La realtà degli abusi nella Chiesa cattolica.

 

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Il grido di dolore del popolo palestinese  accolto da una delegazione in visita in Palestina.  È semplice: vogliono vivere liberi nella loro terra.

  

"Benvenuti a Taybeh! Ma la nostra Palestina è questa prigione che vedete. In realtà è sempre più difficile vivere per noi sulla nostra terra che da decenni è stata occupata e colonizzata. Infatti, ben prima del 7 ottobre non solo la guerra, ma anche la mancanza di diritti e ogni tipo di oppressione ci tolgono ogni speranza."

Non ci siamo ancora accomodati nel grande salone in stile arabo della parrocchia di Taybeh e il giovane parroco accoglie i tanti pellegrini dall'Italia con un saluto cordiale ma provato. Sono i giorni di fine giugno 2024 e nessun gruppo di stranieri è presente in Palestina, per la guerra che, a pochissimi chilometri da Taybeh, ancora sta uccidendo in un massacro dalle dimensioni mai viste nella storia moderna.

"La nostra 'catastrofia' – prosegue don Bashar intendendo la "catastrofe"/"Nakba" del 1948 – "dura da troppi anni perché per noi palestinesi non c'è una vita quotidiana normale, senza checkpoint, attacchi dei coloni e soprusi. Qui attorno a Taybeh sono ben quattro gli insediamenti da cui i coloni scendono per aggredirci, rovinarci le coltivazioni e le proprietà. I coloni purtroppo sono completamente liberi nell'aggredire le famiglie che raccolgono le olive e ogni settimana si verifica un nuovo attacco, con bastoni, fucili, armi, contro chiunque. Il punto è che fino a quando ci sarà l'occupazione non ci sarà futuro per noi."

La Diocesi di Bologna ha avuto il merito di rompere ogni indugio e partire con 160 persone, dal card. Zuppi a rappresentanti di ogni realtà ecclesiale, per un "pellegrinaggio di comunione e riconciliazione".

Ai giovani e ai meno giovani ricordiamo che oggi servono ancora più di ieri sogni inarrivabili e sognatori inarrestabili.

 

Siccome ci sono anche molti giovani, ai quali forse non dispiacerà, vorrei fare un accenno alla cultura dei sogni.

Vorrei ricordare dei versi bellissimi di Danilo Dolci, il sociologo di Partinico: "La città nuova inizia dove un bambino impara a costruire, provando a impastare sabbia e sogni inarrivabili".

Bisogna imparare a impastare la sabbia, le cose concrete; oggi sarà l'obiezione di coscienza al servizio militare; domani forse non servirà più, non sarà più un segno di protesta, non sarà più un segno paradossale, sarà spento forse nella sua valenza, perché ormai, generalizzato. Benissimo!

Non è obiettivo nostro l'o-biezione di coscienza; è uno strumento, un mezzo; l'obiettivo fondamentale è una società di pace.

Ecco, l'obiezione alle spese militari è uno strumento che oggi ci serve perché scuote le coscienze; scuote Indro Montanelli, scuote Spadolini, parlano questi e quest'altri.

Tra l'altro, questo problema adesso è presente anche nelle coscienze del magistero della Chiesa.

Donne protagoniste della Storia. Libere, coraggiose, voci fuori dal coro. A colloquio con Fiorella Carollo, promotrice di Woman Pride.

 

Si chiama Woman Pride ed è un progetto promosso da Donna Reporter (https://donnareporter.blogspot.com/), poi diventato libro. È un percorso di incontro e di voci, di cammini che si intrecciano. Abbiamo incontrato Fiorella Carollo, che lo ha immaginato prima e realizzato poi, per capirne di più.

Woman Pride è un progetto culturale, oltre che editoriale, che vede come protagoniste le donne. Qual è l'obiettivo del tuo progetto, l'idea base da cui parti?

Woman Pride è innanzitutto un libro, pubblicato l'8 marzo di quest'anno, ma è iniziato come progetto nel dicembre 2023 ed è diventato un programma ufficiale dell'associazione Donna Reporter di cui sono Presidente. L'obiettivo è dare visibilità alle donne protagoniste di cambiamenti, di movimenti e di azioni di pace. Donne, in altre parole, costruttrici di pace e non più, non solo, vittime. Ho raccolto numerose interviste, iniziate nel marzo del 2023, insieme a una campagna di crowdfunding, per finanziare il progetto nel suo insieme e la pubblicazione del libro. È un'opera editoriale abbastanza unica nel panorama italiano, perché libri di interviste che abbiano per oggetto le donne non ce ne sono, a meno che non siano famose; inoltre, di solito, i libri con donne protagoniste, parlano delle loro storie. Qui invece non ci sono solo storie ma idee, lavori, prospettive femminili. Non ho intervistato donne che ce l'hanno fatta, che hanno acquisito posizioni di potere per dimostrare qualcosa a qualcuno.  Ho intervistato donne perché, proprio in quanto tali, hanno maturato e portato avanti uno sguardo originale sulle cose del mondo, grazie al loro lavoro, grazie al fatto che per tanto tempo, alle volte per decenni, sono rimaste sul pezzo.

Qualifica Autore: Direttore responsabile

Non si può capire l'orrore della guerra senza analizzare la violenza del governo israeliano contro il popolo palestinese in questi ultimi cinquant'anni. Questo non significa giustificare quanto accaduto lo scorso 7 ottobre, con gli atroci crimini di Hamas, ma bisogna comprendere come questo sia anche la conseguenza dell'orribile violenza coloniale del governo israeliano nei confronti dei palestinesi.

Basta leggere la denuncia del teologo palestinese, il pastore Mitri Raheb, nel suo libro The decolonizing Palestine (Decolonizzare la Palestina) per rendersene conto. Oppure la scioccante denuncia di Francesca Albanese, relatrice dell'Onu sui territori palestinesi occupati, nel suo libro "J'accuse", che afferma che "gli ebrei sottostanno alla legge civile mentre ai palestinesi si applica la legge militare: ecco il dualismo legale che costituisce l'essenza dell'apartheid israeliana."

Che il regime di Israele fosse un sistema di apartheid lo aveva già affermato nel 2009 il documento Kairos Palestina firmato da tutte le Chiese presenti in Israele e dal card. Pizzaballa. Ora è ribadito anche dalla Corte internazionale dell'Aja.

Una proposta avanzata da numerose realtà del mondo ecclesiale e della società civile.

  

Prima c'era il Ministero della guerra, oggi abbiamo il Ministero della difesa. Ma questo non basta più nel nuovo contesto mondiale. Nessuna guerra è solo di difesa. Ogni conflitto estende quella che papa Francesco ha chiamato una "guerra mondiale a pezzi". Anziché concentrare tutte le risorse e tutto il proprio impegno sulle vere emergenze dell'umanità, in primis la povertà e il cambio climatico, ci si ammazza, si devastano interi territori, si creano muri sempre più spessi a dividere tra di loro nazioni e popoli. Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, osservava molti anni fa che "l'uomo ha sempre organizzato la guerra; è arrivata l'ora di organizzare la pace". Già nel 1994 don Oreste Benzi aveva formulato al Governo italiano la richiesta dell'istituzione di un Ministero della Pace, richiesta ripresentata nel 2001 in una lettera all'allora Presidente del Consiglio nella quale sottolineava che «questo nuovo Ministero dovrebbe coordinare una politica di pace da parte di tutti i Ministeri esistenti: un Ministero trasversale per organizzare la pace».

Oggi attorno a questa idea è nato un progetto politico e si è avviata una campagna "Ministero della Pace: una scelta di governo", appoggiata da molte realtà del mondo ecclesiale (Comunità Papa Giovanni XXIII, Azione Cattolica, Sermig, Focsiv, Istituto don Calabria…)  e della società civile (Movimento Nonviolento, Movimento Internazionale della Riconciliazione, Centro per i diritti umani dell'Università di Padova…), oltre che da una trentina di Premi Nobel. La richiesta che è stata avanzata al Governo e presentata anche al Presidente della repubblica Sergio Mattarella è quella dell'istituzione di un Ministero della Pace.

Qualifica Autore: benedettina

Il dono e la forza della pazienza per ascoltare e vivere appieno la complessità del tempo e delle relazioni. Da Dio apprendiamo uno stile di vita nuovo. 

 

Abbinata a mitezza e a misericordia, la pazienza caratterizza l'essere e la modalità dell'agire di Dio con il suo popolo. Paziente e misericordioso è il Signore (Salmo144, Es 34,6 e ss.)

La pazienza si dispiega nel tempo e custodisce, sostiene attesa e speranza. La pazienza di Dio si fonda sulla fiducia che Egli ha verso la sua creatura.

È tempo

Dire pazienza significa dire anche amministrazione del tempo: lettura del tempo, dei fatti, delle culture e delle dinamiche che si possono cogliere anche nel fluire, spesso un po' caotico e intermittente, del nostro tempo. In particolare, tale lettura esige il rilevamento delle criticità.

La pazienza, quindi, implica la "presa di distanza" dalle situazioni, dai problemi, dalle difficoltà, dalle pene e dalle gioie. Esige uno sguardo analitico e saggio. Tale distanza garantisce l'individuazione del bene comune e impedisce autoreferenzialità e giochi di proiezione delle proprie attese.

La pazienza è nemica della immediatezza.

Pazienza non è sinonimo di rassegnazione, di acquiescenza, non è l'anticamera di un atteggiamento dimissionario o delegante, ma, al contrario, è l'arte di collocarsi nell'ambito di responsabilità precise dinanzi alla realtà.

Qualifica Autore: comboniano, direttore responsabile

Prosegue il viaggio nella nonviolenza evangelica. Come restituire agli oppressi la forza di liberarsi dal giogo del sistema? 

 

Dopo il battesimo, sperimentato nelle acque del Giordano per mano del Battista, Gesù ritornò con la forza dello spirito in Galilea, sua patria. Non sappiamo quanto tempo Gesù deve aver trascorso con il Battista, ma l'impatto che Giovanni ebbe su di lui deve essere stato molto forte. Può darsi che prima di lasciare il Giordano, Gesù abbia fatto una prolungata esperienza nel deserto!

Non sappiamo se il soggiorno nel deserto sia storia o teologia. Certo è che gli uomini di Dio, nella tradizione biblica, facevano un periodo di deserto prima di iniziare la loro missione. È probabile che anche Gesù abbia fatto altrettanto anche se non sappiamo né dove né quando, né per quanto tempo.

Nel deserto Gesù deve aver maturato una lettura in profondità della realtà che il popolo d'Israele stava vivendo sotto il tallone dell'imperialismo romano e dell'aristocrazia sacerdotale del Tempio. Gesù deve avere intuito che il suo popolo era entrato nella "spirale della violenza" per usare una frase del noto vescovo brasiliano Helder Camera. Una spirale che inizia dalla violenza strutturale che schiaccia e abbruttisce un popolo, il popolo ebraico, spremuto come un limone da Roma, che operava sia attraverso l'aristocrazia sacerdotale sia attraverso i vari signorotti locali. Una violenza che Gesù vedeva quotidianamente con i suoi stessi occhi, proprio perché leggeva la realtà a partire dai poveri, dagli umiliati, dai miserabili. "Una distruzione strutturale e onnipresente delle possibilità umane, ma che spesso non è visibile a coloro che vivono una vita borghese", rammenta con finezza l'esperto americano R. Brown.

Qualifica Autore: già deputato della Repubblica Italiana

L'Unione Europea da ripensare: analisi e pensieri post voto per il Parlamento europeo.

  

Lo smottamento elettorale a destra, verificatosi con le elezioni del Parlamento europeo, non indica soltanto una significativa modifica degli equilibri politici interni all'Unione Europea, ma una tendenza complessiva che si è andata rafforzando da almeno un decennio e che la guerra in Ucraina, guerra nel cuore dell'Europa, ha piuttosto favorito invece che attenuato.

Il fatto, poi, che a subire in modo più evidente un "quasi" ribaltamento dei rapporti di forza tra europeisti e antieuropeisti siano i due Paesi leader come Francia e Germania, anche se in misura diversa, ci dice che non basta più minimizzare il fenomeno e proporre solo misure di adattamento.

Il paradosso nuovo e più drammatico è che l'Europa della guerra e del riarmo fino alla vittoria contro la Russia ha perso il suo baricentro rappresentato dall'asse franco-tedesco non a favore della pace, ma, piuttosto, a danno dell'Europa della democrazia e dello Stato di Diritto.

Insomma, la logica di guerra e dell'Europa fortezza, tanto cara a tutte le destre, si stanno legittimando a vicenda, mangiando la democrazia e lo stesso percorso di integrazione politica dell'Unione Europea che rimanendo poco più che una semplice somma di nazioni e nazionalismi è, e sarà sempre più, tenuta insieme dalla tenaglia militarista della Nato e costretta dentro una maggiore subalternità all'Alleanza atlantica. 

Qualifica Autore: già vicepresidente Pax Christi Italia

Ritratti di un vescovo, testimone coraggioso, impegnato per la giustizia e la pace, nell'Argentina infuocata dalla dittatura.

 

"Soltanto il Vangelo, con il commento della nostra vita". Così il card. Jorge Bergoglio conclude il ricordo di Enrique Angelelli nel 30° anniversario del suo assassinio, avvenuto il 4 agosto del 1976, dopo avere celebrato la messa a Chamical (diocesi di La Rioja, Argentina), in memoria di due suoi sacerdoti assassinati dai militari. Al volante della propria auto, per tornare a La Rioja, ha con sé una borsa di documenti che attestano le minacce che i due sacerdoti assassinati pochi giorni prima avevano ricevuto e provano che gli autori dell'eccidio sono le Forze Armate o i gruppi paramilitari ad esse collegati.

Alle due del pomeriggio, lungo la strada nazionale 38 (oggi ribattezzata Ruta mons. Enrique Angelelli), una Peugeot 404 affianca l'auto del vescovo e la spinge fuori strada, facendola ribaltare. Il corpo di mons. Angelelli verrà trovato a 25 metri di distanza, presumibilmente trascinato fin lì da qualcuno, che poi lo aveva colpito a morte. Subito la polizia dichiara che si tratta di un incidente stradale e il caso viene archiviato. Anche la Conferenza Episcopale avvalora questa versione.

La teoria dell'incidente stradale voleva chiudere subito ogni indagine sulle circostanze della morte di Angelelli. Nel 1983, con il ritorno della democrazia, la causa viene riaperta e nel 1986 il giudice Aldo Morales sentenzia che la morte di Angelelli è stata «un omicidio freddamente premeditato». I militari coinvolti possono beneficiare dell'indulto garantito dalle leggi 'Punto Final' e 'Obediencia Debida' del 1986 e del 1987. Solo dopo l'annullamento di tali leggi il processo può essere riaperto e nel 2006 finalmente la Chiesa si presenta come parte querelante. Nel 2014, il 4 luglio, vi è la sentenza con la condanna all'ergastolo degli alti gradi militari che erano stati i mandanti dell'assassinio del vescovo.

Qualifica Autore: ricercatrice associazione Antigone

L'aumento dei suicidi nelle carceri italiane, sempre più piene, sempre più chiuse. Il rapporto di Antigone. 

 

"Nodo alla gola". Così si intitola il XX rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione presentato lo scorso 22 aprile a Roma. Il quadro che emerge dal rapporto, frutto del lavoro di monitoraggio realizzato in circa 100 istituti penitenziari, è drammatico. Lo si evince sin dal titolo: in carcere è in corso una vera e propria emergenza suicidi. Con 59 (dato aggiornato al 22 luglio) casi da inizio gennaio, il 2024 rischia di superare il 2022 che – con 85 casi in totale – è passato alla storia come l'anno con più suicidi in carcere da sempre. Non possiamo non guardare tali numeri senza riflettere sul perché di questa crescita, tutte queste morti sono indicatore di un malessere di sistema. Dalle storie delle persone toltesi la vita in carcere emergono spesso situazioni di marginalità. Molti gli stranieri, molti quelli con problematiche psichiatriche, trascorsi di tossicodipendenza o senza fissa dimora.

È il caso, ad esempio, di un giovane ragazzo romano, di appena 21 anni, senza lavoro e costretto a vivere per strada. A luglio 2023 viene arrestato per furto, portato nel carcere di Regina Coeli e condotto in isolamento per una diagnosi di scabbia. Dopo neanche due mesi di detenzione, si è tolto la vita all'interno della sua cella.

Storie come questa sono lo specchio di una larga fetta della popolazione detenuta, composta da persone ai margini della società, di cui nessuno vuole farsi carico. Per evitare che, su situazioni già complesse, in carcere si abbattano anche solitudine e abbandono, alcune azioni sono possibili. In primis, una maggiore apertura ai rapporti con l'esterno liberalizzando le telefonate. Poter parlare con una persona cara in ogni momento può far tanto, soprattutto per chi si trova in una situazione di profondo dolore. Bisogna inoltre aumentare l'attenzione ad alcuni momenti del percorso detentivo, come l'ingresso e l'uscita dal carcere, entrambe fasi particolarmente delicate durante le quali avvengono numerosi casi di suicidi. Molte sono le persone che si tolgono la vita dopo una breve se non brevissima permanenza in carcere. È il caso, ancora, di un giovane trentaduenne, detenuto soltanto da un giorno nella prigione cagliaritana di Uta. Era stato arrestato per un furto da un veicolo in sosta. Ha trascorso una notte in cella, la seconda si è tolto la vita.

Qualifica Autore: consigliere nazionale di Pax Christi Italia

Le responsabilità del Nord del mondo in guerre più o meno dimenticate ma alimentate dai nostri interessi.

 

Che la guerra sia ormai ritenuta dai potenti di turno una "cosa possibile", o in ogni caso non una tragedia ma, al limite, una triste necessità, lo si percepisce facilmente in ogni occasione. "Prepariamoci a una guerra mondiale entro tre anni" aveva dichiarato a luglio Roly Walker, il nuovo capo dell'esercito britannico.

"Una guerra non è imminente ma non è impossibile", avvertiva Ursula Von Der nel febbraio scorso.

E anche il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, lo scorso mese di luglio ha rilasciato interviste durissime contro la NATO, o per meglio dire, contro il segretario Stoltemberg. No, non una critica alle scelte belliciste della NATO. Quelle non sono in discussione! Le critiche di Crosetto sono dovute a motivi di "poltrona": lo sgarro per aver nominato non un italiano ma uno spagnolo come inviato per il fronte Sud della NATO. Tranquilli: gli interessi della guerra e delle industrie delle armi sono salvi! Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha assicurato che si impegnerà per raggiungere il 2% del Pil per le spese militari (104 milioni al giorno). "A (ci vorrebbe accento GRAVE sulla A) la guerre", per dirla con la lingua delle recenti Olimpiadi parigine. Della tregua olimpica, tanto invocata da papa Francesco, purtroppo nemmeno l'ombra. Troppi interessi in campo!

Le guerre, le sue implicazioni e le connessioni con la salute globale. Perché la pace è collegata con i diritti.

  

All'indomani della guerra al terrorismo annunciata dal presidente George W. Bush, il corrispondente americano Chris Hedges, in uno sferzante saggio del 2002 dal titolo War is a force that gives us meaning (la guerra è una forza che ci restituisce senso), tratteggiava l'implacabile futilità della guerra puntando all'America accecata dagli attacchi dell'11 settembre 2001. Con rabbia struggente il racconto di Hedges stigmatizzava le benedizioni dei patriottismi di ogni estrazione, sempre uguali e reticenti ai più impercettibili brusii della dissidenza.

Sono effetti che non risparmiano nessuno. Lo sa bene Hedges. Troppo assidui i suoi incontri ravvicinati con il mestiere delle armi negli scenari bellici definiti dalla stessa aspirazione: l'annullamento del nemico. Lo aveva fatto prima di lui Blaise Cendrars, prendendo di petto la Prima guerra mondiale nei due racconti Ho ucciso, Ho sanguinato in cui, a conflitto ancora fresco, restituisce senza sotterfugi una rapida istantanea di sangue e putrefazione del campo di battaglia, e il girotondo infernale di un ospedale militare dove si intrecciano crudezza e carità, abiezione e resurrezione, istinto di sopravvivenza e pietà.

Guerre

Le guerre sono simili ai buchi neri, attirano e inghiottono ogni cosa. Che siano tradizionali o tecnologiche, asimmetriche o a bassa intensità, fanno sbiadire nella egemonia della violenza ogni pratica di umanità. La guerra, lo abbiamo testimoniato durante la pandemia, offre un immaginario che sembra quasi un destino, una koiné già consolidata di parole, strategie, schieramenti, oggettivamente difficile da soppiantare con parole nuove e altrettanto efficaci. Poggia, inoltre, su ingredienti collaudatissimi: il Potere, la Forza, gli Eroi, il male contro il bene. Un armamentario vorace eletto a spartiacque della Storia, così che quest'ultima ne viene quasi sempre travolta e mutilata.

In un libro di Angelo Maddalena racconti e tratti di monachesimo e di eremiti, di teologi e di cercatori, nella cornice di una Calabria inedita.

 

"Eremo e laura: Un sentiero in Calabria rivolto a Oriente" di Angelo Maddalena non è un diario convenzionale, ma un mosaico di esperienze, incontri e riflessioni che si snodano tra la quiete appartata dell'Eremo Le Sarre a Tortora e gli incontri con figure spirituali che punteggiano la Calabria. Attraverso la lente del suo personale cammino di "mistico errante", con uno stile colloquiale e ricco di aneddoti, Angelo ci accompagna in un viaggio affascinante, tra eremi, monasteri e comunità religiose, alla scoperta di una spiritualità autentica e profondamente radicata nel contesto sociale e culturale della nostra realtà contemporanea.

Uno dei temi centrali del libro è l'ospitalità radicata nella cultura calabrese. Maddalena la sperimenta ricevendo accoglienza e generosità da parte di numerose persone incontrate lungo il suo itinerario, come Biagio Accardi, artista che ospita eventi culturali nel suo "Ecocampo degli Enotri". Qui, tra spettacoli teatrali, conferenze e convivialità, Maddalena coglie l'essenza dell'ospitalità calabrese e la sua dimensione quasi sacra. Questo incontro rappresenta una sorta di preludio al suo "trasferimento" all'Eremo Le Sarre, un luogo che, pur nella sua apparente reclusione, si rivela un crocevia di incontri e di scambi.

Qualifica Autore: formatore e consigliere nazionale di Pax Christi

Ha senso parlare e agire la nonviolenza nella deriva bellicista attuale?

  

Credo che la nonviolenza (nv) oggi possa rappresentare una diga al dilagare della violenza a tutti i livelli.

È la stessa Storia a condannare la guerra come strumento risolutivo delle controversie tra gli Stati.

Lo abbiamo visto nella guerra che l'Occidente ha svolto in Afghanistan: i Talebani erano presenti prima e lo sono ora; cessate le ostilità, sono più agguerriti di prima.

In Siria s'è voluto soffiare sul fuoco del malcontento popolare alle angherie di un dittatore, con il risultato di uno Stato in cronico sfacelo. Idem per la Libia, per l'Iraq e per l'Ucraina dove ci sono i prodromi di uno Stato distrutto e totalmente asservito all'Occidente. Mi fermo qui per non dilungarmi sull'inefficacia dolosa dello strumento guerra e sulle gravi sofferenze inflitte alle popolazioni costrette a vivere una doppia oppressione: quella della guerra in quanto tale e quella dei governi che, noncuranti della reale sicurezza in termini della tutela del diritto alla vita, impongono costrizioni alle popolazioni per interessi geo-strategici, nonché economici o di semplice prestigio personale. Fattori che nulla hanno a che vedere con il bisogno delle persone di vivere in pace e di essere tutelate nel loro diritto all'integrità psico-fisica.

Qualifica Autore: teologo e saggista

Il contributo del teologo Paolo Ricca al cammino delle Chiese.

 

Ammettiamolo: si rischia la retorica nel ricordare Paolo Ricca, pastore valdese scomparso qualche settimana fa. Perché stiamo parlando non solo di un gigante della teologia attuale, ma – come l'ha definito Massimo Cacciari in un messaggio alla Tavola valdese – di "un grande studioso e prima ancora un uomo giusto nel senso più profondo del termine". Uno tzaddik, secondo la tradizione ebraica, la presenza contemporanea di 36 dei quali sostiene il mondo.

Ricca, in effetti, ha incarnato l'immagine del protestantesimo nazionale come nessun altro, è stato il suo volto più noto, apprezzato e autorevole. Figura chiave anche in ambito ecumenico, dopo aver seguito i lavori del Vaticano II come giornalista accreditato, diverrà membro della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC). Per anni insegnerà Storia della Chiesa alla Facoltà valdese: ma accanto all'attività accademica ci sarà quella di conferenziere in Italia e all'estero.

Assai apprezzati i suoi interventi alle sessioni del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche) fondato da Maria Vingiani, alle trasmissioni TV di Protestantesimo e a quelle alla radio di Uomini e profeti. Spesso diceva di sentirsi parte di quella Chiesa invisibile di cui era "diventato servitore, per annunciare nella sua totalità la parola di Dio" (Col 1,25). Lamentandosi del fatto che, nonostante le iniziative di dialogo in corso, il condominio cristiano è purtroppo ancora strutturato in appartamenti separati, dove ogni confessione vive per conto suo.

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Una Campagna di mediattivismo per dire no agli euromissili.

  

Dal 10 luglio scorso la questione degli euromissili è tornata prepotentemente alla ribalta, sollevando preoccupazioni e mobilitando un'ampia fetta della società civile. Occorre dare voce a questa mobilitazione, che vede il mondo della cultura e della pace coinvolti contro l'installazione dei nuovi euromissili. Qui ci occuperemo di come propagare la mobilitazione attraverso gli strumenti del mediattivismo digitale.

Ma cosa è successo il 10 luglio? Il penultimo giorno del vertice Nato di Washington è stata diramata una breve dichiarazione congiunta della Casa Bianca e del governo tedesco. In questa dichiarazione è stato annunciato il dispiegamento di missili in Germania. Cosa c'è di nuovo? Saranno missili in grado di raggiungere la Russia in profondità. È il ritorno degli euromissili. Con l'aggravante che ci saranno anche quelli ipersonici.

Già con la presidenza Trump gli Stati Uniti avevano stracciato lo storico trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) che aveva posto fine alla Guerra Fredda nel 1988. Un passo grave. Ma non era stato seguito da un dispiegamento di nuovi missili in Europa. Adesso c'è il passo concreto verso tale diffusione.

A cura della Redazione

La realtà degli abusi nella Chiesa cattolica è complessa e, purtroppo, di grande attualità. Dai casi eclatanti di pedofilia agli abusi fisici e di coscienza; dall'idea di potere e di autorità sottesa agli abusi alla struttura sistemica che li consente e che ritarda  nel far luce.  Proponiamo un dossier plurale, che dalla  attualità si apre a una riflessione  sulla gestione  del potere  e sul rapporto tra obbedienza e libertà. Quale Chiesa libera che viva relazioni simmetriche in una prospettiva di giustizia e rispetto di tutte le persone?

 

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