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Il pacifismo invisibile nell'era digitale di Instagram e dei recinti social.

  

Il 26 ottobre migliaia di pacifisti hanno marciato in sette città italiane: Roma, Milano, Torino, Firenze, Bari, Palermo e Cagliari. In mano avevano i loro cellulari. Hanno scattato foto, girato video, condiviso immagini nei loro gruppi WhatsApp e mostrato sui social gli striscioni colorati e le scritte dei loro manifesti.

Il giorno dopo ci saremmo aspettati di vedere traboccare Internet di immagini per la pace. E invece? Niente. Cercando con i motori di ricerca non si trovava praticamente nulla.

I pacifisti che hanno diffuso le loro foto su Instagram le hanno condivise – tecnicamente parlando – solo con i loro amici. Nulla è arrivato ai giornalisti. E questo dimostra il fallimento di Instagram, social network basato sulle immagini ma che fa vivere gli utenti in bolle comunicative chiuse. In monadi, direbbe Leibniz. Le monadi sono mondi chiusi.

Per Leibniz le monadi comunicavano solo grazie a un'armonia creata da Dio, il grande orologiaio che sincronizza il mondo. Il problema è che su Instagram non c'è un orologiaio che provvidenzialmente fa arrivare al giornalista la nostra bellissima foto condivisa su Instagram.

E non la fa arrivare a nessuno di quelli che non stanno su Instagram. Se cerchiamo con Google le foto, ad esempio, della manifestazione di Firenze del 26 ottobre 2024… non si trovano! E perché? Perché Instagram è un recinto sigillato anche quando lo si imposta in forma pubblica: non è efficace nel documentare la vita sociale e raccontare una manifestazione pacifista.

Sento già grida di ribellione dagli utenti di Instagram.

Le cose non vanno meglio su Facebook o Twitter (ora X). Perché? Perché i social network sono diventati un "immondezzaio" in cui ci va di tutto e di più. In questo spazio Google e gli altri motori di ricerca non vogliono entrare. E non vogliono catalogare le montagne di assurdità che ogni giorno vengono accumulate. Così i post sono destinati a finire nell'oblio.

Stiamo assistendo tristemente all'esatto contrario di ciò che doveva e voleva essere Internet: ossia una grande agorà della comunicazione democratica. Immaginavamo che Internet sarebbe diventata una grande memoria democratica della società. E invece è accaduto qualcosa che non avevamo previsto. La massa si è riversata sulla rete tramite i social e la rete si è difesa facendo piombare nell'oblio la massa che scrive sui social e che non è neppure consapevole della triste sorte che le viene riservata dagli algoritmi di catalogazione a lungo termine.

Va comunque detto che la stragrande maggioranza delle pagine web generate vengono indicizzate, ossia memorizzate dai motori di ricerca come Google. Ma per i social network accade l'esatto contrario: la stragrande maggioranza dei post viene ignorata e cade nell'oblio. Nulla rimarrà, se non un indirizzo che tuttavia deve conservare l'utente perché il motore di ricerca non conserva e non vuole conservare anche per evitare problemi di querele. Non ne parliamo poi dei commenti ai post: quelli si perdono completamente, non si riesce a risalire al commento se non con enorme difficoltà.

I social network usati dai pacifisti sono pertanto destinati all'oblio digitale. Che tristezza!

E chi ha condiviso immagini e commenti solo sui gruppi WhatsApp? Il problema non si pone neppure, tutto affogherà nell'oblio digitale se non si corre ai ripari con qualche salvataggio.

Tutto questo è sconfortante, perché oggi assistiamo al tradimento della rivoluzione di Internet, quella per cui ognuno, dal suo paesino o città, poteva comunicare con il mondo la propria storia, facendola memorizzare "per sempre" sui motori di ricerca.

Eppure, un sistema per uscire da questo disastro c'è.

Lo vedremo la prossima volta.

 

 

 


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