La nostra città è il nostro avvenire: i giovani artefici del cambiamento. Per un'etica sociale condivisa.
Sono trascorsi sessant'anni dallo storico abbraccio tra papa Paolo VI e il patriarca Atenagora, sul Monte degli Ulivi di Gerusalemme. Una riconciliazione storica, accompagnata dalla revoca delle reciproche scomuniche, dopo ben 900 anni dal grande scisma.
Con il ricordo di questo anniversario e dei tanti protagonisti della storia dell'ecumenismo, si è aperto il 25 ottobre scorso l'evento del SAE (Segretariato attività Ecumeniche) dedicato ai giovani, dal titolo "Verso una città ecumenica. Giovani per un'etica sociale condivisa".
Nella splendida cornice dell'Istituto avventista di Villa Aurora di Firenze, giovani under 35 di diverse confessioni, provenienza geografica, studi, si sono incontrati per ragionare insieme del rapporto tra etica, religioni e diritti.
In dialogo
In un mondo segnato da conflitti religiosi, è possibile trasformare la diversità della fede in un fattore di unità? Un dialogo costruttivo tra istituzioni e cittadini può favorire un'etica civile condivisa, superando le divisioni confessionali? A tal fine è cruciale comprendere come le diverse confessioni cristiane intendano l'etica pubblica.
Il cattolicesimo evidenzia che, nonostante ci sia una differenza tra fede e impegno civico, è fondamentale che questi due aspetti lavorino insieme per raggiungere l'obiettivo del bene comune.
Per comprendere appieno questa prospettiva, occorre ritornare alle pagine della Lettera a Diogneto, in cui si invita il cristiano a vivere nel mondo, pur non essendo parte di esso.
La responsabilità di essere cristiani consiste nel condividere gli stessi spazi, praticare le stesse tradizioni e partecipare alle attività degli altri uomini e donne della comunità, senza distinzioni, né pretese di esclusione o settarismo, ma assumendo su di sé pienamente la responsabilità per la costruzione della città celeste.
Con la riforma protestante emerge, invece, l'idea della giustificazione per sola grazia, per cui l'essere umano non può nulla senza la grazia divina. Se le buone azioni non avvicinano al Regno dei Cieli, possiamo chiederci quale sia allora il ruolo dell'etica: offrire, attraverso la nostra vita, una testimonianza della salvezza di cui ci viene fatto dono. Questa prospettiva cambia il modo in cui l'individuo si accosta alle scritture, favorendo un'interpretazione responsabile dei problemi contemporanei, senza normative fisse ma con un'interpretazione basata sui principi biblici. Non si parla più dunque di un'etica cristiana, ma di un modo cristiano di vivere l'etica.
Dalla prospettiva ortodossa, invece, emerge che il tema dell'etica non è un aspetto individuale, ma investe la dimensione comunitaria della nostra fede cristiana. La responsabilità individuale si esprime sempre attraverso la comunione con Cristo e, di conseguenza, con gli altri credenti. In questo modo, il credente non può unirsi a Cristo senza unirsi anche agli altri, poiché tutti condividono la comunione con Lui. Mentre l'etica, pur necessaria, non richiede una comunità per esistere, l'ontologia, cioè il senso profondo della nostra esistenza, sì, poiché dipende dalla comunione con Dio e gli altri. Trasformare la dimensione etica in una comunità di amore e libertà, che promuova l'amore disinteressato come fondamento dell'unione, è dunque la vera salvezza dell'essere umano.
La ricchezza e la molteplicità del valore dell'etica civile nelle diverse confessioni religiose non bastano a descrivere concretamente il problema e a suggerire, a noi cittadini, buone azioni da mettere in pratica. Il compito di noi giovani, invece, è quello di interrogarci sulla reale possibilità di attuare un dialogo interreligioso nella comunità che abitiamo.
A questo proposito, la sindaca di Firenze, Sara Funaro, durante la seconda tavola rotonda con padre Bernardo Gianni, ha sottolineato la presenza di 120 nazionalità diverse nella città che amministra, che conta meno di 370.000 abitanti. L'interculturalità e l'interreligiosità sono, quindi, realtà sempre più significative nelle nostre città, in cui è fondamentale sviluppare nuove forme di inclusione e ampliare gli spazi di democrazia partecipativa.
Ricchezze
Come possiamo far emergere le varie realtà culturali e religiose, rendendole protagoniste sul palcoscenico pubblico, se non coinvolgendole attivamente alla pianificazione civica e permettendo loro di assumere una responsabilità condivisa?
Dare pieno riconoscimento e statuto alla ricchezza culturale delle nostre città risponde, da un lato, a un bisogno sociale sempre più impellente e, dall'altro, a un imperativo antropologico, per superare quella condizione umana che padre Gianni ha definito come "la tragedia della nostra solitudine".
Cercare le radici di una comune appartenenza alla famiglia umana e di un legame di fraternità dei popoli passa dalla cultura del dialogo, dalla conoscenza reciproca, dal desiderio di valorizzare e non assimilare le differenze.
Se queste ultime non sono viste come un ostacolo, la divisione tra minoranza e maggioranza svanisce facilmente. Essa è semplicemente un'illusione. Per questo motivo, non possiamo orientare il nostro modo di confrontarci con il prossimo, con cui quotidianamente ci rapportiamo, esclusivamente per macro-categorie. Dobbiamo, invece, andare al di là di una classificazione per etnia, religione, confessione e mettere al centro l'uomo, con i suoi bagagli culturali, religiosi e con il suo mistero.
Ed è proprio la ricchezza culturale che anima le nostre comunità che ci è stata testimoniata dalla presenza di diverse associazioni giovanili che hanno contribuito alla vivacità del dibattito: la FUCI, Federazione degli universitari cattolici, i Giovani di Azione Cattolica di Firenze, l'Opera per la Gioventù La Pira, impegnata nella promozione del dialogo e dell'azione sociale nel territorio, l'Amicizia Ebraico-Cristiana Giovani, istituitasi a partire dall'esperienza dei colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli, la Federazione Giovanile Evangelica in Italia e l'Istituto Avventista di Villa Aurora, che da anni è impegnato nella formazione dei giovani e che ha ospitato l'evento.
Nuove sfide
In conclusione, la sfida che si pone innanzi a noi giovani, è quella di fare rete tra noi, collaborando con istituzioni virtuose, con lo scopo di costruire spazi autentici di partecipazione condivisa in cui l'etica pubblica possa fiorire. Noi giovani intendiamo così rispondere a questa chiamata con le nostre idee, azioni e competenze.
L'esperienza di questo evento si inserisce in un più ampio percorso giovanile, pensato e lanciato l'anno scorso dal Segretariato Attività Ecumeniche, a cui intendiamo continuare a dare il nostro attivo contributo per promuovere il rispetto per la diversità culturale e religiosa, quale risorsa preziosa e irrinunciabile per la nostra comunità.
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