L'autonomia regionale differenziata come minaccia all'unità del Paese.

  

L'autonomia regionale differenziata è la facoltà attribuita alle Regioni ordinarie di aumentare le proprie competenze in ambiti oggi disciplinati e amministrati dallo Stato, in modo diverso le une dalle altre. Tale facoltà non era prevista nella Costituzione del 1948: è stata introdotta dalla riforma costituzionale voluta dall'Ulivo nel 2001, all'art. 116, co. 3, Cost. Sinora non è mai stata attivata: dunque, sino a questo momento le Regioni ordinarie hanno tutte le medesime competenze e si sono distinte nel modo di esercitarle; con l'autonomia regionale differenziata potranno distinguersi anche con riguardo alle competenze di cui saranno titolari.

L'art. 116, co. 3, Cost. prevede che le Regioni possano chiedere di veder aumentate le loro competenze in moltissime materie, tra cui: la sanità, l'istruzione, l'università, la ricerca scientifica, il lavoro, la previdenza integrativa, la giustizia di pace, i beni culturali, il paesaggio, l'ambiente, il governo del territorio, le infrastrutture, la protezione civile, il demanio idrico e marittimo, il commercio con l'estero, le cooperative, l'energia, il sostegno alle imprese, la comunicazione digitale, gli enti locali, i rapporti con l'Unione europea. In tutte queste materie, lo Stato potrebbe perdere quasi ogni ruolo. Si potrebbe giungere a Regioni che assumono insegnanti, medici, infermieri e personale amministrativo della giustizia, gestiscono i musei, acquisiscono al demanio regionale strade, ferrovie, fiumi e litorale marittimo, decidono le procedure edilizie, stabiliscono i piani paesaggistici, governano il ciclo dei rifiuti, intervengono a sostegno delle imprese e della ricerca anche nelle relazioni internazionali e via dicendo.

A repentaglio sono l'unità e l'indivisibilità della Repubblica, sancite dall'art. 5 Cost., dal momento che potranno essere coinvolte le principali leve attraverso cui la Repubblica è chiamata a realizzare il proprio fondamentale obiettivo costituzionale: l'uguaglianza in senso sostanziale, in modo che a tutti sia consentito il pieno sviluppo della propria persona e l'effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2, Cost.).

È bene precisare che la legge Calderoli, recentemente approvata dal Parlamento, non attribuisce alle Regioni le nuove competenze, ma stabilisce il procedimento da seguire per farlo, integrando l'art. 116, co. 3, Cost. In estrema sintesi: ciascuna Regione stipula un'intesa con il Governo sulle nuove competenze che riceverà, assieme alle connesse risorse; quindi, il Parlamento vota a maggioranza assoluta se recepire o meno tale intesa in una legge. A fronte della legge Calderoli si porranno, dunque, tante leggi di attribuzione delle nuove competenze alle Regioni quante saranno quelle interessate ad aumentare il proprio ruolo.

I Lep

La legge Calderoli stabilisce che prima dell'attribuzione delle nuove competenze alle Regioni occorre che lo Stato approvi i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) inerenti ai diritti civili e sociali. Tuttavia, poiché una legge non ha il potere di vincolarne un'altra, le leggi di recepimento delle intese potranno comunque essere approvate senza che prima siano stati definiti i Lep. Chi, dunque, pensa che "grazie ai Lep" il principio di uguaglianza sarà tutelato, nonostante l'autonomia differenziata, è vittima di una illusione.

Anche qualora fossero definiti, dai Lep non dipenderà, peraltro, l'ammontare delle risorse che saranno attribuite alle Regioni per l'esercizio delle nuove competenze. Secondo la Costituzione, una volta decisi i Lep dovrebbe essere attribuito a ciascuna Regione l'ammontare di risorse necessario a erogare le prestazioni. Data l'attuale disuguaglianza tra Nord e Sud, ciò significherebbe aumentare la spesa pubblica destinata al Sud di circa 100 miliardi di euro all'anno. Per evitarlo, la legge Calderoli prevede che le risorse da assegnarsi alle Regioni che si differenzieranno siano stabilite da una Commissione composta pariteticamente dallo Stato e dalla Regione e finanziate con parte dei tributi raccolti sul territorio regionale. Alla base, c'è la rivendicazione regionale del c.d. residuo fiscale, per cui le Regioni che pagano in tasse più di quanto ricevono in spesa pubblica avrebbero il diritto di trattenere una parte delle risorse versate al fisco. Si tratta, tuttavia, di una rivendicazione illogica e incostituzionale: illogica perché a pagare le tasse sono le persone, non le Regioni, e lo fanno sulla base dell'ammontare del loro reddito, non del luogo di residenza; incostituzionale perché gli artt. 2 e 53 Cost. sanciscono che la solidarietà economica e tributaria deve operare a livello nazionale, non regionale.

Regioni

Quanto alle Regioni che hanno sinora manifestato l'intenzione di avvalersi dell'autonomia differenziata, mancano all'appello solo l'Abruzzo e il Molise. Il Veneto, la Lombardia e l'Emilia-Romagna sono quelle che hanno condotto le trattative più avanzate con il Governo, al punto da aver già sottoscritto una bozza d'intesa; le altre hanno chiesto di avviare le trattative o hanno manifestato l'intenzione di farlo.

L'esame delle bozze d'intesa sinora raggiunte rivela che il Veneto è la Regione che anela a spingersi più in là: vorrebbe la laguna di Venezia, il controllo dei flussi migratori, persino il reclutamento dei Vigili del Fuoco. L'Emilia-Romagna ha un atteggiamento più prudente, ma ugualmente incisivo: per esempio, non chiede il rapporto di lavoro con gli insegnanti, ma fondi integrativi per poterne assumere di più e pagarli meglio. L'impressione è che l'Emilia-Romagna si sia mossa autonomamente solo all'inizio, per poi accodarsi a Veneto e Lombardia al momento di stringere l'accordo col Governo: colpisce che i testi delle tre bozze d'intesa siano, in ampie parti, identici.

Come fermare, allora, l'autonomia differenziata? Nell'immediato, il successo di un referendum abrogativo sulla legge Calderoli avrebbe un effetto politico dirompente. Altrettanto utile sarebbe l'impugnazione di tale legge innanzi alla Corte costituzionale, da parte di una o più Regioni, date le sue molte criticità. In prospettiva, riaprire una discussione sui poteri delle Regioni ed eliminare dalla Costituzione la possibilità stessa dell'autonomia regionale differenziata sarebbe la scelta più lungimirante.

 

 

 


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