L'Autonomia Differenziata: cosa cambia e perché dire no? 

 

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"Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace" (papa Francesco 1° gennaio 2018). "Carico residuale" (ministro Piantedosi, 5 novembre 2022). In queste due affermazioni, distanti tra di loro anni luce, abbiamo una chiave per leggere quello che sta accadendo, sulla pelle dei migranti. Dal processo al ministro Salvini, accusato di aver negato illegalmente, nell'agosto 2019, lo sbarco di 147 profughi soccorsi in mare dalla nave Open Arms. Fino alla tragicommedia della deportazione in Albania.

"Dai muri alle prigioni" ha affermato il vescovo di Ferrara-Comacchio Gian Carlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes della CEI. La scelta di "accogliere" i migranti in Albania rimanda "ai luoghi dove viene meno la tutela della dignità della persona. Sappiamo che sui Cpr ci sono già state condanne dal 2001... Sappiamo che in Italia si aspetta fino a 2 anni per l'esame della richiesta. Come potrà avvenire questo in Albania in sole 4 settimane?".

Non sono mancate prese di posizioni e pronunciamenti del Tribunale di Roma e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Il cuore della questione è, come in tutte le situazioni di ingiustizia, di guerra o altro, che valore ha la persona? Sono più importanti e determinanti i criteri di chi gestisce il potere o quelli dettati dal diritto internazionale? La banalizzazione del diritto, la cancellazione di quei pilastri fondamentali che dovrebbero reggere la vita democratica, questo preoccupa oggi.

Quale senso, quali significati assume la sete di verità che da sempre accompagna l'umanità?

 

Già la parola da sola mette i brividi. E la domanda stessa: "Che cos'è la verità?" da sempre accompagna, appassiona e forse anche affligge l'umanità, tanto grande e sconfinato è il suo senso e il suo mistero. Il fascino che l'avvolge rimanda agli insegnamenti di saggezza dei filosofi dell'antichità e dei grandi maestri di spiritualità. Il loro invito a ricercare la verità per ritrovare l'equilibrio di vita e buone ragioni per affrontarla percorre latitudini diverse e differenti visioni del mondo. La promessa del Profeta di Galilea "la verità vi farà liberi" (Gv 8,36) suggella lo sguardo su questo tesoro prezioso di sapienza di vita. Eppure, sulla parola verità si addensano anche ombre pericolose, rischi abissali che mettono a nudo stati precari delle nostre anime e allertano per non cadere in trappole distruttive e alienanti.

Tra fascino e rischio

Perché tutta questa ambivalenza che fa oscillare la verità tra fascino e rischio? Perché con una parola così densa e piena di senso, gli scenari non sono soltanto positivi e invitanti, ma racchiudono anche ansia e perplessità? Molto dipende dall'uso, forse anche dall'abuso, che si può fare di essa. Su questa corda che intreccia il modo di sentire e l'arte dell'interpretare la lunghezza d'onda del termine verità si gioca, infatti, un complesso destino. In realtà, abbiamo a che fare con un vistoso passaggio di significato, uno spostamento di accenti non irrilevante, legato a due modelli ermeneutici del concetto di verità.

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Il bollettino pacifista con l'Intelligenza Artificiale.

 

Questa volta parleremo di Albert. Un progetto innovativo che combina tecnologia avanzata e impegno sociale, utilizzando l'intelligenza artificiale per diffondere notizie in tempo reale. Scienza più pacifismo uguale Albert, proprio come Albert Einstein.

Addestramento pacifista dell'IA

Il cuore pulsante di Albert è l'uso di ChatGPT, un'intelligenza artificiale generativa che possiamo "specializzare" ChatGPT su contenuti specifici legati al pacifismo. È il primo esperimento in Italia di questo tipo. ChatGPT è in grado di memorizzare e rielaborare informazioni per la pace provenienti da diverse fonti, come agenzie stampa, comunicati, articoli di esperti e segnalazioni della comunità pacifista. Questa Intelligenza Artificiale è "addestrata" a sintetizzare, rielaborare e "argomentare" per scopi di pace.

Bollettino quotidiano

Albert è un bollettino quotidiano che possiamo aggiornare in tempo reale. Una delle sue caratteristiche principali è la rapidità con cui le informazioni vengono automaticamente rielaborate in pochi minuti. Grazie a ChatGPT, il processo di scrittura e revisione dei contenuti viene velocizzato, permettendo la rapida creazione di articoli chiari e leggibili. Albert viene facilmente aggiornato garantendo una copertura tempestiva di eventi e iniziative.

Qualifica Autore: giornalista, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole

Quanto spendono Usa e Paesi occidentali per armare Israele?

 

Armi e munizioni per 17.9 miliardi di dollari. È quanto speso dagli Stati Uniti d'America nell'ultimo anno per consentire a Israele di scatenare l'inferno a Gaza, West Bank e Libano e avviare una pericolosa escalation bellica in Siria, Yemen e contro l'Iran. Il dato emerge da uno studio della Brown University di Providence, Rhode Island.

Dal 7 ottobre 2023 il Pentagono avrebbe sperperato altri 4,9 miliardi di dollari per le operazioni delle forze armate USA nello scacchiere mediorientale. "La maggior parte delle armi che gli Stati Uniti hanno consegnato a Israele sono sistemi anti-missile, munizioni, proiettili d'artiglieria da 2.000 libbre, bombe anti-bunker e di precisione teleguidate", riporta lo studio del centro accademico.

Israele è il maggiore destinatario di sistemi bellici statunitensi: dal 1959 a oggi ha ricevuto da Washington armi e munizioni per 251,2 miliardi di dollari. Secondo il SIPRI, l'autorevole istituto di ricerca sulla pace di Stoccolma, il 69% di tutte le forniture belliche a Israele nel periodo compreso tra il 2019 e il 2023 sono di provenienza USA. Al secondo posto della assai poco onorevole classifica degli esportatori di armi alle forze armate di Tel Aviv compare la Germania (il 30% delle forniture). Al terzo posto, per il SIPRI, c'è poi il complesso militare-industriale-finanziario italiano, con una percentuale poco al disotto dell'1%.

Qualifica Autore: presidente Centro Studi economico-sociali per la pace

È sorto a Roma un Istituto per la pratica della nonviolenza attiva, ad opera di Pax Christi International.

 

Alcuni anni fa, Pax Christi International ha lanciato l'Iniziativa Cattolica per la Nonviolenza, "Catholic Nonviolence Initiative" (CNI), con la partecipazione di partner cattolici internazionali, come, ad esempio, la Commissione Giustizia e Pace dell'Unione dei Superiori Generali e l'Unione Internazionale Superiore Generali (USG-UISG). Il primo incontro ha avuto luogo nella primavera del 2016 in Vaticano. Ad esso partecipò anche mons. Luigi Bettazzi.

In una seconda conferenza nel 2019, tenutasi sempre a Roma, fu presentato un documento "Advancing Nonviolence and Just Peace" (Promuovere la nonviolenza e la pace giusta), disponibile in inglese, francese e spagnolo. Costituito da cinque parti, è stato il frutto del lavoro di tavoli formati da esperti di tutto il mondo. La sezione biblica, relativa a Gesù e la nonviolenza, è stata poi tradotta in italiano dal nostro Centro Studi economico-sociali per la pace in collaborazione con Fabrizio Mandreoli e Zikkaron Edizioni che ne hanno curato la traduzione e la stampa.

Con questo corposo lavoro, CNI intendeva proporre al Papa la stesura di un'enciclica dedicata alla Nonviolenza. Il Papa ha, in seguito, risposto indirettamente dichiarando, in una conversazione con i giornalisti di ritorno dal Giappone, di non ritenere che i tempi fossero ancora maturi.

Un successivo documento, prodotto nel 2021, rappresenta una guida per gli operatori politici e intende essere uno strumento di politica attiva per strategie efficaci e nonviolente verso una pace giusta e sostenibile. Esso è disponibile online sul sito della CNI, anche nella traduzione italiana curata sempre dal nostro Centro Studi. 

Qualifica Autore: Un Ponte per

È stato pubblicato il rapporto di monitoraggio sulla discriminazione dei bielorussi in Lituania.

 

La ONG bielorussa "Our House" ha pubblicato recentemente un rapporto dettagliato che denuncia la discriminazione diffusa e sistematica nei confronti dei rifugiati bielorussi in Lituania alimentata da motivazioni razziste. Tra le molteplici forme di discriminazione evidenziate, un'attenzione particolare è riservata agli obiettori di coscienza bielorussi. Il rapporto esplora le radici storiche e politiche di questa discriminazione, il ruolo dei media e dei discorsi politici nell'amplificare il pregiudizio (cfr. box, nda) e le implicazioni per la comunità bielorussa in Lituania. La vicenda degli obiettori bielorussi è un'altra manifestazione dei gravi problemi che crea la ripresa delle retoriche nazionaliste in tutta Europa.

Gli obiettori di coscienza bielorussi sono particolarmente colpiti dalle politiche discriminatorie. Dopo le proteste di massa del 2020 in Bielorussia contro il regime di Alexander Lukashenko, molti cittadini, inclusi obiettori di coscienza, hanno cercato rifugio nei Paesi vicini opponendosi al servizio militare in un esercito accusato di sostenere repressioni interne e politiche aggressive nei confronti dei Paesi confinanti, come l'Ucraina.

Tuttavia, invece di trovare protezione, molti obiettori si sono trovati a fronteggiare discriminazioni e trattamenti ingiusti da parte delle istituzioni lituane che, come racconta il rapporto di "Our House", influenzate da crescenti pressioni nazionalistiche, negano loro sistematicamente l'asilo politico, sostenendo che rappresentano una "minaccia alla sicurezza nazionale".

Qualifica Autore: Segretario del Collettivo europeo delle Comunità Cristiane di Base

Voci e volti dall'incontro europeo delle Comunità Cristiane di Base.

 

Dal 20 al 22 settembre un centinaio di membri delle Comunità Cristiane di Base (CdB) europee provenienti da Austria, Belgio, Francia, Italia, Olanda, Spagna e Svizzera, si sono riuniti a Pesaro per dialogare e confrontarsi sulla ricerca di una nuova spiritualità. "Verso una spiritualità aperta - Quale approccio spirituale in un mondo alla ricerca di senso?"

Questo è stato il tema dell'undicesimo incontro europeo svoltosi a Villa Borromeo in Pesaro, attuale tappa di un cammino comune iniziato ad Amsterdam nel 1983 e proseguito sino ad oggi grazie alla vitalità di un movimento che, seppur in forma spontanea, ha anche saputo darsi strumenti organizzativi precipui.

La storia

I primi contatti tra le Comunità Cristiane di Base europee risalgono al 1983 in occasione del primo Congresso delle Comunità di Base olandesi ad Amsterdam, proseguiti nel 1985 al congresso delle CdB  italiane a Torino. Nel 1987, al terzo incontro tenutosi a Bilbao nacque il Collettivo europeo delle CdB. Da allora il Collettivo, che si incontra annualmente a rotazione nei diversi Paesi, è divenuto referente di un'esperienza originale di cristianesimo di base, che ha saputo oltrepassare i confini nazionali assumendo una dimensione continentale, divenendo al tempo stesso metodo e strumento per contribuire alla realizzazione di un modo "altro" di vivere la fede. 

Qualifica Autore: già parlamentare

Il diritto di difendersi è veramente senza limiti? Don Luigi ne dubitava.

  

Il 26 novembre sarebbe stato il suo compleanno. E riteniamo che non ci sia modo migliore per ricordare don Luigi Bettazzi se non riproponendo le sue lungimiranti e coraggiose riflessioni.

Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea per 35 anni, senza ulteriore carriera perché scomodissimo alla sua unica e amatissima Chiesa, continua a fecondarla con i semi dei suoi ultimi e innovativi, anzi provocatori pensieri.

Mosaico di Pace ne continua a sentire e ricordare lo spirito, proprio perché Pax Christi non sarebbe l'organizzazione della Chiesa cattolica che dal 1945 è ordinata alla pace, se nel 1968 il Vaticano non l'avesse assegnata al "giovane vescovo", ausiliare del card. Lercaro, convertito dal Concilio ad una Chiesa povera e dei poveri, che trasformò Pax Christi Italia, sezione di Pax Christi Internazionale in un movimento. Reclutò persone di fiducia, collegò la sezione italiana alle sezioni sorelle non solo europee e alla presidenza centrale tenuta allora dal card. Alfrink e aiutò la Chiesa a recuperare il rapporto con il mondo giovanile attraverso la collocazione della pace al centro dei principi evangelici che la debbono "incarnare".

La nonviolenza

Una pace, quindi, non astratta, ma coerente con la nonviolenza e coinvolta nell'azione politica delle diverse società. All'inizio privilegiò l'impegno a favore dell'obiezione di coscienza, iniziativa personalissima di un vescovo che, nell'epoca in cui i cappellani militari su quel tema avevano portato in tribunale don Milani e p. Balducci, era così libero da pregiudizi che non ebbe problemi – non li aveva nemmeno nei confronti del comunismo – a contattare la LOC (Lega degli Obiettori di Coscienza) e a recuperare i giovani cattolici che, obbligati a prestare servizio militare obbligatorio, si domandavano se imparare a difendersi con le armi, cioè a poter uccidere, sia pure per difendere la patria, non fosse contro la libertà di coscienza umana e, soprattutto, cristiana.

Qualifica Autore: NEV – Notizie Evangeliche

Il progetto della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI) per un intervento umanitario a Gaza e in Libano. 

 

La Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha avviato, insieme alla rivista Confronti, il progetto "Fermiamo l'odio, aiutiamo i costruttori di pace". Questo progetto nasce con lo scopo di fornire aiuti umanitari alle popolazioni di Gaza e di supportare quelle forze che, nel pieno di un conflitto apparentemente senza fine, continuano a credere nella possibilità della pace e della convivenza tra israeliani e palestinesi.

Lanciato lo scorso agosto, il progetto è frutto della lunga esperienza della FCEI in ambito ecumenico e interreligioso, che da anni promuove il dialogo come strumento essenziale per la costruzione della pace. Il progetto comprende anche una sottoscrizione che, a seguito della drammatica situazione venutasi a creare anche in Libano, si è ulteriormente estesa.

Come sottolineato dal presidente della FCEI, Daniele Garrone, il progetto non si limita agli aiuti immediati, ma punta anche a promuovere un ampio ventaglio di iniziative di confronto tra le diverse comunità in conflitto, per la riconciliazione tra israeliani e palestinesi e per il dialogo tra le diverse espressioni religiose e civili in Medio Oriente. In particolare, la FCEI ha mantenuto forti legami con il Middle East Council of Churches e l'Ahli Arab Hospital di Gaza City, due realtà che rappresentano un punto di riferimento fondamentale per le comunità locali.

Qualifica Autore: già docente di Teologia fondamentale, Ecclesiologia e Scienza delle Religioni

Don Tonino Bello e la pace come laboratorio educativo.

 

Se vado indietro con la memoria non ritrovo nel linguaggio di don Tonino il termine "sfida". Almeno non frequentemente. Preferiva parlare di "laboratorio". Infatti, in una verifica veloce negli indici analitici di almeno i primi quattro volumi editi da "Luce e vita" (1993-1997) non compaiono i termini "sfida" o "sfide". Si notano però subito i lemmi a questi alfabeticamente vicini: senso, sequela, servizio, servo sofferente di YHWH, Settimana Santa, sfrattati, sfratti, siccità, ecc.

Ciò che con linguaggio di testi ecclesialmente autorevoli cominciava ad essere ai tempi di don Tonino ed è sempre più chiamato "sfida", egli preferiva chiamarlo con termini che non alludessero a rivalità, nemmeno a livello etico, culturale o spirituale. In un testo, più esattamente in una preghiera, ho trovato le "sfide del nostro tempo", ma in un inciso in cui egli invocava il dono della speranza: «Ecco perché, Signore, mentre più drammatiche si fanno le sfide del nostro tempo, ti imploriamo di non farci venire meno la speranza e di continuare a effondere su di noi lo Spirito Santo, vero protagonista della missione ecclesiale».

Il cantiere della pace

Considerando equivalenti i due termini "cantiere" e "laboratorio", muovo da un testo che mette in relazione l'idea del cantiere con l'idealità della pace. Idealità come eu-topia, cioè luogo di un sogno da realizzare e non come u-topia, cioè non-luogo. Ideale da costruire, obiettivo concreto perseguibile e da perseguire. Tutto ciò era già nel saluto che don Tonino Bello rivolgeva ai trecento partecipanti alla Route internazionale di Pax Christi conclusasi a Molfetta, dopo il percorso dal 21 al 28 luglio sui luoghi e le strade di Puglia.

Qualifica Autore: direttore responsabile di Mosaico di pace

 

Possiamo realizzare il regno di Dio solo partendo dalla liberazione degli oppressi.

 

Prosegue la riflessione sulla nonviolenza evangelica (cfr. Mosaico di pace di settembre, pag. 35, e precedenti numeri)

Gesù, dopo l'esperienza del deserto, ritornò in Galilea, la zona più impoverita della Palestina. Questa è una chiara scelta di campo: è la scelta degli ultimi, degli impoveriti, dei diseredati. Fatta in nome dell'Abbà, di quel Papà, come Gesù amava chiamarlo, che sta dalla parte degli oppressi, degli emarginati…

Gesù era il volto del Papà alle frontiere della sofferenza umana.

È questo il cuore della buona novella ai poveri, agli ultimi, agli umiliati che Gesù, Messia dei poveri e Messia povero, proclamò in quella Galilea delle genti, a quel popolo immerso nelle tenebre (Matteo).

È quanto Gesù era andato maturando nel deserto mentre rifletteva sulle antiche scritture che contenevano "il gran sogno di Dio", come afferma il Salmo 106. I sogni di Dio, il sogno di Mosè che è il cuore dell'esperienza religiosa di Israele. Il cuore della rivoluzione biblica è Jahvè che si manifesta come il Dio degli schiavi, non del sistema. Dio appare come colui che ascolta il grido degli oppressi. Mosè è inviato da Jahvè in Egitto (super-potenza) a liberare il suo popolo. Mosè è portatore di un sogno, il sogno di Dio. Che cos'è questo sogno? E qui faccio mia l'intuizione di Walter Brueggemann, uno dei migliori biblisti americani, nello scenario del libro Intuizione profetica.

Qualifica Autore: presidente dell'Associazione Laudato Si'

Per il rifiuto totale di tutte le guerre. Riflessioni sul futuro.

 

L'Agorà degli abitanti della Terra è nata alla fine del 2018 ad opera di persone e associazioni provenienti da vari Paesi, con lo scopo di promuovere il riconoscimento dell'umanità come soggetto politico e giuridico e di contribuire alla tutela del diritto alla vita di tutti gli abitanti della Terra (comprese tutte le specie viventi). L'Agorà opera per la giustizia sociale, la difesa dei diritti umani, la democrazia partecipativa e un altro sviluppo sostenibile. In occasione della terza Marcia Mondiale della Nonviolenza dello scorso 2 ottobre, ha redatto un documento "Contro la guerra. Riflessioni sul futuro". Ne proponiamo una sintesi, rinviando al sito (agora-humanite.org/it/pour-le-refus-integral-de-la-guerre) per la lettura integrale.

 

Non dobbiamo mai smettere di batterci per la pace e la non violenza, insistendo sul concetto/obiettivo di "Contro la guerra", per non lasciare spazio alla credibilità (etica e politica) dell'idea, ancora predominante, della guerra come fatto naturale e inevitabile.

A colloquio con Jacopo Melio, autore di "È facile parlare di disabilità (se sai davvero come farlo)".

  

Quale l'insegnamento consegnato alla società dalla diciassettesima edizione dei Giochi paralimpici?

Non sono solito guardare le Paralimpiadi in TV perché mal sopporto la narrazione dei media mainstream riguardo la disabilità, tuttora quasi sempre pessima, anche se quest'anno ho visto un leggero miglioramento: merito soprattutto delle atlete e degli atleti che, con una campagna ad hoc, hanno provato a ribaltare molti stereotipi, tra cui il concetto che loro "gareggino" alle Paralimpiadi e non "partecipino". Questo credo sia il fresco promemoria di questa edizione.

Nel suo ultimo libro ha dipanato i dubbi sui modi per parlare di disabilità. Esiste davvero un modo "corretto"?

È difficile definire qualcosa "corretto" dal momento che il linguaggio cambia con il mutare della società e dei tempi. Di certo esiste un linguaggio discriminatorio e offensivo che allontana, enfatizzando le differenze, anziché includere, ponendo l'accento sulla "persona" nella sua totalità e non sulle sue difficoltà. Perciò sì, possiamo dire che esistono parole corrette e altre sbagliate, dal momento che gli effetti sociali e culturali che queste creano (spesso involontariamente) possono essere positivi o negativi.

Qualifica Autore: Peacelink.it

Il processo Ilva subisce uno stop ma la verità non può essere cancellata.

 

Il caso giudiziario che ha scosso l'Italia e in particolare la città di Taranto subisce uno stop. La Corte d'Appello di Lecce ha annullato la sentenza di primo grado che aveva condannato i responsabili del disastro ambientale dell'Ilva.

La ragione di tale annullamento non risiede nel merito della vicenda, ovvero nell'accertamento dei reati ambientali commessi e dei danni alla salute della popolazione, ma in una questione di carattere procedurale: la presenza di due giudici onorari tra le parti civili. Due giudici che erano andati in pensione e che non facevano parte, si badi bene, della Corte d'Assise del processo Ilva.

È importante sottolineare che l'annullamento del processo non equivale a un'assoluzione degli imputati. Le prove raccolte durante il lungo iter giudiziario, in particolare quelle emerse dall'incidente probatorio, hanno dipinto un quadro chiaro e inequivocabile dell'inquinamento dell'Ilva e delle sue gravi conseguenze sulla salute dei tarantini. Queste prove rimangono inalterate e costituiscono un patrimonio di conoscenza fondamentale per comprendere la portata del disastro ambientale.

Qualifica Autore: Presidente Cipax

Il Premio Nobel per la Pace all'associazione giapponese delle vittime di Hiroshima e Nagasaki e il monito che arriva a tutto il mondo: Mai più!

 

È un forte monito al mondo l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla Nihon Hidankyo, la confederazione giapponese che raccoglie, a livello nazionale, le organizzazioni delle vittime delle bombe all'uranio e al plutonio sganciate dagli Stati Uniti il 6 agosto 1943 su Hiroshima e il 9 su Nagasaki. I morti immediati allora dichiarati furono 140.000 e 74.000, ma i livelli di distruzione furono impressionanti: in pochi secondi il 70% degli edifici della prima città furono ridotti in macerie e rottami, mentre larghe parti della seconda vennero rase al suolo istantaneamente. Ma almeno altre 6.882 persone a Hiroshima e 6.621 a Nagasaki, che erano a 2 km dall'epicentro dell'esplosione, secondo le ricerche della stessa Nihon Hidankyo, morirono nel mese successivo per le ferite e le ustioni riportate. E gli effetti a breve e lungo termine sulla salute delle popolazioni colpite in termini di decessi e gravissime patologie sono incalcolabili. Ancora oggi vengono curati sintomi derivanti dal trauma dell'esposizione alle radiazioni.

Gli Hibakusha, "persone che sono state esposte alla bomba", termine composto da tre ideogrammi (hi) riceve/subire, (baku) esplosione, (sha) persona, e che fu preferito a "sopravvissuti", sentito come irrispettoso nei confronti dei morti, sono oggi circa 150.000. Per anni vennero tenute nascoste le conseguenze dell'attacco e loro vennero ignorati. E spesso isolati e rifiutati.

Seminare la speranza, coltivarla ogni giorno e contro ogni realismo disfattista: ecco il compito che ci affida don Tonino.

 

Ho detto che l'essere andato quest'estate in Venezuela mi ha sconvolto. Ho visto cose che non pensavo potessero verificarsi sulla terra. Ho visto piangere quelli di Molfetta che sono andati là, per via della recessione, nel debito estero, non possono più tornare indietro! Perché per loro pagarsi il biglietto dell'aereo significa lavorare per tre o quattro anni solo per quello.

Una donna anziana, che mi ha fatto tanta pena, mi ha invitato nella sua catapecchia. Lei a Molfetta non aveva più nessuno. Ricordo che le ho lasciato dei soldi. Quindici giorni dopo sono ripartito per l'aeroporto di Caracas; erano venuti in tanti a salutarmi.

Ho visto anche che c'era quella vecchietta. Le vado vicino e le dico: "Signora, e tu pure sei venuta?" Perché l'hai fatto?". Dice: "Mah, il vescovo della mia città, io non vedo più la mia città; come vorrei vedere la chiesa!". Poi mi ha preso la croce e l'ha baciata; ha baciato l'anello e ha detto: "Vedi che ti ho portato?". Lì siamo ai tropici e si coltivano le orchidee. Mi ha portato un pacchetto di cellophane e dentro c'era un'orchidea bellissima.

A cura di Nicoletta Dentico

L'approvazione della legge n° 86 sull'autonomia differenziata ha dato vita a profonde preoccupazioni per il futuro dei diritti e dell'uguaglianza in Italia. La legge, oggetto di un prossimo referendum, delega alle Regioni a statuto ordinario competenze in ambiti oggi amministrati dallo Stato. Cosa cambia rispetto all'attuale assetto normativo del decentramento previsto dall'art. 116 della Costituzione? Quali sono i motivi del dissenso rispetto all'autonomia differenziata? Perché è pericolosa per il Sud quanto per il Nord Italia?

 

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