Come può Dio parlare nella Storia e nelle nostre esistenze attraverso la contraddizione?
"Dare un posto al disordine": una formula paradossale. Che cosa significa dare un posto al disordine? Non è già ben installato nel presente? Non lo è in tanti modi? Ciascuno/a può ricordare i propri. C'è poi il disordine del mondo: la pandemia e la guerra in Ucraina hanno risvegliato gli europei a un disordine endemico della Storia che sinora aveva toccato i popoli lontani e rispetto al quale non solo erano indifferenti, ma volevano scientemente non vedere. C'è anche un caos controllato che permette di sfruttare le ricchezze di un Paese (Congo) o di fare delle guerre infinite una fonte di guadagno (Siria, Libia, Afghanistan, Israele-Palestina). C'è chi parla di anarchia capitalistica.
Perché partire da qui? Non va ritrovato piuttosto un ordine? Non c'è bisogno di sicurezza oggi?
Eppure, questo è il primo atto per vivere l'assurdo di oggi. Non è solo una forma di resistenza ma si entra così già in un atteggiamento proattivo.
C'è un pensiero che risolve tutto secondo lo schema binario, violenta semplificazione della realtà, e chiede di schierarsi senza tentennamenti e senza esercizio di un pensiero critico. Dare un posto al disordine da questo punto di vista è un atto profondamente spirituale e politico insieme. È ritrovare la complessità della vita a partire dal nostro microcosmo.
"Nel disorientamento crescente, il primo passo necessario per tentare di trovare un sentiero percorribile è riconoscere che siamo nel mezzo di una nuova grande crisi: siamo nel caos. Ricominciare da noi stessi, questo dobbiamo e possiamo, se vogliamo essere seri con il mondo e con noi stessi. Ricominciare da noi stessi come punto di partenza di un metodo, di una strada che conduce oltre, che va verso gli altri e il mondo: non certo per finire con se stessi" (Romano Màdera).
Si comincia dal disordine che è in noi: diamo un posto alle contraddizioni che ci abitano, all'essere tante persone nello stesso tempo. Il combattuto, l'anarchico, il contestatore, il conformista, l'arrabbiato, l'indifferente, quello che cerca la nonviolenza e quello che desidera la distruzione degli altri, quello che vuol condividere i beni e quello che ha paura della povertà, quello che ripudia ogni forma di abuso e quello che prova in sé desideri inconfessabili, quello che si pensa impegnato e quello che vorrebbe essere una cicala… La coscienza di essere in noi molti e diversi mondi può dare il capogiro e incrinare le nostre presunte certezze. Forse può accadere che frangiamo il recinto dei nostri concetti, che ogni delimitazione sono sempre un impoverimento e un restringimento della realtà. Dare un posto al disordine fa uscire dai propri recinti.
È quello che accade a Gesù più volte. Sarebbe interessante rileggere i Vangeli e osservare tutte le volte che Gesù dà un posto al disordine in sé. Il racconto delle tentazioni – per esempio – (Mt 4,1-11 par.).
Nella crisi
Gesù nel deserto vive un tempo prolungato di preghiera e di digiuno. Entra nel segreto della propria persona e ascolta quel che il corpo gli dice. Che cosa scopre? Le contraddizioni in lui: ascolta dentro di sé una voce che lo tenta in tre dimensioni profonde che riguardano il potere e la libertà, il bisogno e i beni, la vita e la morte. Gesù non si ritrae; dà un posto al suo disordine interiore, ai molteplici mondi che sono in lui. Sfugge a una lettura rassicurante di quel che ha ascoltato su di sé al battesimo: "Questi è il Figlio mio l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento" (Mt 3,17).
Essere il figlio amato del Padre non lo preserva dall'incontro con i limiti della condizione umana. Eppure lì Gesù trova il Padre. Gesù, stando nella crisi e non cedendo a soluzioni immediate, incontra Dio nel disordine, nelle contraddizioni. Gesù impara a vivere con le contraddizioni senza essere sovrastato da esse. Scrive Franco Cassano: "Ogni tentativo di capire non può vivere senza una costante esperienza della contraddizione. La contraddizione è forse la forma di esperienza più acuta della propria insufficienza e precarietà, anche se l'esperienza di tale insufficienza e precarietà significa che si sta nel mondo e, vorremmo dire, nel cuore del mondo".
Dare un posto alle contraddizioni, non rimuoverle, ci permette di divenire consapevoli di essere insufficienti, non bastanti a noi stessi, precari, quindi instabili ed effimeri. Verrebbe da aggiungere che le contraddizioni che ricordano la nostra limitatezza e precarietà, rimandano all'essere mortale. Dare un luogo al disordine significa fare i conti con il morire e la morte.
Il disordine
Gesù si confronta con il disordine. Ne esce con lo sguardo ampliato e con la prospettiva di vita mutata. Rivede le sue convinzioni. Nel disordine, nel caos, nello smarrimento, Dio è presente e parla. Nei Vangeli il racconto delle tentazioni precede il ministero pubblico. Il Gesù che annuncia il Vangelo compie terapie ed esorcismi, racconta parabole, frequenta pubblicani e peccatori, è il Gesù che innanzitutto ha dato un luogo al disordine in sé in obbedienza allo Spirito che lo ha condotto nel deserto. Per le discepole e i discepoli di Gesù dare un posto al disordine è un atto "spirituale", cioè mosso dallo Spirito e da vivere in esso.
Spesso, abbagliati da una spiritualità della perfezione (a cui come contenuto diamo "qualcosa che non sono i nostri errori") per niente cristiana che attraversa mondi spirituali diversi, da quelli più intimistici a quelli socialmente più impegnati, pensiamo che le contraddizioni in noi siano un ostacolo, un impedimento oppure qualcosa di cui vergognarsi e sentirsi in colpa. Per il Vangelo è esattamente il contrario. Gesù non dice parole consolatorie al fariseo Simone, il cui mondo è perfettamente ordinato e incasellato, in cui buoni e cattivi, giusti e ingiusti sono chiaramente posizionati, ma a un'anonima donna che, rotti i confini emotivi, irrora i suoi piedi di lacrime e li asciuga con i capelli: "La tua fede ti ha salvata; va' in pace" (Lc 7,50).
Dare un luogo al disordine significa ospitare le contraddizioni, le polarità, le confusioni presenti in noi. Così possiamo ospitare le questioni del nostro tempo nella nostra interiorità, cogliendole in tutte le loro contraddizioni e sfuggendo al meccanismo del sistema binario. Per il Vangelo la sequela può rinnovarsi attraverso la crisi del mondo che siamo abituati ad abitare, delle coordinate entro cui ci sentiamo sicuri. Questo disordine segnala la possibilità del cambio di strada. Quando si parla di conversione la si pensa come sforzo morale, come un progetto con obiettivi, scansioni temporali, azioni in successione. Per il Vangelo invece si tratta di accogliere la vita e quello che in essa riceviamo, disponibili a mettere in crisi il nostro orizzonte mentale. Una chiesa che sa dare un luogo al disordine è una Chiesa a cui può accadere il dono della conversione.