A cura della IIA del Liceo linguistico Marcelline di Bolzano

Quanta violenza nei linguaggi, nei mezzi di comunicazione e nelle relazioni tra i più giovani? Come uscirne?

Ragazzi e ragazze raccontano il loro mondo: dalla parola ai social, dall'amore tossico ai maranza. La musica, le relazioni affettive, i linguaggi che spesso veicolano odio.

Come tirarsi fuori da questa spirale di violenza? Quale pace per i tanti adolescenti delle periferie urbane e umane delle nostre comunità?

 

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Il Malessere attrae, catalizza, fa figo. È la moda che serpeggia fra i giovani adolescenti: l'amore per il ragazzo geloso, possessivo, manipolatore. Una sorta di cultura patriarcale postmoderna.

 

"Non puoi andare in giro con le tue amiche, sono geloso! … Non hai il permesso di parlarmi in questo modo! … Dove sei, sono incazzato! …".

Per amore tossico si intende questo, un amore manipolatorio e possessivo. Le relazioni tossiche il più delle volte nascondono delle vere e proprie dipendenze affettive e si basano su rapporti squilibrati che ci tengono legati per troppo tempo a persone sbagliate. Sono legami che, anziché donare benessere, generano insoddisfazioni, ansia e prosciugano le nostre energie. A differenza dell'amore classico, che prevede fiducia e rispetto reciproco, l'amore tossico si basa soprattutto sulla gelosia e sul possesso.

Credete possibile che questo tipo di amore, al giorno d'oggi, venga volutamente ricercato dalla nostra generazione e che questa ricerca autodistruttiva sia diventata ormai una tendenza che si sta sviluppando nel vortice della nostra esistenza sempre più rapida, sempre più frenetica? Ebbene sì, è proprio così. Tra noi giovani si è diffusa questa "moda", i cui protagonisti sono il tipico ragazzo definito "Malessere" – termine diventato virale anche sui social – che sta a indicare il ragazzo manipolatore e diffidente, proiettato a una forma ossessiva di presenza quasi maniacale e dall'altra parte la ragazza, complice e vittima allo stesso tempo, che si dimostra disponibile a intraprendere questo viaggio relazionale da umiliata e oppressa.

Il nostro linguaggio violento è virale. Siamo gettati dentro questo ruvido vocabolario delle parole d'odio che fomenta aggressività e paura.

  

Il linguaggio violento pugnala le nostre vite, colpendo le debolezze. È un'improvvisa pennellata di pece su un muro candido, un urlo inquietante nel silenzio della notte. Tutto tace, tutto urla.

Le parole non nascono tossiche, ma lo diventano. Sono come un filo unitario che raccorda e unisce ogni cosa esistente, diceva Aristotele, sono dei suoni che diventano linguaggio solo quando attribuiamo loro un significato. L'aggressività verbale è il mezzo di diffusione che, negli ultimi tempi, veicola la maggior parte dei nostri discorsi, a causa delle emozioni che proviamo, come l'ansia o la paura. È fondamentale il contesto, la situazione sociale in cui si vive perché influiscono sull'interpretazione delle parole.

Il linguaggio è uno strumento di comunicazione. Esiste un linguaggio non-verbale che, per noi ragazzi, ha quasi più forza di quello verbale. È un incrocio di sguardi, di toni diversi, di voci, di postura del corpo, di smorfie. È il teatro della nostra vita quotidiana.

Cosa rappresenta la musica trap e di cosa parla?

 

La musica trap è diventata virale alla fine degli anni Novanta negli Stati Uniti. Il termine "trap" si riferisce a un certo tipo di cultura di strada che mescola il rap con forme elettroniche differenti. È caratterizzata da ritmi intensi, testi violenti e aggressivi e da narrazioni cupe e minacciose, che variano molto a seconda del trapper di turno.

I temi tipici sono la vita di strada, la povertà e la droga, ma con la sua diffusione, gli argomenti si sono estesi. Questo genere sta diventando sempre più popolare e i musicisti sperimentano nuovi stili, inserendo elementi diversi come il raggae e il rock nell'intento di creare un suono originale e innovativo. Il primo artista a portare la musica trap in Italia è stato Gue Pequeno con il brano "Il ragazzo d'oro".

L' interesse verso la trap deriva dai testi delle canzoni che trattano temi incentrati sul singolo, individualista, cinico e aggressivo. Le canzoni sono accompagnate da video trasgressivi, esibizionisti e incentrati sulla vita facile fatta di immagine e soldi.

Ama gli abiti firmati, le collane d'oro, la musica trap. È individualista ma si muove in bande, vive in un suo mondo griffato ma povero di idee. Vuole esser visto, percepito, imitato.

  

Sono chiassosi, sono aggressivi, formano delle bande – similmente ai "tamarri" – ma portano un nuovo nome: "maranza". Chi sono, dove e come nascono i "maranza" e quale ruolo svolgono nella società odierna?

Chi sono?

I maranza sono dei gruppi di ragazzi (e a volte anche ragazze) nella fascia d'età che va dai 13 ai 19 anni. Sono caratterizzati dal loro stile, linguaggio e comportamento particolari, che per una persona esterna a questo "mondo" possono sembrare bizzarri. Spesso si comportano in modo arrogante e spericolato. Sembrano voler imitare l'immagine delle "gang" americane, all'opera nelle grandi metropoli, in quelle periferie dove tutto è permesso e dove si impone la legge del più forte, del più cool.

I maranza inseguono un loro obiettivo: realizzarsi secondo l'immagine ideale che costruisce il loro stile, la loro etichetta, il loro sentimento. Quest'immagine è caratterizzata da un comportamento che accetta, o addirittura promuove, l'essere scortesi, arroganti, aggressivi, egocentrici e istiga a un approccio ostile rispetto allo Stato, alle leggi e alle istituzioni. Ma non è un'opposizione finalizzata alla costruzione di una società "altra" più giusta, più armoniosa, più garante dei diritti come avveniva in alcuni fenomeni di rottura del passato. Il loro essere contro ha una finalità pretestuosa, ossia chiusa nello spazio angusto della loro ricerca di rottura fine a se stessa.

La classe dialoga con il linguista Federico Faloppa, uno dei massimi studiosi del linguaggio d'odio.

 

Per cercare di capire la portata della "rivoluzione" di linguaggi che stiamo elaborando in classe con il nostro professore di italiano, Francesco Comina, abbiamo pensato di interloquire con Federico Faloppa, uno dei massimi studiosi di "hate speach". Faloppa è docente di lingua italiana e sociolinguistica all'Università di Raeding nel Regno Unito. Ha scritto numerosi libri per cercare di leggere e interpretare il fenomeno fra cui #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole, Sbiancare un etiope. La costruzione di un immaginario razzista, La farmacia del linguaggio. Parole che feriscono, parole che curano.

È un lunedì mattina di marzo e dalla nostra classe ci colleghiamo via zoom con la sua casa a Raeding. Faloppa è affascinato dall'idea di confrontarsi con un gruppo di studenti che cerca di leggere il tema delle nuove tendenze lessicali giovanili con i propri occhi. Ne è scaturito un dialogo che riportiamo in queste pagine.

Basta volgere lo sguardo verso i corridoi della scuola e li vedi. Osservano dai banchi, scrutano i compagni, irridono i professori. Mettono angoscia, anzi no, sono pure simpatici.

  

Il fenomeno dei maranza è al centro della vita dei giovani. Nata sui social e più nello specifico nell'app social   di TikTok, questa nuova moda di essere "un soggetto alternativo" da parte di alcuni ragazzi ha preso forma al di fuori dell'ambiente scolastico. Ben presto, però, ha iniziato a far parte non solo del tempo libero o delle abitudini quotidiane dei giovani, ma si è infiltrata all'interno delle mura scolastiche. Basta soltanto volgere lo sguardo verso i corridoi degli istituti per vedere diversi gruppi di maranza, composti da vari personaggi che ne interpretano stile ed etichette varie, per capire che una certa tendenza ha preso piede nella nostra società. Anche senza necessariamente entrare nelle scuole, si ha la possibilità di vedere questi gruppi di giovani che bloccano le porte d'ingresso o ciondolano nei cortili o si affacciano ai portoni.

Questo Dossier nasce da un confronto sui banchi di scuola, fra Dante, Petrarca e Boccaccio. I Classici illuminano il presente e consentono ai ragazzi di fare i conti con i problemi della loro storia. 

 

Forse saranno loro stessi a bucare lo schermo e a uscire dall'incubo. Nessun altro. Non sono più necessari i tromboni, che ogni giorno inondano di dissonanze distopiche l'immaginario dei nostri ragazzi. Fiumi di parole gettati addosso alla Generazione Z considerata passiva, inconcludente, apatica, nevrotica, alienata, effimera, sconclusionata, anarchica, nichilista... Talk show che ogni giorno mettono sotto accusa i Millennials, che vivono come gettati in una terra di nessuno, in uno di quei gironi del nulla che pervade il Tempo e la Storia. Perché i primi a dover fare i conti con la realtà sono proprio gli adulti, che hanno creato i presupposti perché questo mondo spento venisse realizzato e abitato da una gioventù senza scampo.

Siamo noi che abbiamo fatto il Sessantotto, noi che abbiamo urlato pace e libertà, noi che ci siamo ubriacati di liberismo e di consumismo ad aver soffiato nella bolla informatica perché facesse schizzare da ogni parte tutte queste distorsioni che gli studenti di oggi annotano nel Dossier. I profeti che urlavano lo scandalo dell'omologazione e dell'uniformismo culturale ci sono sempre stati. Ma non li abbiamo mai ascoltati.


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