Oltre la retorica dell'invasione. I dati e le analisi del Dossier Statistico Immigrazione 2024.
Il rilancio dell'immigrazione al centro dell'arena politica è uno dei tratti distintivi del dibattito pubblico italiano dell'ultimo biennio. Dopo tre anni in cui prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina avevano ridimensionato l'attenzione e l'allarme verso i flussi di migranti e richiedenti asilo, dalla fine del 2022 la questione migratoria è tornata a catalizzare l'interesse collettivo. E, ancora una volta, l'ha fatto nel segno dell'allarme e dell'emergenza, sulla scia di un discorso politico saldamente impostato in termini securitari e difensivi, in cui, come in un eterno deja vu, i mari e le frontiere sono presidi da proteggere e le persone migranti simboli di pericolo e di estraneità.
Le cause
Sullo sfondo della ostinata persistenza di visioni e approcci di governo sempre uguali a se stessi, tarati su toni allarmistici e su un immaginario escludente, il Dossier Statistico Immigrazione 2024, torna a proporre una visione più ampia e complessa, che parte dallo scenario internazionale e inquadra, sotto una luce diversa, le letture emergenziali che dominano l'attualità italiana ed europea.
Da questa prospettiva, il primo elemento che cattura l'attenzione è l'aggravamento dei cosiddetti fattori di spinta: le cause strutturali della povertà e della violazione dei diritti e della dignità, che inaspriscono le disuguaglianze e spingono un numero crescente di persone a lasciare i propri territori di origine in cerca di sicurezza, protezione e condizioni di vita adeguate.
I conflitti, innanzitutto: quelli armati nel 2023 hanno raggiunto il numero più alto dalla fine della Seconda guerra mondiale. La fame, spesso usata come arma di guerra, aggravata dalla crisi russo-ucraina e dalla crescente siccità, nel 2023 ha colpito 733 milioni di persone (1 abitante della Terra ogni 11 e 1 ogni 5 in Africa). La persistente sperequazione nella distribuzione della ricchezza: gli abitanti del cosiddetto Sud del mondo, pari all'82,8% della popolazione globale, hanno avuto a disposizione poco più della metà del PIL prodotto nell'anno (53,4%), godendo di un reddito pro capite, a parità di potere di acquisto, più basso di oltre 4 volte rispetto ai Paesi più ricchi. Le crisi ambientali legate al cambiamento climatico, che colpiscono innanzitutto gli Stati a basso reddito, responsabili in minima parte delle emissioni globali di CO2, ma chiamati a pagare il prezzo più alto in termini di vite umane e territori resi inabitabili.
In un contesto mondiale così definito, sempre più diseguale, instabile e violento, la generalizzata ripresa della mobilità internazionale è un fatto pressoché scontato. E davanti alla persistente ristrettezza di canali di migrazione (e di fuga) regolamentati e sicuri, non stupisce che cresca la pressione dei flussi non programmati e, al loro interno, soprattutto delle migrazioni forzate, a loro volta costrette a muoversi lungo le rotte irregolari, spietatamente gestite dai trafficanti.
Il numero delle persone obbligate a lasciare i propri luoghi di origine continua a crescere a ritmi accelerati, raggiungendo anno dopo anno nuovi livelli record: sono 120 milioni a maggio 2024, quasi 12 milioni in più rispetto al 2022 e 100 milioni in più rispetto al 2000.
I numeri
Un flusso allarmante, se si guarda alle drammatiche condizioni delle persone coinvolte, ma che – al di là della dilagante "sindrome dell'invasione" – si riversa in misura marginale sull'Italia e sull'Unione europea. Circa i tre quarti di tutti i migranti forzati del mondo sono accolti in Paesi a basso e medio reddito e solo il 7,2% vive nell'UE. Si tratta, nell'insieme, di 8,4 milioni di persone (l'1,9% dell'intera popolazione comunitaria), in più della metà dei profughi in fuga dal conflitto in Ucraina. Stringendo l'attenzione sull'Italia, lo stesso numero è pari a 445mila (lo 0,8% della popolazione del Paese: meno della metà della media europea).
Al netto del caso ucraino, principale protagonista del panorama delle migrazioni forzate in Italia e nell'intero territorio comunitario, i numeri tolgono alimento a narrazioni fondate sulla retorica del "vengono tutti da noi", come pure all'immagine dell'Italia come "campo profughi dell'UE". E anzi, proprio l'apertura sperimentata nei confronti delle persone in fuga dall'Ucraina – mai presentate in termini di invasione o minaccia, ma accolte superando le sempre più spregiudicate chiusure riservate ai flussi di profughi dal resto del mondo –, attesta la percorribilità (e la sostenibilità) di strategie più aperte e rispettose della vita, la dignità e i diritti di tutti, evidenziando di riflesso l'esagerazione della risposta securitaria e l'inconsistenza dell'alibi della mancanza di alternative.
Un approccio, questo, ulteriormente svilito dalla constatazione che, nonostante la persistente sovraesposizione allarmistica che li caratterizza, i flussi non programmati rappresentano solo un tassello minoritario dello scenario immigratorio complessivo. Nell'intera UE a fronte di 385mila ingressi non autorizzati, sono 3,5 milioni i nuovi permessi di soggiorno emessi (331mila in Italia), in massima parte legati ai bisogni strutturali dei contesti di insediamento, a partire dalla carenza di manodopera in settori essenziali e, ancor prima, dal declino demografico, quantomai preoccupante nel caso italiano.
Nei lager
E siamo, quindi, a un'altra delle principali evidenze che emergono dall'ultimo Dossier. Nel quadro di una popolazione in costante invecchiamento e di un sistema socioeconomico in evidente difficoltà, i dati richiamano l'attenzione sul valore strutturale dell'immigrazione nel Paese. Nell'ultimo biennio, la popolazione straniera è tornata a crescere, dopo lo stop imposto dalla pandemia, innanzitutto per ragioni che attestano i livelli fisiologici del fenomeno, il suo intrinseco legame con la società italiana e i fabbisogni, tutti interni, cui continua a dare una risposta.
I dati, in altri termini, restituiscono il pieno protagonismo di quei 5,3 milioni di residenti stranieri (tra cui quasi 1 milione di nati direttamente nel Paese, 1 milione di minorenni e 2,4 milioni di regolarmente occupati), per i quali l'Italia rappresenta il primo e principale orizzonte di vita. Una componente organica, interna alla comunità nazionale, determinante per la tenuta socioeconomica complessiva, ma continuamente ricondotta all'immagine di un corpo estraneo, e potenzialmente destabilizzante, cui resta precluso l'accesso paritario a diritti, servizi e beni di welfare, come pure a posizioni occupazionali analoghe a quelle del resto della popolazione (e più allineate alle relative competenze formative e professionali).
Una logica difensiva e marginalizzante, che continua a trarre alimento dall'anacronistica retorica del "noi" e del "loro", finendo col confliggere con gli assetti, gli equilibri e gli stessi bisogni socioeconomici del Paese. E che, proiettata sul più ampio orizzonte dei flussi non programmati, si traspone – amplificandosi – in un approccio di governance che, fornendo fondi e mezzi a governi autoritari, impedendo i salvataggi delle navi umanitarie, restringendo i canali di accesso alla protezione e all'accoglienza, pare normalizzare il ricorso all'erosione delle tutele, alla violazione dei diritti, alle violenze, alle omissioni di soccorso. Un quadro drammatico e allarmante, che passa dai lager libici, dalle deportazioni di massa nel deserto tunisino, dalle violenze sistematiche dei Balcani occidentali, dalla crescente sordità alle richieste di soccorso in mare, e che solo nel Mediterraneo centrale conta migliaia e migliaia di vittime accertate.
Un'emergenza, questa, ampiamente documentata, che però, nonostante gli appelli e le denunce, si fa fatica a portare al centro dell'attenzione e della riflessione collettiva.
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Per approfondire
www.dossierimmigrazione.it/prodotto/dossier-statistico-immigrazione-2024