettivamente il primo ex sindaco di Riace e gli altri due i pescatori che per primi sono accorsi per cercare di salvare vite umane dal naufragio che ha causato l'ultima strage di migranti a Cutro. Nella sua Puglia ci sono già da tempo alcune sezioni di partito o circoli culturali che portano il suo nome. Nell'incontro di presentazione del libro In Cammino con gli ultimi, scritto da decine di mani e curato da "Senzaconfine" (Redstarpress editore), nella sala del Consiglio comunale di Bari, il capogabinetto del sindaco Decaro ed ex parlamentare dei Verdi Vito Leccese si è impegnato a dedicargli un luogo.

Un lavoro per la pace

È in questa occasione mi è stato chiesto: "Dobbiamo fare conoscere Dino Frusullo alle nuove generazioni".  Perché Dino se ne è andato venti anni fa, portato via nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno, da un tumore spietato, contro e a dispetto del quale, ha continuato a scrivere e lavorare per la pace, i diritti dei migranti e la solidarietà internazionale fino alle ultime ore di vita.

Non so se saremo in grado di far conoscere ai giovani questo "militante avido di conoscenza e d'amore, vissuto e morto povero e curioso" come recita il sottotitolo del già citato libro. So però che la vita, le sue battaglie e gli scritti di Dino sono di un'attualità drammatica, di un pensiero lungimirante e mai accomodante. Ci parlano del suo impegno militante, direi totalizzante, tanto da mischiare vita privata e vita pubblica nell'impegno politico. Ci parlano del far politica, non per far carriera – Dino visse povero e fu licenziato da diversi posti di lavoro pubblici – ma perché "scoprii con emozione che essere soggetti di storia è possibile e necessario; che senza il mio impegno il mondo è peggiore e maggiori le sofferenze degli esseri umani".

Di fronte a questa umanità sofferente "non puoi stare alla finestra neanche un giorno… Senza questo imperativo morale non c'è sinistra, se sinistra non è professionismo di palazzo ma trasformazione del mondo con gli occhi, le mani e i piedi di chi sta in basso". 

Leggere Dino e le innumerevoli testimonianze di chi lo ha conosciuto significa vedere concretizzata la famosa frase di don Milani: "Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia". Ecco, la politica per Dino era costruire, dal basso, percorsi collettivi e abbattere muri e diffidenze.

Con Melandri e Bello

Lui, marxista rivoluzionario nel senso della frase di Bloch "il lato caldo del marxismo", aveva l'attitudine a mettere insieme mondi diversi. Non solo l'incontro e il lavoro con il mondo cristiano, da Eugenio Melandri fondatore di Senzaconfine, a monsignor Di Liegro, l'animatore della Caritas di Roma, a don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Cristi. La sua idea puntava all'autorganizzazione degli ultimi e al protagonismo diretto delle comunità e dei movimenti. Per Dino ogni luogo del pianeta che brulica di umanità deve essere frequentato nell'attitudine dell'ascolto, vuoi che sia l'alveare di migliaia di migranti come nell'ex pastificio della Pantanella a Roma, o le strade dei territori palestinesi occupati o nella manifestazione del Newroz di Diyarbakir dove Dino Frisullo venne arrestato e detenuto nelle carceri turche per oltre un mese. Militante e dirigente di Democrazia Proletaria, Frisullo fu capace di coniugare questa appartenenza a una piccola e radicale formazione politica della nuova sinistra a grandi vertenze di popolo: dalla lotta contro la militarizzazione della Murgia, alle lotte ambientali e antinucleari, ai drammi occupazionali prodotti dalla più grande ristrutturazione produttiva capitalista degli ultimi decenni. Non solo movimenti di opposizione, ma anche e soprattutto di proposta: piani energetici alternativi, sviluppo autocentrato, diritto all'abitare, diritti per i migranti e i richiedenti asilo.

Fondatore e federatore di molte reti, poliglotta, insaziabile lettore era dotato di una scrittura vivissima e acuta (dettava i pezzi ai quotidiani a cui collaborava direttamente al telefono, senza neanche scriverli prima). Ai suoi funerali a Roma, nel giugno 2003, una folla multicolore lo salutò durante il corteo funebre. In quella folla meticcia c'è forse il suo testamento più bello e l'indicazione di portare avanti le lotte per la dignità, la giustizia e l'uguaglianza tra gli esseri umani. Come ha scritto nella sua introduzione al libro Giovanni Russo Spena, Dino ci insegna con "la sua passione (a volte con la sua 'finta incoscienza') che occorre resistere, pensare, ricercare ancora; che nulla è impossibile, quando i popoli sono in movimento. L'unica battaglia veramente persa è quella non combattuta".

 

 

 

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Siamo in guerra. Ve ne siete accorti?

Non dico la grandine di bombe sull'Afghanistan, la tempesta che s'addensa sull'Iraq e sui kurdi, i lampi di guerra in Kashmir, lo stillicidio di morte in Palestina. Dico la guerra qui, in Occidente, nelle nostre città.

[…] La guerra copre, rimuove, ottunde. La guerra riduce i colori e le sfumature del mondo a un allucinante bianco/nero: amico/nemico, e il nemico del mio amico (alleato Nato) è mio nemico.

Dunque, era nemica anche Milli Gullu, morta per asfissia a ventisette anni nella stiva d'una nave negriera sotto gli occhi sbarrati del marito e delle due figlie piccole, e quella stiva fetida non fu aperta che due giorni dopo. Milli fuggiva da un processo davanti al Tribunale speciale per aver partecipato a uno sciopero della fame in difesa del suo presidente Ocalan, che prima di lei s'era presentato alla frontiera italiana per chiedere asilo. Uccisa lei prima di vedere l'Italia, consegnato lui alla cella della morte dopo averla appena intravista, l'Italia. Mi ha telefonato stasera M. da Crotone: al vedovo i gestori del centro d'accoglienza di Sant'Anna (su quella pista che vent'anni fa occupammo per non vederne decollare gli F-16 e ora ospita le vittime degli F-16 in fuga) impediscono di uscire per vedere un'ultima volta, composto nell'obitorio e non nell'allucinante fetore di quella stiva, il corpo di sua moglie.

[…] Centri d'accoglienza come centri di detenzione. D'altronde Bossi e Fini non propongono di recludere tutti i richiedenti asilo, tanto per non sbagliare e prevenire le istanze "strumentali"? E Livia Turco non trova di meglio, davanti a quel povero cadavere, che addebitare al nuovo governo di non averne aperti di più, di centri di detenzione, e di non aver messo in pratica gli accordi d'interdizione dell'esodo (e dunque, presumibilmente, di rimpatrio degli asilanti) con la Turchia.

[…] Per rompere questo cerchio infernale avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza, forza e passione. Di una rete capillare che sappia spiegare, tutelare, rivendicare diritti umani e convivenza. Anche disobbedendo le leggi, se a partorirle sono i Le Pen e gli Haider di casa nostra.

E… scusate lo sfogo. A notte fonda, volevo solo dividere con voi il peso di una lunga giornata di guerra. Non a Kabul, a Roma.

Dino Frisullo

19 ottobre 2001

 

 

 

 


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