La nostalgia della tua presenza non è rimpianto romantico ma sete di senso per comprendere come è stato possibile piegarsi al simulacro della guerra

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Scriverti, caro don Tonino, è tutt'altro che un esercizio di retorica che si ritualizza ad ogni tuo anniversario. È piuttosto un'esigenza.

È insopprimibile l'urgente necessità che ogni artigiano di pace avverte come traboccamento di dolore e sofferenze, talvolta di disperazione. "Abbiate il cuore vicino e i battiti lontani", così ci hai insegnato a vivere i nostri sentimenti all'unisono col dolore del mondo.

E ora quei battiti sono nella Striscia di Gaza come il 7 ottobre hanno vissuto gli ultimi battiti nel petto delle vittime dei kibutzim che hanno sempre creduto nella più pacifica delle convivenze possibili. Ora quei battiti sono in Ucraina e al Crocus City Hall di Mosca, a Port-au-Prince come a Butembo e l'elenco potrebbe proseguire – una lacrima dopo l'altra – come una litania. Il mondo è in ginocchio. E non sempre per pregare.

Qualifica Autore: suora benedettina, Lecce

Linguaggi divini e gesti di ogni giorno. Uno stile di vita che profuma di prossimità. 

  

Abbiamo bisogno e nostalgia di tenerezza. La tenerezza ha avvolto il nostro nascere, il primo nostro incedere nel mondo, quando le parole erano scandite, donate da un sorriso. Era una tenerezza materna e paterna. Abbiamo nostalgia di un linguaggio di vita mentre, intorno a noi, vi sono parole di morte, assordanti suoni bellici oppure parole trappole o vane o stanche.

Sembra che non vi sia spazio per un linguaggio di tenerezza: è fuori luogo? È fuori tempo?

Forse sì, ma, lo sappiamo, i bisogni negati, repressi, a poco a poco conducono all'alienazione e alla consunzione della capacità di relazionarci, di vivere. 

Qualifica Autore: presidente Associazione Volontari Casa della Carità di Milano

La storia del violino del mare: dal legno delle barche arriva la musica.

  

"Il Violino del mare" nasce dall'idea di trasformare il legno delle barche su cui hanno viaggiato donne, bambini e uomini, partiti dai loro Paesi, molti dei quali non sono riusciti neppure a concludere il loro viaggio, in uno strumento di speranza che possa comunicare attraverso la musica una cultura dell'accoglienza e dell'integrazione.

Si chiama "Metamorfosi" il progetto della Casa dello spirito e delle arti fondata e presieduta da Arnoldo Mosca Mondadori. Metamorfosi è un nome bellissimo perché evoca l'idea del cambiamento intrinseco e continuo nelle cose del mondo. Un'imbarcazione che si trasforma in uno strumento musicale. Il dramma dei tanti viaggiatori  della speranza che si intreccia con la vita dei detenuti di un carcere, luogo di pena, ma anche del suo contrario se vissuto come ricerca di un futuro migliore, diventa opportunità di incontro per  arte e musica. L'idea è nata nel dicembre del 2021 quando, all'interno del laboratorio di Liuteria e falegnameria del carcere di Opera vengono portati da Lampedusa dieci barconi di legno che hanno fatto naufragio, per costruire presepi che, in tempo di pandemia, potessero essere un segnale di speranza per tutti, credenti e non credenti.

Qualifica Autore: ricercatrice Jean Monnet Centre della Newcastle Unviersity e Ires CGIL Toscana

Modificare la 185/90 vuol dire ridurre trasparenza e democrazia. E indebolire la forza del diritto.

  

La legge n. 185/90 che regolamenta le esportazioni di armi è sotto attacco. Eppure è stata una delle legislazioni più avanzate nel contesto europeo e internazionale sulla trasparenza e il controllo degli armamenti. Fu approvata in un periodo propizio. Infatti, negli anni Ottanta, in pieno bipolarismo e contrapposizione tra Est e Ovest, un periodo caratterizzato da un riarmo convenzionale e non convenzionale, gemmarono movimenti per la pace costituiti da giovani e giovanissimi, che manifestarono in Italia e in altri Paesi europei per interrompere una corsa agli armamenti che sembrava inarrestabile.

C'era stata una crisi rischiosa, percepita come una minaccia molto reale e molto vicina alla catastrofe nucleare.

Così si manifestava per la sopravvivenza dell'umanità. La gente pensava che le cose si potessero cambiare dal basso, che gli strumenti di trasparenza e di controllo degli armamenti potevano garantire una sicurezza migliore di quella affidata agli armamenti.

Qualifica Autore: musicista e compositore

Le musiche di "Costruire la Casa comune" del gruppo NoteConLode risuonano nel carcere di Monza.

  

È un sabato pomeriggio di fine gennaio, dovrebbe fare freddo, invece l'anticiclone dei giorni scorsi regala un tempo tutt'altro che invernale. Loro arrivano scaglionati a gruppi di dodici/quindici per volta; si dispongono ordinatamente partendo dalle prime file di sedie sistemate in precedenza nella sala. È uno stanzone bislungo e sarebbe del tutto anonimo se non fosse per i lasciti alle pareti frutto di precedenti attività, un po' artigianali, un po' artistiche.

Noi siamo arrivati con un'ora d'anticipo. Ci siamo sistemati in fondo con gli strumenti, le chitarre, i microfoni; alle nostre spalle, appeso, un telone dove proiettare immagini e filmati che integrano il nostro racconto in un'alternanza di poesia e canzoni. Prima dell'inizio abbiamo fatto cerchio e recitato, come ogni volta, una preghiera: non siamo qui per protagonismo, ma perché le parole di papa Francesco ci hanno emozionato da subito e vogliamo annunciarle a chiunque le voglia ascoltare. Ora sono arrivati proprio tutti e hanno riempito quasi interamente il salone. Loro sono i detenuti della Casa circondariale di Monza. Curiosi, guardiamo quei volti che ci guardano a loro volta incuriositi; in tutti noi cresce l'emozione per questa esperienza del tutto unica nel suo genere.

Qualifica Autore: Policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia

Quando il potere è al servizio di pochi. Note dall'ultimo rapporto di Oxfam.

 

Viviamo in un'epoca dominata da molteplici tensioni e sfide esistenziali di fronte alle quali fatichiamo a fare fronte comune. Sfide che minacciano le prospettive di uno sviluppo socioeconomico sostenibile e inclusivo e che sono aggravate dall'approssimarsi di un catastrofico "punto di non ritorno climatico".

Le recenti crisi – la pandemia da Covid-19, la crisi alimentare e energetica, lo shock inflattivo, i conflitti internazionali in corso, oltre la crisi climatica – si sono sovrapposte ed amplificate a vicenda, investendo simultaneamente i sistemi ecologico, economico, politico e sociale e acuendo le nostre fragilità. Tali crisi hanno anche rivelato le fratture di lungo corso che caratterizzano le nostre società e hanno scardinato alcune false narrazioni come quella di "trovarci tutti sulla stessa barca". Se è vero che solchiamo le acque dello stesso mare, alcuni sono però comodamente sistemati in super-panfili, mentre troppi occupano un posto su imbarcazioni malmesse e alla deriva.

Qualifica Autore: attivista di Karama, associazione di solidarietà con il popolo saharawi

Sopravvivere nei campi profughi saharawi: l'importanza della solidarietà e della cooperazione dal basso.

 

A Sesto San Giovanni, in gennaio, si è inaugurata una mostra fotografica "Saharawi. Oltre l'attesa", con fotografie di Renato Ferrantini. Sono 25 foto che raccontano storie, dipingono volti, tratti di vita quotidiana dai campi profughi saharawi. Di questo popolo abbiamo parlato con Sara Di Lello, amica di Karama, associazione di solidarietà con il popolo saharawi, e storica cooperante in quelle terre. 

Come hai conosciuto il popolo saharawi?

Nel 1997, appena laureata, ho partecipato a un convegno a Padova con alcune persone impegnate in politica, come amministratori comunali di varie regioni italiane – dal Piemonte alla Toscana e molte altre – che avevano intenzione di inviare rappresentanti nei campi profughi di Tindouf. Obiettivo della visita era l'osservazione delle problematiche relative all'allevamento del bestiame nei campi profughi, argomento importante per i saharawi che sono nomadi. Io ero del gruppo; al ritorno, abbiamo steso un progetto di approfondimento che abbiamo poi sottoposto all'allora Ministro di Salute pubblica della Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi. Subito dopo sono stata mandata in quei campi e, da allora, non ho mai smesso di andarci. Una bella storia. Adesso ci vado quattro o cinque volte l'anno perché abbiamo creato un ufficio comune tra tre ong: Africa70, Nexus Emilia Romagna e VSF (Veterinari senza frontiere) per cercare di ottimizzare le poche risorse disponibili per la cooperazione internazionale.

Qualifica Autore: docente di Storia e Filosofia co-promotore dell'Osservatorio sulla militarizzazione delle scuole

La scuola 4.0 nel quadro dell'Autonomia Differenziata.

  

Al di là del divario sociale e culturale che l'attuazione dell'Autonomia Differenziata, una volta portata a termine, concretizzerebbe tra le regioni del Nord e quelle del Sud, non di secondaria importanza è la definitiva svendita della scuola pubblica al neoliberismo capitalistico che essa adombra e che tenta di essere sistematicamente realizzata, quasi fosse una necessità ineluttabile, da tutti i governi che ormai si susseguono nel nostro Paese.

Se si presta attenzione al trend in atto da almeno una ventina d'anni in relazione ai processi che avvengono nella scuola pubblica, si può constatare che la particolare congiuntura delle direttive che discendono dalla disponibilità dei Fondi europei PNRR e delle indicazioni relative al Piano Scuola 4.0 con la declinazione dell'Autonomia Differenziata, permetterà, in assenza di mirati interventi statali in alcune regioni, la completa aggressione dei settori strategici militare, farmaceutico, energetico e digitale, su cui si regge il neoliberismo affaristico e guerrafondaio, ormai divenuto protagonista della governance mondiale.

Qualifica Autore: Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza

 

La risposta è nella Giustizia riparativa.

 

"Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Così recita l'articolo 27 della nostra Costituzione.  Ma cosa ne pensano realmente i cittadini? A cosa deve andare incontro, secondo l'opinione pubblica, chi commette un reato? I nostri media non fanno mai mancare notizie sulla commissione di reati e le voci raccolte tornano sempre sugli stessi auspici: "Che venga fatta giustizia!", "Che paghi per quello che ha fatto". Non si sente mai dire: "Speriamo che cambi! Speriamo che ripari a quello che ha fatto". Avendo lavorato con moltissimi autori di reato, possiamo attestare che la loro visione della giustizia è molto in sintonia con questa vox populi: "Ho pagato! Ho chiuso i conti con la giustizia". Mai nessuno che dica: "Ho riparato".

E così, salvo rare eccezioni, gli autori di reato non ricevono alcuna rieducazione, ma vanno incontro a più o meno lunghi periodi di carcerazione caratterizzati da tragico ozio e sofferenza, per "pagare" il conto con la società. Con buona pace della Costituzione. Ma davvero, scontata la pena, i conti sono chiusi? Non lo sono per niente: la carcerazione non risarcisce in alcun modo chi ha subito il reato, non rende la società più sicura, e non permette affatto all'autore di reato di chiudere i conti con quello che ha fatto.

Qualifica Autore: sacerdote, membro della Società Filosofica Italiana

Navalny, luci e ombre di un dissidente.

 

Il primo marzo, i media nazionali hanno riportato le immagini dei funerali di Aleksei Navalny, attivista e politico russo. Il 16 febbraio era giunta la notizia della sua morte improvvisa, avvenuta all'inizio dell'ultimo anno di sconto della pena in un carcere di massima sicurezza nella regione di Kharp, nell'Artico russo. Anche i social hanno rimbalzato la notizia, tanto da fare di Navalny un martire del regime putiniano. Eppure, la realtà politica e sociale russa, gli intrecci e le lotte di Navalny non sembrano renderlo un ideale avversario di Putin o un eroe del libero pensiero.

Chi era

Navalny nasce nel 1976 a Butyn vicino Mosca e nel 2000 entra a far parte del partito Jabloko (in russo La mela) di tendenze filoccidentali. Fuoriuscito nel 2007 da Jabloko, diventa uno dei maggiori leader del movimento Narod (Popolo), di tendenze nazionaliste e xenofobe. Guadagna autorità e prestigio grazie al suo blog sull'anticorruzione in Russia, concentrando le sue ricerche sul presidente Putin.

Luigi Sandri ci accompagna nella storia della Chiesa, tessendo una trama sottile di dialogo con i lettori.

  

Chi prende in mano l'ultimo libro di Luigi Sandri potrebbe subito allarmarsi ed essere tentato di abbandonarlo intonso, non tanto per la mole delle 350 pagine, quanto per il titolo Dire Dio: allora – potrebbe supporre il lettore – si tratta di una poderosa indagine di teologia dogmatica. Se poi si legge il sottotitolo: A 1700 anni dal concilio di Nicea, si potrebbe pensare a un trattato di storia della Chiesa. Per fortuna nel titolo c'è un nome (Gesù) e un avverbio (oggi) che stimolano la curiosità. Sì, indubbiamente sono presenti riferimenti ai dogmi e alla storia della Chiesa, tuttavia essi sono abilmente fusi in una forma di stringente dialogo con un vescovo episcopaliano, John S. Spong, appena scomparso, che ha scritto alcune ardite tesi, muovendo veementi accuse, che il nostro autore vuole discutere. Le pagine scorrono rapide sotto gli occhi grazie alla consumata maestria del giornalista, che sa passare dalla cronaca dell'oggi alla storia di una comunità di fede (la ecclesia) e soprattutto a quella di un uomo (Gesù) senza strappi, tessendo una trama atta a coinvolgere il lettore nel dialogo, anzi a interpellarlo di continuo per fargli prendere posizione ed esprimere il suo giudizio nella diatriba.

Qualifica Autore: Centro Studi e Ricerche IDOS

Per un cambio di prospettiva sull'immigrazione. I dati dell'ultimo Dossier Statistico.

  

Era il 1991 quando, sulla scia dell'indignazione per l'assassinio del richiedente asilo Jerry Maslo e della successiva promulgazione della legge Martelli, usciva la prima edizione del Dossier Statistico Immigrazione. La raccolta e l'analisi organica dei dati statistici sulle migrazioni rappresentavano allora una novità: una strategia di indagine e di informazione, messa a disposizione delle istituzioni e dell'intera società civile, per restituire un'immagine articolata e documentata di un fenomeno prima a lungo trascurato e poi divenuto centrale in settori sempre più ampi del dibattito pubblico a partire da prospettive parziali e intrise di allarmismi.

Oggi, a distanza di oltre 30 anni, i flussi e la presenza di origine immigrata sono un tratto strutturale e fisiologico delle nostre società, peraltro necessario alla tenuta degli equilibri complessivi. L'immigrazione, però, torna ciclicamente al centro dell'arena pubblica sulla base di visioni polarizzate su pochi (e specifici) aspetti, di cui si esalta la valenza problematica, il carattere eccezionale, l'ingestibilità se non in termini di crisi e chiusura. Si rinnova così, ciclicamente, una narrazione emergenziale che alimenta l'allarme, distorce il ruolo e il peso dei protagonisti e rinvigorisce la spinta verso politiche improntate alla difesa e alla sicurezza.

Promuovere un'analisi attenta e circostanziata, facendo leva sui dati e sulla loro capacità di ancorare ogni valutazione a un piano di realtà, resta un esercizio prezioso.

Qualifica Autore: missionario comboniano, direttore responsabile

Proseguiamo il viaggio alle radici evangeliche della nonviolenza. A partire da Giovanni Battista.

 

Al tempo di Gesù il "fiume di fuoco" erano le legioni romane. I rotoli di Qumran (Giovanni potrebbe essere stato per un periodo membro di quella comunità) parlano di un fiume di fuoco che consumerà il mondo in un giudizio finale di Dio.

Nel battesimo di Giovanni, l'acqua corrente simboleggia il fiume di fuoco del giudizio: le legioni romane. Coloro che vi si immergevano, ponevano la loro sottomissione al giudizio divino purificatore. Il battesimo di Giovanni era un segno visibile dell'accettazione, da parte di un popolo pentito, del giudizio di Dio. Gesù fu uno di quelli che si sottomette al giudizio di Dio attraverso la mediazione del battesimo di Giovanni.

Con il battesimo, Gesù accettò la visione del Battista di un prossimo giudizio di Dio su tutta la nazione, la sua chiamata a un pentimento come nazione, a una nuova società.

"Sei tu quello che viene?"

 

Di essi sarà il regno dei cieli. L'opzione dei poveri è chiara e univoca: una splendida lettura del Vangelo scritta da don Tonino. 

 

Il significato preciso della parola "beati", comunque, lasciamolo spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci il significato dei destinatari delle beatitudini.

Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli operatori di pace... siano categorie distinte di persone o variabili dell'unica categoria dei poveri, ci interessa fino a un certo punto. E neppure ci interessa molto sapere se i poveri in spirito siano una sottospecie aristocratica dei miserabili o coincidono con quei poveri banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.

Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza. Anzitutto che il discorso delle beatitudini ha a che fare col discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.

Sicché chi vuole entrare nella "gioia" per realizzare l'anelito più profondo che ha sepolto il cuore, deve necessariamente passare per una di quelle nove porte: non ci saranno altri ingressi consentiti nella dimora della felicità.

Qualifica Autore: mediatrice interculturale e attivista iraniana

Quale è la situazione delle donne in Iran oggi?

 

Come mediatrice interculturale e attivista per i diritti umani, portatrice della cultura iraniana e anche italiana, mi trovo ad affrontare questa domanda da sempre. Non è mai facile rispondere per me che ho lasciato l'Iran appena maggiorenne, negli anni Novanta, nonostante abbia cercato di andarci tutti gli anni e di rimanere in contatto con diverse realtà di donne, in Iran e fuori dall'Iran, oltre a studiare la storia della lotta delle donne iraniane per l'emancipazione.

Parto dal presupposto che si sappia che da più di 45 anni in Iran esiste un "leader supremo" che detiene il potere assoluto ed è al capo una teocrazia nominata Repubblica Islamica. Un regime repressivo e liberticida che è rimasto al potere applicando leggi profondamente discriminatorie nei confronti di minoranze etniche, religiose e di genere. È un vero e proprio apartheid di genere e, dato che le donne sono circa la metà della popolazione iraniana, costituiscono la categoria più numerosa a essere colpita dalle leggi misogine della Repubblica Islamica dell'Iran già dalle prime settimane dopo la vittoria della rivoluzione islamica nel febbraio del 1979, con l'abolizione della legge della protezione della famiglia che attribuiva alcuni diritti alle donne

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Il coraggio della negoziazione. Quali sono i simboli? 

 

La dichiarazione di papa Francesco riguardante il "coraggio della bandiera bianca", in riferimento alla situazione in Ucraina, ha scatenato un'accesa polemica.

Un punto cruciale emerso dalla sua testimonianza è l'insistenza ripetuta sulla parola "negoziazione", senza mai menzionare esplicitamente il concetto di "resa".

È interessante notare come il Papa abbia evocato il simbolo della bandiera bianca in questo contesto di negoziazione. Pertanto è fondamentale esplorare in dettaglio cosa rappresenta esattamente la bandiera bianca all'interno delle Convenzioni dell'Aja.

Per questo andiamo sul prezioso sito web del Centro di Ateneo per i Diritti Umani Antonio Papisca (https://unipd-centrodirittiumani.it/) per consultare la IV Convenzione dell'Aja del 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre e regolamento annesso. All'articolo 32 si legge: "È considerato parlamentare l'individuo autorizzato da uno dei belligeranti a entrare in trattative con l'altro e che si presenti con bandiera bianca. Egli ha diritto all'inviolabilità, e così pure il trombettiere o tamburino, il portabandiera e l'interprete che l'accompagnassero".

A cura della IIA del Liceo linguistico Marcelline di Bolzano

Quanta violenza nei linguaggi, nei mezzi di comunicazione e nelle relazioni tra i più giovani? Come uscirne?

Ragazzi e ragazze raccontano il loro mondo: dalla parola ai social, dall'amore tossico ai maranza. La musica, le relazioni affettive, i linguaggi che spesso veicolano odio.

Come tirarsi fuori da questa spirale di violenza? Quale pace per i tanti adolescenti delle periferie urbane e umane delle nostre comunità?

 

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