A cura di Nicoletta Dentico

L'approvazione della legge n° 86 sull'autonomia differenziata ha dato vita a profonde preoccupazioni per il futuro dei diritti e dell'uguaglianza in Italia. La legge, oggetto di un prossimo referendum, delega alle Regioni a statuto ordinario competenze in ambiti oggi amministrati dallo Stato. Cosa cambia rispetto all'attuale assetto normativo del decentramento previsto dall'art. 116 della Costituzione? Quali sono i motivi del dissenso rispetto all'autonomia differenziata? Perché è pericolosa per il Sud quanto per il Nord Italia?

 

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Il necessario cammino per salvare il Paese.

 

Nei mesi passati, abbiamo affrontato il tema dell'autonomia differenziata con interventi di massimi esperti in materia. Occorre tornare sull'argomento dopo un'estate al fulmicotone. L'approvazione il 26 giugno della legge n° 86 – che blinda le disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell'articolo 116 comma 3 della Costituzione – ha rilanciato un fervido dibattito nel dialogo pubblico, con preoccupazioni unanimemente sollevate di nuovo da Banca d'Italia, Confindustria, autorevoli centri studio. Soprattutto, l'iter legislativo ha innescato l'attivismo di una miriade di realtà volto alla raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge. Un tour de force della società civile che tra il 25 luglio e il 15 settembre, incurante delle vacanze estive e della calura, ha raccolto un milione e 300mila firme, poi consegnate alla Cassazione (il 26 settembre) dagli esponenti del Comitato che ha dato vita a questo straordinario sussulto di partecipazione democratica.

Che cosa intendiamo con autonomia differenziata? Parliamo della facoltà, attribuita alle quindici Regioni ordinarie – escluse, quindi, le Regioni a statuto speciale – di ottenere competenze normative e gestionali in ambiti oggi amministrati dallo Stato centrale. Questa prerogativa, non prevista nel testo della Costituzione del 1948, è stata inserita dall'Ulivo nel 2001 con la modifica dell'articolo 116 riguardante l'ampliamento dei poteri delle Regioni (la famosa "riforma del Titolo V" della Parte II della Costituzione).

Il difficile dibattito sugli aspetti finanziari dell'autonomia differenziata.

  

Nell'ambito del dibattito sull'autonomia differenziata, alcuni degli aspetti più discussi sono probabilmente l'obiettivo di alcune Regioni di trattenere una maggiore quota del gettito fiscale nel territorio dove è stato riscosso e la questione della garanzia dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nel confronto di opinioni vengono usati termini quali "residuo fiscale", federalismo fiscale "simmetrico" e "asimmetrico", e, addirittura, materie "lepizzabili" e non "lepizzabili", probabilmente non di immediata comprensione. Di seguito si prova a chiarire questi concetti, esaminando i principali risvolti economico-finanziari del regionalismo differenziato e mettendone in luce alcuni aspetti controversi.

Il "residuo fiscale" consiste nella differenza tra le spese pubbliche erogate e le entrate raccolte in una determinata Regione. Tuttavia, il peso fiscale è sopportato dagli individui, secondo la capacità contributiva, indipendentemente dalla Regione di appartenenza, e, allo stesso modo, gli individui beneficiano delle spese per lo più sulla base di caratteristiche diverse dalla residenza (ad esempio l'età, lo stato di salute, il reddito). Le differenze tra i residui fiscali delle diverse Regioni non misurano, quindi, vantaggi o svantaggi indebitamente goduti o sofferti dai territori, ma sono piuttosto un indicatore delle differenze nella distribuzione territoriale dei redditi e dei fabbisogni degli individui.

Chi ha calcolato l'impatto della legge sull'AD sulla giustizia ambientale? 

 

La legge 86 del duo Calderoli-Meloni ha come obiettivo la devoluzione di 23 materie di competenza dello Stato alle Regioni. Parliamo di materie fondamentali che servono per attuare gli obiettivi indicati dalla Costituzione, al fine di garantire i diritti su tutto il territorio nazionale.

L'elenco delle materie che le 15 Regioni ordinarie possono richiedere allo Stato è davvero impressionante, investendo i principali aspetti delle nostre vite. Salute, istruzione, scuola, università, ricerca scientifica, lavoro, previdenza complementare, contratti, tutela dell'ambiente e del paesaggio, difesa del suolo, gestione delle acque, del servizio idrico, dei rifiuti, bonifiche, trasporti e distribuzione energia, infrastrutture, protezione civile, rischio sismico, commercio estero, agricoltura, pesca, sostegno alle imprese, ecc...

La domanda a cui le destre al governo si rifiutano di rispondere è questa: come potranno essere finanziate le politiche e i servizi pubblici nei territori con minore capacità fiscale se le Regioni con maggior gettito tratterranno sui rispettivi territori quote crescenti di compartecipazione? Perché questo è il punto: la devoluzione avviene senza risorse aggiuntive. L'impatto di un progetto del genere sarebbe catastrofico per tutti, non solo per il Sud, come confermano la Corte dei Conti, Banca d'Italia, Commissione Europea, CEI, Confindustria e altri.

Qualifica Autore: economista e politico italiano, ex deputato della Repubblica Italiana

L'autonomia differenziata fa male anche al Nord. Dati, ragioni e riflessioni.

 

L'autonomia differenziata (AD) è, secondo la nostra Costituzione (art 116, comma 3), l'attribuzione, su richiesta, alle Regioni a Statuto Ordinario (RSO) di "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" legislativa e organizzativa, insieme a una quota del gettito di una o più delle principali imposte nazionali (Irpef, Iva, Ires, ecc.) per finanziare la realizzazione dei servizi nelle funzioni attribuite.

In sostanza, è il trasferimento, alle Regioni richiedenti, di competenze legislative esclusive su materie di primaria rilevanza già oggi di "legislazione concorrente", ossia materie sulle quali il Parlamento approva i principi fondamentali, mentre le Regioni sono responsabili della disciplina specifica e dell'effettiva organizzazione sul e per il loro territorio: dai rapporti internazionali con l'Unione Europea al commercio con l'estero; dalla tutela e sicurezza del lavoro all'istruzione; dalla ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione; dalla tutela della salute alla previdenza complementare e integrativa; dalle grandi reti di trasporto e di navigazione alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; dal coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.

Inoltre, la competenza legislativa esclusiva, riservata allo Stato dalla Costituzione del 1948, può passare alle Regioni anche su alcune materie cardinali per l'unità sostanziale della Repubblica: le norme generali sull'istruzione e la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, oltre che l'organizzazione della giustizia di pace. Sono complessivamente 23 le materie completamente attribuibili a ciascuna Regione. Racchiudono circa 500 funzioni. Si aggiungono alle materie già di competenza esclusiva delle Regioni (ad esempio, larga parte delle politiche sociali).

Qualifica Autore: vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana

La parola della Chiesa di fronte all'autonomia differenziata.

 

Espressioni significative della Chiesa italiana hanno preso posizione sul tema ben prima che l'autonomia differenziata diventasse norma dello Stato, con l'approvazione della L. n. 86 del 26 giugno 2024. Il 5 marzo scorso, ad esempio, i vescovi siciliani hanno pubblicato un testo per esprimere le loro apprensioni relativamente ai contenuti del disegno di legge Calderoli, evidenziando i rischi per la tenuta della coesione sociale del Paese.

Gli stessi timori sono  stati espressi dal card. Zuppi che, nella introduzione ai lavori della sessione primaverile della CEI – che si è svolta qualche giorno dopo, dal 18 al 20 marzo – ha affermato che «suscita preoccupazione la tenuta del sistema Paese, in particolare di quelle aree che ormai da tempo fanno i conti con la crisi economica e sociale, con lo spopolamento e con la carenza di servizi». A questo riguardo, egli ha auspicato che «non venga meno un quadro istituzionale che possa favorire uno sviluppo unitario, secondo i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale, (…) nella consapevolezza che "il Paese non crescerà, se non insieme", come peraltro già ricordato in passato».

In occasione della Domenica delle Palme, il 24 marzo, anche la Conferenza Episcopale Calabra (CEC) è intervenuta sulla questione, presentando un documento in cui venivano espresse forti critiche nei confronti del regionalismo differenziato, in continuità con quanto i vescovi italiani avevano già espresso in passato, attraverso tre documenti, pubblicati rispettivamente nel 1948 (I problemi del Mezzogiorno, Lettera collettiva dell'Episcopato meridionale), nel 1989 (Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno) e nel 2010 (Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno) (Cfr. M. Prodi, Tre lettere dei Vescovi sul Mezzogiorno italiano, in Rassegna di teologia, 2/2020, 259-283, nda).

Qualifica Autore: docente e ricercatrice in politiche sanitarie e dei sistemi sanitari

L'AD esaspera gli squilibri sanitari già esistenti tra le diverse aree del Paese, a sfacelo del Servizio Sanitario Nazionale.

 

L'autonomia differenziata (AD) è da anni un punto centrale nei programmi elettorali di alcune forze politiche, l'inevitabile conclusione dopo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.

Tuttavia, si tratta di una riforma che solleva molte preoccupazioni.

Nel pantheon delle politiche neoliberiste, ci dice la letteratura economica, l'AD è un meccanismo per aumentare la competizione tra le Regioni, ridurre il ruolo dello Stato nel welfare pubblico, e frammentare i servizi per renderli più permeabili alle privatizzazioni.

Squilibri

Gli squilibri creati in trent'anni di federalismo sanitario ne sono la prova più evidente. Negli ultimi decenni, la sanità è stata il laboratorio sperimentale dell'autonomia regionale, e le riforme nate da questo processo sono diventate un modello per l'AD, nonostante abbiano lentamente eroso il principio di universalità e di equità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).


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