La "riserva maschile" e il mutare delle argomentazioni.
Riapriamo, nelle pagine e negli spazi di dialogo di Mosaico di pace, una riflessione e un confronto sul maschile nella Chiesa, aperto con il Dossier di ottobre 2023, "Il Maschile, le Chiese e noi", a cura di Davide Varasi. A seguito del Dossier, le nostre argomentazioni e proposte sono state oggetto di una Lettera aperta, "Smaschilizzare la Chiesa: itinerario di pace", pubblicata in Avvenire del 7 maggio. Non è solo una riflessione ad alta voce e condivisa con i lettori. È un percorso aperto, plurale. Proseguiamo, quindi, in questo e nei prossimi numeri di Mosaico di pace, la riflessione e ringraziamo quanti ci hanno scritto alimentando il dialogo.
Sono molto lieto di aver letto il Dossier sulla maschilità (Mosaico di pace, ottobre 2023, ndr), dedicato dalla Rivista all'approfondimento competente di un tema delicatissimo e decisivo.
Constatiamo una scarsa riflessione sul maschile, per nulla comparabile a quella avvenuta sul femminile. C'è poco nella cultura e pochissimo nella Chiesa. Per disinserire questa "arancia meccanica", che lega maschilità impensata e uso/abuso di potere, abbiamo il compito di ripensare il maschile, anzitutto nelle sue forme di "predilezione" e di "distinzione". Qui, a me pare, il passaggio da una "società dell'onore" a una "società della dignità" (Ch. Taylor), implica l'uscita dalle forme "ovvie" di primato maschile, anzitutto nell'esercizio della autorità. Lo aveva già segnato, con limpida profezia, Giovanni XXIII nell'ultima sua enciclica Pacem in terris, quando segnalava che l'entrata nello spazio pubblico della donna doveva essere letta come "segno dei tempi" (e non come minaccia dell'ordine costituito): questo doveva ostacolare molti "complessi di superiorità" e favorire il superamento di "complessi di inferiorità". Ciò implica, per la Chiesa in cammino sinodale, una chiara determinazione a non nascondersi più dietro forme autoreferenziali di immobilismo.
Il punto sul quale oggi deve lavorare la teologia è smontare con cura e con onestà il castello di carte con cui, negli ultimi 60 anni, molti teologi cattolici si sono limitati a bloccare ogni salto di qualità del pensiero e della riflessione.
D'altra parte dobbiamo riconoscere che la "riserva maschile" al ministero ordinato ha assunto, lungo la Storia, una duplice forma di argomentazione, che pesca abbondantemente nella cultura patriarcale della "società dell'onore". In questa cultura, infatti, la "differenza" tra uomo e donna, come quella tra chierico e laico, sono pensate, vissute e sentite come "garanzia" della "differenza di Dio". Sta qui la loro inerzia potente.
Preferenze?
In questa società il maschile ha titolo di preferenza per due motivi:
- a) perché la sostanza del ministero comprende il sesso maschile;
- b) perché il sesso femminile è "impedimento all'ordinazione".
Queste due forme argomentative, che iniziano nel XII secolo e arrivano fino al XXI, sono profondamente diverse e perciò meritano un'attenzione differenziata.
- a) L'idea che il ministero ordinato abbia il sesso maschile come parte necessaria della sua sostanza tende ad avvalorare la "superiorità maschile" come un fatto ovvio ed evidente, senza bisogno di discussione. Non a caso, l'argomento compare anche nella più recente affermazione della "riserva maschile" da parte del magistero (Ladaria, nel 2018). Alla domanda sul perché le donne non possono essere ordinate, si risponde che questo è dovuto al fatto che il sesso maschile è parte della sostanza del sacramento dell'ordine. Il fatto che questa affermazione sulla "sostanza" sia data per scontata dice il grado di irriflessione che caratterizza la teologia cattolica a questo proposito.
- b) Più interessante, e più impressionante, è la lunga sequenza di elencazioni degli impedimenti all'ordinazione lungo la storia. In questo caso il modo di pensare è diverso. Si parte dall'idea che tutti i battezzati possano accedere al ministero ordinato e si fa l'elenco di quei soggetti che si trovano in una condizione che impedisce la ordinazione. Si procede così in modo inverso, costringendo la teologia a dichiarare il motivo dell'esclusione. In questa linea, che appare molto più ricca e sviluppata, scopriamo che l'impedimento decisivo, molto più netto della minore età, della condizione di schiavo, di assassino, di figlio naturale o di disabile, è il "sesso femminile".
Il modo di argomentare, sulla ragione di questa esclusione, è del tutto significativo: la donna non può essere ordinata perché "naturaliter" non sarebbe dotata di autorità. Questa ragione, che brilla in modo evidentissimo nelle argomentazioni di S. Tommaso d'Aquino, mostra esplicitamente la radice della questione: una comprensione "minorata" della donna sta alla radice della prassi ecclesiale di riservare il ministero ai maschi. Anche qui, è un "abuso di potere" ad essere in questione. Il testo di Pacem in terris chiede il superamento di questo modo di discriminare il femminile "in re publica".
Non è un caso che dopo il 1963 tutte le proposte significative, che non vogliano apparire anacronistiche, aggirano quest'argomentazione sugli "impedimenti" e in parte utilizzano ancora il formalismo dogmatico-giuridico della "sostanza", ma soprattutto rielaborano gli impedimenti come "principi", oppure costruiscono un "sistema" in cui positivismo teologico e teologia di autorità si alleano in modo sorprendente.
Tre derive
Vorrei brevemente analizzare queste tre "derive" della ostinata permanenza ecclesiale nella giustificazione della riserva maschile.
- La sostanza non si tocca
Il primo argomento è apodittico: rimanda a una evidenza che si suppone evidente. La donna non può essere ordinata perché l'ordinazione ha il "sesso maschile" nella sua sostanza. Ma chi abbia stabilito questa correlazione tra sostanza e sesso maschile non è per nulla chiarito.
- Impedimenti come "principi"?
Una via più creativa, ma altrettanto autoreferenziale, è quella di sostituire lo specifico impedimento del sesso femminile, accollandosene la giustificazione, con l'elaborazione di "due principi" (definiti "mariano" e "petrino") che, sebbene nati per giustificare ecumenicamente la differenza tra Chiesa istituzionale e Chiesa carismatica, trovando in due principi all'interno anche del cattolicesimo, poi cede alla tentazione di confondere il "mariano" con "le donne" e il "petrino" con "gli uomini". In questo modo, si cerca di ottenere una giustificazione "di principio" a una discriminazione. La dimenticanza dell'aspetto mariano di Pietro (il suo amare flere), e dell'aspetto petrino di Maria (sotto la legge) è solo uno dei difetti macroscopici di questa operazione ideologica, che si vorrebbe spacciare per alta teologia.
- L'autorità dei fatti e l'autorità come fatto
Infine, la strategia assunta dal magistero più direttamente orientato a rispondere alla "domanda nuova": ossia Inter Insigniores (1976) e Ordinatio sacerdotalis (1994).
Il documento del 1976 inaugura il primo degli argomenti più fortunati, dopo l'eclissi delle argomentazioni sulla "sostanza" e sugli "impedimenti". Ossia l'argomento "fattuale". Siccome Gesù ha chiamato dodici uomini, la Chiesa non può fare diversamente da lui. Gesù ha detto mangiate e bevete, e come mai possiamo mangiare soltanto? Ma Gesù ha detto "non giurate" e perché mai la prima cosa che fa un vescovo è "giurare"? L'argomento fattuale è debolissimo, anche perché non ha alcuna tradizione. D'altra parte, il secondo argomento fattuale (la Chiesa ha sempre seguito questa evidenza della riserva maschile) non ha più efficacia normativa "infallibile" da quando viene posto in questione, almeno a partire dal 1963.
Il Documento del 1994, di alta autorità, e che pretende di chiudere il dibattito, affermando che quel "fatto" (posto da Gesù e assunto dalla Chiesa) è da tenersi in modo definitivo. Qui si sommano due "quasi-autorità": una evidenza storica che non è pienamente evidente, e una autorità ecclesiale che non è pienamente infallibile. La pretesa di poter sommare due "semievidenze" per giungere (e imporre) una evidenza indiscutibile è la strategia che ha creduto di poter giustificare originariamente quella "riserva maschile" che, trent'anni dopo, appare tutt'altro che chiarita.
Tirando le somme di questa breve presentazione della questione "ministero/riserva maschile" non è difficile comprendere come le strategie degli ultimi cinquant'anni tentino di bloccare una conseguenza che è implicita nella evoluzione dei "segni dei tempi".
Nel momento in cui l'"autorità femminile" viene riconosciuta pienamente nello spazio pubblico, crolla totalmente la giustificazione dell'impedimentum sexus. Nella logica degli scolastici, che era anche la logica di un sano "senso comune", se un impedimento viene meno, è possibile ordinare il soggetto. Non essendoci più impedimento, non ci sono più ragioni per non permettere alle donne di accedere al ministero ordinato. Si deve parlare allora di "vocazione universale" al ministero ordinato. Con urgenza anche se non senza ragionevole gradualità.
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