Le Università occupate, i collettivi studenteschi e la solidarietà alla Palestina. Intervista a una giovane studentessa.
Mercoledì 22 maggio siamo nell'Università di Bari in piazza Umberto I, per incontrare le ragazze e i ragazzi dell'intifada studentesca che stanno occupando l'ateneo dal 14 maggio. Ci accoglie Antonella De Renzo di Cambiare Rotta con la quale conversiamo.
Da chi è composta l'in-tifada studentesca e quali sono le sue istanze?
All'interno dell'intifada studentesca coesistono varie realtà, diversi simboli, singole persone, associazioni e organizzazioni come Cambiare Rotta, Bread and Roses, Gas_cs, altri collettivi studenteschi. Abbiamo opinioni differenti sulla metodologia dell'impegno e sul mondo, ma troviamo unità sulla Palestina, sulla necessità di muoversi rapidamente e di raggiungere un obiettivo.
Il 10 maggio c'è stata un'assemblea pubblica per coinvolgere le realtà che volevano mobilitarsi sul tema e il 15 maggio, l'anniversario della Nakba, abbiamo iniziato l'occupazione. Volevamo aprire a Bari un percorso che coinvolgesse altre realtà oltre Cambiare Rotta. In tanti, anche come singoli, hanno accolto questo appello. Così abbiamo costituito un coordinamento.
Il punto più dirompente delle vostre istanze è l'interruzione drastica di ogni forma di collaborazione con le Università israeliane, perché? L'università non fa da ponte fra le culture e i popoli? Non rischiamo di non uscire dalla logica binaria di amico-nemico? Israele è lo Stato occupante con politiche guerrafondaie e a Gaza c'è un genocidio in corso, ma nelle Università israeliane ci sono studenti e professori che si espongono per la pace e ci sono manifestazioni contro Netanyahu.
Per noi non è eccessivo. Quello che emerge da tutte le mobilitazioni universitarie nel mondo è la necessità che le Università si schierino e taglino i ponti con quella israeliana. In questa fase storica pensiamo che questo sia il modo giusto di porsi. In Israele l'Università non è neutrale. Essa risponde al Ministro della Difesa e dà il suo apporto al genocidio in corso, contribuendo al prolungamento di ciò.
È in corso, inoltre, un atteggiamento intimidatorio nei confronti dei professori che si schierano a favore della Palestina, ai quali vien tolta la cattedra e la libertà di esprimersi.
In questo momento gli accordi di cooperazione firmati sono tutti dual use, per cui la ricerca scientifica e tecnologica può essere usata per fini militari (vedi i droni o l'AI). Il sapere non può essere neutrale: qui vediamo che diviene strumento per il prolungarsi della guerra a motivo degli interessi economici.
Inoltre, è da 75 anni che lo Stato sionista di Israele prosegue nella politica di occupazione di territori e di crimini di guerra. Sia la Corte internazionale di giustizia sia quella penale internazionale hanno aperto un processo contro Israele: la prima, per l'accusa di genocidio, la seconda verso i suoi governanti con l'accusa di crimini di guerra. Quello che sta succedendo a Gaza va contro ogni etica e morale. Collaborare con uno Stato criminale ci rende complici. Noi non vogliamo la complicità nel genocidio.
Quali sono le forme di finanziamento dell'Università di Bari che possono essere poco etiche?
C'è una serie di accordi con vari enti, tra cui Leonardo. È una collaborazione da eliminare. In questo caso il sapere non emancipa né è critico ma serve per continuare in una logica guerrafondaia. In un periodo con così tanti conflitti, dalla guerra in Ucraina al genocidio in corso a Gaza, dall'allargamento del conflitto in Medio Oriente alla missione Aspides della Marina militare italiana, in questa escalation della logica bellica, l'Università non deve piegarsi a logiche dominate da chi produce e vende armi, ma deve essere un luogo che garantisce il sapere e la pace in concreto, libera da qualunque logica militare.
Come vi vive la città?
La città vive le tendate con orgoglio. Abbiamo dagli stessi professori e da chi lavora in Università molta solidarietà e aiuto: chi ci porta viveri, chi, in questo periodo, ci procura zampironi. Condividono sia le modalità sia le richieste. Siamo anche contenti del riscontro che riceviamo dagli studenti. Si interfacciano, seguono le attività, da quelle ludiche a quelle più serie nell'Auletta. C'è l'esigenza di comporre entrambe le cose: portare avanti il proprio percorso di studente e partecipare a questa mobilitazione. L'obiettivo è cercare risultati più grandi di noi, perché non riusciamo a vivere serenamente.
Perché questo mobilitarsi per la Palestina adesso?
Il conflitto palestinese è quello che nel concreto ha avuto un certo tipo di riscontro. Chi fa politica da prima del 7 ottobre ne conosceva la situazione. Girava molta documentazione, video… dopo il 7 ottobre la Palestina ha conosciuto un'esplosione mediatica. La mobilitazione e le proteste sono cresciute sempre di più. Si è vista una mobilitazione degli studenti come non si vedeva da tempo. Penso al movimento statunitense contro la guerra del Vietnam – sì, il paragone non regge, perché allora erano gli stessi veterani a protestare. Però come allora, la protesta è partita dall'Università come critica al sistema guerrafondaio in cui viviamo e di cui siamo complici. Partiamo dalla Palestina ma non ci fermiamo solo lì. La protesta riguarda tutti i popoli oppressi. Nel nostro piccolo vogliamo accendere le luci su tutte quelle situazioni di guerra che sono ancora oscurate.
Che rapporti avete con i palestinesi, con le associazioni palestinesi in Palestina e con i movimenti di resistenza israeliani?
Abbiamo relazioni con i palestinesi che vivono a Bari, sia con quelli della comunità palestinese sia con quelli che ne sono fuori. Molti di loro in Palestina hanno partecipato alle proteste. Mentre ci manca la relazione con i movimenti di resistenza israeliani. Ci sono studenti ebrei non sionisti che partecipano. Tanta gente ha il passaporto israeliano ma non è sionista. Collaboriamo con loro e siamo aperti al confronto, ma non collaboriamo con chi supporta lo Stato di Israele. È inefficace collaborare con chi non condivide la tua posizione.
Per noi è chiara la differenza fra antisemitismo e antisionismo. La prima è una terrificante posizione della destra, mai portata avanti dal nostro movimento di studenti. La seconda è uno dei cardini delle nostre battaglie. Il sionismo non riconosce uno Stato a chi appartiene: la Palestina libera ai palestinesi.