"Spes non confundit": dal Giubileo ai giorni nostri

A cura della Redazione

Nella bolla di indizione del Giubileo 2025 è indicata la strada per superare il clima di rassegnazione del mondo contemporaneo. È un invito a riacquistare fiducia nell'amore di Dio e a scorgere i nuovi cammini che si dischiudono dinanzi a noi. Nelle pagine che seguono offriamo spunti di riflessioni sul dialogo, sul perdono, sulla pace e sulla diplomazia come risoluzione dei conflitti, sul pellegrinaggio come necessità e sull'accoglienza come stile di vita.

 

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Qualifica Autore: già docente universitario di geopolitica ed economia

Il giubileo della speranza di una globalizzazione della felicità.

 

Don Tonino Bello, come presidente di Pax Christi Italia, e io del MIR (Movimento Italiano per la Riconciliazione), fummo invitati come relatori a una conferenza sulla pace. Durante il dibattito si alzò incollerita una persona dicendo: "Io non so dove la prendete, voi due, questa Speranza!".

Don Tonino mi guardò sottecchi come per dirmi: "Rispondi tu". Io guardai il signore incollerito e gli dissi semplicemente che, a causa del nostro impegno pacifista, che per noi era Annuncio cristiano (Lc 10,1-12), incontravamo tante persone singole e tanti gruppi che reggevano il mondo con bellissimi progetti di educazione alla pace, nonviolenza, ambiente, mondialità, sviluppo, intercultura, o che facevano cooperazione col Sud del mondo o che costruivano cooperative no profit... E che ci mostravano una Speranza in atto, stavano cioè non solo pensandola e dicendola, la Speranza, ma soprattutto realizzandola.

Se annunciamo la pace abbiamo fiducia nell'umanità, se abbiamo fiducia nell'umanità le vogliamo bene, e se vogliamo bene agli umani e alla Terra allora sì che speriamo (virtù teologali): e insieme costruiamo il futuro, sia a livello familiare, sociale e nazionale sia internazionale.

Con questo Giubileo veniamo richiamati all'urgenza della speranza (Spes non Confundit) come molla propulsiva spirituale e organizzativa per un Nuovo Inizio che rimetta a posto le cose del Pianeta Terra disorientato e confuso. Questa molla propulsiva, nel momento eccezionale del Giubileo, è ottimizzata dai Sette doni dello Spirito Santo che accompagnano il Giubileo e cioè "Essere saggi e saper discernere, usare la testa, saper dare consigli, sapere quello che si dice, saper voler bene, avere forza d'animo, coraggio e solidità, essere attenti a ogni forma di vita.

Con questo Giubileo siamo chiamati ad annunciare una speranza che non delude (Spes non Confundit) e che viene rafforzata dalla certezza che il Dna dell'amore divino è nei cuori di tutti gli esseri umani (Dilexit nos) e ci ispira per trasformare l'economia che uccide (E.G, 53) e la politica corrotta degli umani, rendendoci Fratelli Tutti. Purché noi, maldestri allievi di un grande Maestro, sappiamo farci ispirare dalle Beatitudini che sono il metodo per giungere a quegli obiettivi di fraternità tra gli umani e di figliolanza con la Madre Terra, non più suoi odiatori (ecohaters) ma figli e fratelli suoi (Ecolover). Ma affinchè i poveri e gli afflitti dell'umanità trovino la magnificenza della vita, la gioia di vivere e la felicità nel nostro giardino di Eden, è urgente che noi siamo giusti, puri, nonviolenti, misericordiosi, costruttori di pace, ripartendo dalle Beatitudini e realizzando la speranza non solo dicendola perché: "L'esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti" (Snc 8) facendo evolvere l'ancora primordiale homo sapiens nel nuovo homo amans.

Qualifica Autore: già docente di Teologia fondamentale, Ecclesiologia e Scienza delle religioni all'Istituto Teologico Calabro di Catanzaro

Come superare il clima di rassegnazione in cui vive l'uomo contemporaneo? Verso dove tende la nostra speranza?

  

L'avvio di questa riflessione ci viene dall'incipit di testi di due Papi che ne hanno parlato esplicitamente: la lettera enciclica Spe salvi di Benedetto XVI (2007) e la bolla di indizione del Giubileo dell'Anno 2025 di papa Francesco Spes non confundit, «La speranza non delude», del 4/05/2024. La speranza, attualizzata a partire dalla Lettera di Paolo ai Romani, muove da una visione del mondo e delle cose che è componente essenziale del credo cristiano: confessione di fede che è anche constatazione storica. Riconosce l'azione di Dio in essa, fino a confessare: «Tu ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure formata […] Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11,24-26).

Su questa base è l'invito a riacquistare fiducia nell'amore di Dio, che è anche fondamento dell'indulgenza giubilare. Destinata ai defunti, ma anche e soprattutto a noi, è la speranza. È più che mai urgente riscoprirla sia per noi stessi sia per la collettività. Per noi, in un cammino che dischiude nuovi e inediti orizzonti che richiedono un contributo più che attivo. Dobbiamo infatti essere capaci di scorgerli e dirigere le nostre forze nella direzione da essi indicata. Sostituire allo sconforto, con i dubbi che lo alimentano e nonostante le delusioni storiche e politiche (eclissi degli ideali sociali e guerre in atto), la speranza significa ricevere e trasmettere un'energia propulsiva che ci fa guardare e amare il futuro.

Essa agisce tanto più in noi quanto più diventa una molla che spinge la Storia non solo in avanti, cronologicamente, ma in meglio "cairoticamente", da chairòs, tempo di Grazia e pertanto tempo creativo e rigenerativo della propria vita e della vita altrui. È vero, non solo «nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene», ma anche nelle pieghe più recondite della Storia. È sempre presente, anche se talvolta, ferita, irrisa e comunque ignorata da coloro ai quali conviene far credere che l'uomo non può essere migliore di quello che appare: compratore e fruitore per vivere in solitudine la sua marginalità sulla Terra.

Qualifica Autore: giornalista, a lungo corrispondente ANSA a Mosca e a Tel Aviv; membro del comitato di redazione di Confronti

Il Giubileo può essere occasione per ricucire lo strappo che la guerra in Ucraina ha provocato tra cattolici e ortodossi?

 

La speranza che il Giubileo 2025 porti pace anche alle Chiese, oltre che al mondo dilaniato da guerre, percorre Spes non confundit. Ma l'auspicio deve confrontarsi con una realtà ecclesiale tremendamente complicata, almeno per quanto riguarda la situazione interna all'Ortodossia, e gli ardui rapporti fra le tre Rome.

Il Concilio panortodosso di Creta

Dopo studi e tentativi durati ben cinquant'anni, all'inizio del 2016 i patriarchi e primati delle quattordici Chiese ortodosse autocefale – tra i quali il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, è il primus inter pares – decisero finalmente di celebrare un Concilio pan-ortodosso. Esso era previsto a Istanbul ma, poi, si preferì Creta, isola greca che, ecclesiasticamente, dipende però da Costantinopoli.

Tutto era pronto per il "Santo e grande Sinodo della Chiesa ortodossa", che si sarebbe celebrato dal 18 al 27 giugno del 1916, quando, praticamente alla vigilia del suo avvio, una notizia paralizzò il Fanar (quartiere di Istanbul dove da secoli è la residenza del patriarcato ecumenico): la delegazione della Chiesa russa, guidata dal patriarca Kirill, non avrebbe partecipato. Per capire lo sbigottimento per l'annunciata assenza occorre ricordare che, su circa 250 milioni di ortodossi sparsi nel mondo, la metà appartengono a quella Chiesa.

Subito dopo, anche altre tre Chiese autocefale disdissero la loro presenza: il patriarcato di Antiochia (in Siria), quello bulgaro e quello georgiano. Non si andava molto lontani dal vero se si ipotizzava – come fecero i greci – che queste assenze erano state "suggerite" da Mosca. Perché? Era in atto da tempo un contenzioso intra-ortodosso che, ogni tanto, emergeva: il patriarcato russo accusava quello di Costantinopoli di interferire nei suoi affari interni e, perciò, non andava a Creta, dove si sarebbe svolta un'Assemblea di fatto, secondo i russi, manovrata dal Fanar. Inoltre, fra le due Parti cresceva un dissidio sul modo legittimo per concedere l'autocefalia a una Chiesa: spettava al Fanar (tesi di Bartolomeo) o all'unanimità dei primati delle Chiese ortodosse (tesi di Kirill)?

L'assenza del patriarcato russo, più gli altri tre, azzoppava il Concilio; esso, da "pan" ortodosso, diventava semplicemente "ortodosso": una ferita per Bartolomeo. 

Qualifica Autore: già vicepresidente di Pax Christi Italia

La pace passa per la politica. Per la via della diplomazia, per il primato del diritto.

 

La ricerca del volto

Quando Tonino Bello, nel suo Alla finestra la speranza, ci parla della pace anche come "ricerca del volto", propone la sostanza della diplomazia: il superamento della logica del nemico, la "ricomposizione dei rapporti umani nella verità, nella giustizia, nella libertà e nell'amore" (Pacem in terris), "il primato del diritto" (Fratelli tutti). Per don Tonino e papa Francesco (suo discepolo ed erede), si tratta di "organizzare la speranza" per costruire la "convivialità delle differenze". In tale contesto si colloca il nostro Luigi Bettazzi che, proprio un mese prima di lasciarci, ci offre tre indicazioni: acquisizione di una cultura nonviolenta, interposizione dinamica e diplomazia, argomentate anche nell'ultimo scritto A tu per tu con Dio (Edb, 34).

Poliedrica e multilaterale

Il Papa lo ripete spesso. La pace va preparata, organizzata, promossa, curata e sperimentata: cinque aspetti che Francesco a Verona, il 18 maggio 2024, evidenzia con decisione rispondendo alle domande dei tavoli preparatori. È il suo modo di proporre la diplomazia come "artigianato" e "architettura". Lo scrive in Fratelli tutti (217 e 231) in rapporto con temi come il primato del diritto (173, 257), la migliore politica (cap. 5), la vita come "arte dell'incontro" (215, 228-232), il perdono (236-245, 250-254), il disarmo (256-262). Sono riflessioni sconosciute ai più, anche ai "pacifisti", volutamente ignorate da tanti esponenti della cultura e della politica. A Verona il Papa si sofferma sulla necessità di riconoscere e gestire i conflitti alla luce dell'abbraccio tra un palestinese e un israeliano, da lui considerato come "un progetto di futuro". Tra la guerra e la pace ci sono vari passaggi da compiere: cessate il fuoco, tregua, diritto umanitario, negoziato, arbitrato, mediazione, riparazione, riconciliazione, cooperazione. Per Francesco si tratta di esercitare "la virtù dei forti" contro "la vera resa" incarnata nella guerra, attivando una "diplomazia multilaterale" (ne ha parlato il 24 agosto 2024 a una rete di legislatori cattolici).

Qualifica Autore: già delegata per l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR)

Pianeta migranti: quando il pellegrinaggio diventa una necessità.

 

Le migrazioni umane sono un fenomeno antico, tanto che possiamo affermare che la mobilità è parte dell'umano stesso.  Anche la Bibbia racchiude in sé storie di migrazioni. Libri come la Genesi o l'Esodo raccontano movimenti di gruppi e di popolazioni. Abramo verso la terra di Canaan, Giacobbe e i suoi figli verso l'Egitto, Mosè verso la terra promessa. "Amerai lo straniero come te stesso […]. Io sono il Signore Dio tuo". Il testo del Levitico (Lv. 19,34) afferma con chiarezza: "Ama l'altro, perché questo altro è te stesso!".

Mi torna in mente il pensiero di Erich Fromm: una volta riscoperto lo straniero in me, non posso odiare lo straniero fuori di me, perché ha cessato per me di esserlo. Aprendo l'orizzonte su altre culture, in particolare quella africana della zona sub-sahariana, mi sono imbattuta nell'Ubuntu, una parola bantu che indica un'etica, un modo di vivere basato nel riconoscersi nell'altro: «Io sono perché noi siamo». Io sono perché tu sei è l'espressione di un'etica relazionale che esprime la possibilità di una convivenza capace di accogliere, includere e solidarizzare.

Oltre il dibattito

Lo straniero, l'immigrato, il rifugiato: ogni giorno ne parliamo e sentiamo parlare della sua presenza. Troppo spesso se ne parla in maniera semplicistica, ideologica e a colpi di slogan.

È il dibattito che riempie i salotti dei talk show e la carta stampata. Tutti sono esperti ma pochi hanno la volontà di comprendere cosa succeda realmente al di fuori del loro piccolissimo orto.

Abitiamo un tempo di grandi trasformazioni sociali, politiche e culturali che ci chiede capacità di confronto e di collaborazione con tutti. Papa Francesco afferma che stiamo attraversando un cambiamento d'epoca. Passiamo da una guerra all'altra con una spaventosa facilità e indifferenza. Un conflitto inizia e non sappiamo quando finirà. Le lancette dei diritti umani girano al contrario, la disumanizzazione e l'impunità della follia della violenza sembrano prevalere sul progresso e sulla custodia della dignità umana.


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