Qualifica Autore: presidente Comunità ebraica progressiva Beth Hillel 

La pace non è un'utopia ma una necessità morale. 

 

L'immagine che più di ogni altra trovo efficace per parlare del 7 ottobre è quella che ci riporta a un'altra strage, avvenuta anni fa e in circostanze molto diverse: l'orologio rotto alla stazione di Bologna. Quell'orologio mai riparato è rimasto come monito per tutti noi per ricordare la strage e come impegno morale a trovare e punire i mandanti ovunque questi si trovino. In Israele è come se ogni cittadino ebreo, arabo, cristiano o druso che sia, abbia quell'orologio in casa, in ufficio, in testa e nel cuore, segna le 6.30 del 7 ottobre 2023.

Il brutale pogrom di quel giorno con tutta la sua scia di morti e feriti non è mai in realtà finito, il suo prolungamento non è solo nella lunga e sanguinosissima guerra che ne è derivata, ma in tutte le notizie dei feriti che diventano morti e dei ragazzi che da sopravvissuti diventano suicidi, sono più di 50 i giovanissimi che, scampati alla mattanza del 7 ottobre, non hanno retto al ricordo dell'orrore e ai sensi di colpa d'essere sopravvissuti e si sono tolti la vita.

Parecchi di noi, dopo quella fatidica data, hanno vissuto un prolungato stato di malessere, non riuscivamo a tornare alle nostre solite attività, ci sembrava sacrilego tornare alla routine quando tante vite erano state bruciate nei modi più brutali e cruenti che si possa fare.

Com'era possibile pensare di lavarsi, lavorare, leggere, mangiare e dormire quando ancora bambini piccoli, donne e anziani stavano (stanno) in mano a sanguinari terroristi senza scrupoli?

Continuare a vivere una vita normale era impossibile e blasfemo nello stesso tempo, ma anche vedersi tra amici, farsi sempre le stesse domande (Come è potuto succedere tutto ciò? Possibile generare tanto odio e perché? Sarà mai possibile una pace con chi ha commesso questi crimini? I movimenti pacifisti israeliani potranno sopravvivere a tutto ciò?) era inutile e deprimente.

La guerra, in un primo momento, sembrava necessaria per disarmare i terroristi e sperare di liberare i palestinesi dal giogo crudele di Hamas, il mantra era: dobbiamo disarmarli affinché non succeda un'altra strage; ma a più di un anno dall'inizio della guerra e con tantissime vittime non sembra davvero che gli obiettivi siano stati raggiunti: parecchi leaders di Hamas morti hanno lasciato il posto a nuovi capi e dal numero di missili che Israele riceve ogni giorno da Gaza e dal sud del Libano non sembra proprio che siano stati disarmati completamente.

Sono assolutamente incapace di prevedere a cosa porterà tutta questa morte e distruzione dal punto di vista politico, ma so per certo che non ha guarito quel senso di smarrimento e di angoscia che ha investito noi ebrei, in Israele e fuori.

Sicuramente anche la maggioranza dei palestinesi, che giustamente anela ad avere un proprio Stato, si starà domandando se la strage perpetrata il 7 ottobre dai miliziani di Hamas e la conseguente sanguinosa e distruttiva guerra porteranno alla pace e a una serena convivenza.

Quando tutto questo finirà (spero il prima possibile) ci accorgeremo che la guerra è la reazione più semplice, più stupida e inutile possibile e l'unico bombardamento che subiremo sarà quello delle parole del rabbino Beerman: "La pace non è un'utopia, ma una necessità morale.

Il nostro compito come ebrei è non solo pregare per la pace, ma lavorare attivamente per realizzarla".

 

 

 


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