Quali resistenze servono per restituire alla comunità umana la coscienza critica e la consapevolezza politica che eviteranno alla tecnologia di mutarsi in tecnocrazia?

 

La crescita del seme della pace in un terreno tanto ostile come il sistema che organizza il mondo attuale appare sbarrato. Come scriveva Elsa Morante, l'insieme dei soggetti egemoni nella società globalizzata "teme le offerte della pace più del proprio sterminio" (Il mondo salvato dai ragazzini, Einaudi, p. 105). Crescono invece le forme di imposizione e di condizionamento dei cinque poteri oggi realmente sovrani: del denaro e del mercato, della tecnocrazia, dei media conformisti, delle burocrazie, della geopolitica bellica e militarizzata.

A fronte dell'influenza esercitata da questi sistemi di egemonia sull'intero pianeta, le forze della pace restano affidate alla dedizione delle persone corali, pronte a prendersi cura delle relazioni interumane e con la natura, alle comunità locali trasformative e non autocentrate, ai movimenti popolari democratici e nonviolenti, alle istituzioni eticamente orientate.

Solo avendo chiare le finalità di liberazione, di giustizia risanatrice e di pace che devono ispirare il cammino dell'umanità intera, si può considerare se le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche saranno davvero al servizio del bene comune o se, al contrario, si volgeranno in potenze ostili. Questo vincolo al senso e alla giusta finalità sfugge facilmente dalla visuale della percezione collettiva e intenzionalmente dai progetti di chi oggi è alla guida dell'ordine mondiale. In merito colpisce l'ottusità di quasi tutti i governi del mondo, sovente dediti ai giochi narcisisti dei loro capi, alle mortali illusioni del nazionalismo e dell'imperialismo, alla perpetrazione della continua devastazione del creato. La questione dei fini degni di essere perseguiti e quella dei mezzi realmente congruenti con essi non interessa chiunque conti nella vita del mondo odierno. 

Con entusiasmo

Nondimeno la civiltà moderna, nella sua passione per l'accelerazione fine a sé stessa e per le soluzioni meramente tecniche ai problemi della comunità umana, continua a sentirsi trionfante come se avesse costruito un paradiso in terra. Finanza e tecnologia sono i suoi gioielli e rappresentano i due motori propulsivi capaci di determinare il cambiamento delle logiche organizzative e delle pratiche sociali su scala planetaria.

La modernità costruita in Occidente e mondializzata è come un uomo in agonia impegnato ad attivare gli effetti speciali per mostrare la sua freschezza in continua evoluzione. L'ultimo grido è l'intelligenza artificiale, che promette un mutamento radicale della condizione umana. E così, fra l'entusiasmo generale, tornano i soliti discorsi che si fanno per ogni nuovo risultato tecnologico: è una risorsa straordinaria, ma bisogna che sia l'umanità a governarla.

Con ciò si chiude il discorso e ci si dispone a obbedire alla ridefinizione del regime di vita di tutti, come sempre.

Invece questa ovvietà è solo un punto di partenza per procedere finalmente alla comprensione di quello che sta accadendo. Siamo una società che non vede sé stessa, che più non si vede e più si agita, spesso sprofondando in pratiche distruttive che si moltiplicano e fanno sentire un sopravvissuto chi non ne è coinvolto direttamente.

Per uscire dall'ovvietà bisogna riferirsi ad alcune coordinate che ci restituiscano la possibilità di valutare criticamente se qualunque forma di cambiamento o tipo di innovazione siano in effetti propizi al bene comune oppure no.

L'elusione del necessario discernimento in proposito va contrastata prendendo la parola nel dibattito pubblico in modo da porre in primo piano le ragioni che giustificano le nostre prese di posizione. In merito alla desiderabilità e alla validità del ricorso all'intelligenza artificiale, mi pare sia essenziale adottare alcuni criteri di senso per orientarci in modo da tutelare la coscienza umana, la libertà, la dignità, la democrazia e la pace.

Sei coordinate orientative

La prima: l'intelligenza artificiale dev'essere governata e utilizzata entro modalità di rapporto con la realtà che salvaguardino l'integrità dell'esperienza, senza sostituirla con la mera interazione automatica. L'atrofizzazione della nostra capacità di esperienza ci smarrisce in una dimensione di irrealtà che è la base per ogni alterazione della condizione umana e del mondo. Dunque, le facoltà dell'intelligenza, della sensibilità emotiva e affettiva, della concreta relazionalità non possono essere surrogate da macchine computazionali o "intelligenze" tecnologicamente modellate.

La seconda: in una società così iniqua, carente di senso etico e imprigionata nella logica del potere, qualsiasi scoperta scientifica o risultato tecnologico accrescerà lo squilibrio se persisterà l'assenza di profondi mutamenti spirituali e politici nell'ordine del mondo. Essi non verranno da alcuna tecnologia, ma dalla cura educativa, dalla risocializzazione comunitaria della società, dalla democratizzazione della politica e dalla trasformazione dell'economia, tutti processi che solo lo spirito della nonviolenza può ispirare.

La terza: la condizione umana è stata resa interamente "artificiale" da tempo. Non nel senso che è frutto di elaborazione culturale, bensì nel senso che è stata rimodellata secondo l'inversione per cui si è preteso di prendere la vita contromano, asservendola al potere come principio e fine di tutte le cose. Invece di lasciare alla morte naturale il suo ruolo di confine misterioso dell'esistenza, l'Occidente ha costruito il sistema della vita dentro una logica di morte, calcolando di lucrare sopravvivenza, opulenza ed egemonia dalla produzione sistematica di vittime. La morte artificiale, causata da noi, è il primo prodotto del sistema. Che in questo contesto emerga l'intelligenza artificiale, senza rimettere in discussione il tipo di organizzazione (della condizione) umana in cui siamo, è una novità tutta interna al sistema, non è un'apertura di futuro liberato.

La quarta: l'insistenza sulla potenza e sulla velocità delle tecnologie, con l'aumento di quanto come esseri umani potremo – in realtà dovremo – delegare alle loro procedure e strumentazioni, continua a rimuovere la percezione di come il pensiero critico sia inibito e la coscienza morale sia implosa. Di quale giovamento potrà avvalersi un'umanità affidata all'intelligenza artificiale, ma rimasta priva di coscienza?

La quinta: la portata globale delle tecnologie non dovrebbe presupporre l'esistenza di istituzioni democratiche altrettanto mondiali per esercitare il governo corresponsabile di innovazioni che possono anche stravolgere la vita dell'umanità?

La sesta: come mai la cultura globalizzata esalta costantemente il potere innovativo delle tecnologie in un modello di società che si pretende insuperabile e senza uscita?

Tecnologia e pace

Non è forse una truffa l'innovazione senza alternativa? Il carattere coattivo di questo modo di imporre i cambiamenti, tramutando l'utile tecnologia in micidiale tecnocrazia, è palese. Nel tecno-capitalismo l'innovazione costituisce un incremento di potere, ma sempre per chi il potere già ce l'ha. Si annunciano nuove possibilità, che però poi si traducono in forme di necessità che ci costringono a obbedire.

Tenendo conto delle coordinate indicate, potrà maturare una consapevolezza critica che eviterà alla tecnologia di mutarsi in tecnocrazia e di farci pagare prezzi molto più alti dei vantaggi che promette. È determinante il fatto che i governi sono sollecitati a trovare un quadro normativo che riconduca le tecnologie entro l'orientamento adeguato al bene comune.

Da parte loro, gli attori della conoscenza, i ricercatori, le università, uniti ai movimenti nonviolenti e democratici, devono risvegliarsi e allestire le condizioni culturali e politiche per restituire alla comunità umana il governo delle modalità di costruzione delle tecnologie e di utilizzo dei risultati della scienza. Questo sarà uno dei passaggi cruciali per realizzare la reciproca ospitalità tra la Storia e la Pace.

 

 

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L'autore

Roberto Mancini è uno storico collaboratore di Mosaico di pace. Ci segue con passione da sempre. È professore ordinario di Filosofia teoretica all'Università di Macerata, dove ricopre l'incarico di Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dal 2022. Ha scritto numerosi libri, tra i quali segnaliamo "Oltre la guerra" (con Brunetto Salvarani, Effatà, 2023), "La terra che verrà. Percorsi di trasformazione etica dell'economia" (ed. Ecrea, 2023).

 

 


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