Qualifica Autore: Un Ponte per

Non basta solo l'accoglienza: verso una politica decoloniale.

 

Nella sua visita di Stato in Etiopia, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non ha ritenuto necessario citare la passata relazione coloniale tra i due Paesi, nonostante si sia trattato di una duplice aggressione militare, nel 1895 dello Stato liberale e nel 1936 di quello fascista e di crimini di guerra come i bombardamenti con gas chimici o come il massacro di Addis Abeba per ricordare il quale in Etiopia è stato istituito un "giorno della memoria".

Sarebbe forse bastato richiamare almeno la stretta di mano del presidente Mattarella ai partigiani etiopi antitaliani nel 2016. A una domanda in merito la presidente Meloni ha risposto di non vedere il nesso. Come se il Presidente degli Stati Uniti o quello tedesco potessero andare in Giappone o in Israele, sorvolando sul passato. Sorvolare sul passato permette di qualificare come "dono" e non come risarcimento quei 40 milioncini di aiuti concessi per l'occasione a fronte di commesse per Salini/Impregilo per 9 miliardi di euro.

Questa "dimenticanza" non è solo italiana, né solo di governo.

Nel 2005 il Parlamento francese aveva addirittura approvato una legge che prescriveva il riconoscimento nei programmi scolastici del "ruolo positivo della presenza francese oltremare" (legge successivamente solo in parte modificata). Nel suo complesso è l'Europa intera che ha rifiutato di fare i conti con la colonizzazione, che pure è stata tanta parte della propria storia e ha contribuito in misura determinante alla propria ricchezza. Si evitano, così, fastidiose discussioni sulle pretese di risarcimento, sulle responsabilità occidentali nei confronti della situazione in cui versa il Sud del globo, ma anche di riconoscere di far parte delle cause che costringono milioni di persone a emigrare.

Ma il tema della colonizzazione (e quindi del neocolonialismo e della politica estera) è praticamente assente anche dalla narrazione della sinistra e dei movimenti antirazzisti e di solidarietà. Non per mancanza di consapevolezza – o almeno non sempre – ma per assenza di analisi, di obiettivi e di rivendicazioni.

Le organizzazioni che lavorano sulla questione delle migrazioni, dalla gestione di centri di accoglienza alle scuole di italiano, dal soccorso in mare a tanti altri approcci, sono centinaia, se non migliaia; tuttavia, non sempre si trovano nelle piattaforme rivendicative richieste diverse dal diritto al soccorso e all'accoglienza e dalla modifica delle leggi sull'immigrazione.

Si finisce così per alimentare un approccio esclusivamente umanitario che rischia di far sfumare il diritto, non solo a scegliere liberamente la propria residenza, ma soprattutto a poter rimanere nel proprio Paese. Alla fin fine anche per noi l'immigrazione è una questione che riguarda gli Interni e non gli Esteri. Lo sottolinea bene un recente documento della Convenzione per i Diritti nel Mediterraneo contro il neocolonialismo (Documento della Convenzione per i diritti nel Mediterraneo contro il neo-colonialismo).

Si finisce in questo modo per accettare la naturalizzazione delle cause dei movimenti migratori, ripetendo il mantra "scappano dalla fame e dalla guerra" quasi che fame e guerra fossero un terremoto o un fenomeno atmosferico, senza mai nominare le origini delle stesse e le responsabilità europee. Eppure, se masse di persone migrano è una conseguenza (anche se non solo) delle politiche dei Paesi che non li vogliono accogliere.

Oggi

Prendiamo, ad esempio, la questione del cambiamento climatico. Nel 2021 gli abitanti dell'Africa forzati a spostarsi a causa del clima sono stati 2,9 milioni (climate change and future human mobility) ed entro il 2050 potrebbero superare i 200 milioni (Rapporto Groundswell – Banca Mondiale). Eppure (Climate Watch ), dei 2.500 miliardi di tonnellate di gas serra pompati nell'atmosfera dal 1850 ad oggi, causando l'aumento della temperatura del globo di 1,2 gradi centigradi, oltre il 40% è stato prodotto in Europa e Nordamerica che contano solo il 13 % della popolazione mondiale. Un abitante medio dell'Africa subsahariana produce 2 tonnellate di gas serra, un decimo di quanto prodotto da un cittadino statunitense e un quarto di uno europeo.

L'industrializzazione europea si è storicamente basata su energia e materie prime a buon mercato prelevate dai Paesi colonizzati e neo-colonizzati e sull'utilizzo dell'atmosfera (e dei mari) per lo scarico delle proprie scorie. Ma nonostante l'evidenza del debito ecologico accumulato, la nozione di rifugiato climatico, che trasformerebbe l'accoglienza da fatto di generosità ad atto di risarcimento, è tuttora rifiutata dai Paesi del Nord del mondo che nelle varie Cop si rifiutano persino di sostenere le economie più deboli nella transizione ecologica.

Diritti

Il furto ecologico europeo e la conseguente violazione del diritto a restare nella propria terra di milioni e milioni di persone è evidente, ma non è la sola responsabilità che all'Europa compete.

Si potrebbero citare in ordine casuale: l'appropriazione delle terre e la pressione per spostare le agricolture dall'alimentazione locale alla monocultura e alla produzione per l'esportazione, gli accordi di libero scambio e i Bit che hanno depresso le economie locali inondandole di merci europee insieme al protezionismo verso i prodotti agricoli, le politiche volte a tenere bassi i prezzi delle materie prime, i programmi di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale, gli interessi sul debito, la vendita di armamenti, il sostegno a governi corrotti, l'alleanza con le élite locali occidentalizzate  a spese della parte povera della popolazione, e si potrebbe continuare.

Senza voler minimizzare l'esistenza di fattori interni è un fatto innegabile che le guerre africane si combattono anche grazie alla fornitura di armamenti europei. Colpi di Stato, separatismi, persino jiadismi sono stati alimentati da Paesi e corporation europee nella lotta per il controllo delle materie prime. Si pensi al conflitto libico e a come questo si intrecci alla rivalità franco-italiana per il controllo del petrolio di quel Paese. O come la competizione tra Europa dell'Ovest e Russia stia alimentando conflitti in West Africa.

Tutto ciò è noto, ma non riesce a diventare la base per una proposta politica che vada oltre l'accoglienza e che metta in discussione il ruolo italiano ed europeo nel mondo, e verso il Sud globale, la nostra politica estera e soprattutto commerciale. Siamo capaci di radunarci a Cutro in migliaia con poche ore di preavviso, ma non riusciamo a mettere insieme un minimo di piattaforma per una nuova politica verso l'Africa che metta al centro il diritto a non migrare e il riequilibrio economico e politico.

Intanto, in assenza di qualsiasi proposta politica della sinistra, il Governo si può permettere di denominare con il nome di Mattei, un convinto anticolonialista, un processo di ricolonizzazione. E così, i migranti restano nell'immaginario collettivo principalmente poveracci bisognosi di aiuto che l'Europa, benevola, può dare o non dare e non popolazioni portatrici di un diritto allo sviluppo negato dall'Occidente alle quali offrire non solo solidarietà, ma una alleanza politica per il cambiamento.

 

 


Mosaico di pace, rivista promossa da Pax Christi Italia e fondata da don Tonino Bello, si mantiene in vita solo grazie agli abbonamenti e alle donazioni.
Se non sei abbonato, ti invitiamo a valutare una delle nostre proposte:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/abbonamenti
e, in ogni caso, ogni piccola donazione è un respiro in più per il nostro lavoro:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/altri-acquisti-e-donazioni