Cos’è l’Europa oggi? Come si è giunti dal Manifesto di Ventotene alla “teologia” della guerra?
Ma che cos’è oggi l’Europa? Di quale sostanza è plasmato il suo corpo, di che spirito si nutrono i suoi ordinamenti, di quale visione politica e morale essa è l’incarnazione? Se liberiamo questo nome, Europa, dall’involucro multicolore e luccicante con cui viene impacchettata, se ammainiamo la bandiera azzurra con la corona delle dodici stelle dorate, se spegniamo l’emozione dell’Inno alla gioia, ci troviamo sotto gli occhi un prodotto assai mediocre, un surrogato di pessima qualità, una caricatura burocratica di ciò che fu il “sogno a occhi aperti” degli Stati Uniti d’Europa. Semplicemente, dolorosamente, l’Europa non esiste.
Certo non esiste quella immaginata nel “manifesto di Ventotene” da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni: quella che sulle macerie di due conflitti mondiali e di decine di milioni di cadaveri giura di ripudiare, insieme alla guerra, il nazionalismo e i suoi complici (l’imperialismo, il colonialismo, il razzismo); quella capace di sottrarre sovranità agli Stati nazionali per proiettarsi, come soggetto politico unitario, sulla scena del mondo come “potenza di pace”. La verità è che siamo al cospetto di un progetto fallito. Il processo di unificazione è stato la classica montagna che ha partorito il topolino della moneta unica, Bruxelles è vieppiù divenuta la capitale di tutti i lobbisti al servizio dei grandi players dell’economia di mercato, la politica europea è stata sospinta verso la deriva della costituzionalizzazione degli “arcana imperii” del dominio neo-liberale.
E il sadismo sociale delle politiche di austerity - dopo anni di cessione al privato di pezzi di welfare e di “beni comuni” - ha allargato sempre più il fossato tra le istituzioni comunitarie e la cittadinanza continentale. La speranza che, con l’importante reazione alla pandemia del Covid, fossimo a una svolta, a una nuova fase costituente dell’Unione, è durata poco: finita l’emergenza socio-sanitaria gestita con gli stanziamenti del Next generation EU, tutto è tornato alla solita routine, con l’aggravante che sono state declassate le politiche green ed è resuscitato, sotto le mentite spoglie dell’energia rinnovabile, il nucleare. E, infine, oggi le classi dirigenti europee si consegnano (ci consegnano) agli interessi del complesso industriale-militare, in un mappamondo che è sempre più condannato a ruotare sull’asse teologico della guerra (che è sempre legittima, necessaria, igienica e soprattutto santa, almeno a sentire i proclami di tutti i guerrafondai d’Oriente e d’Occidente). Chi parla di Spinelli mentre indossa l’elmetto e lucida missili compie un vilipendio di cadavere.
Un buco nero
Il ritorno di un golpista conclamato alla Casa Bianca, supportato da una vorace plutocrazia, ha inaugurato un inedito ciclo storico, proiettandoci in un’orbita di tecno-feudalesimo. Perché siamo finiti in questo universo distopico di bulli tecno-fascisti? Occorrerebbe un’analisi acuminata e una discussione impietosa: che stenta a imporsi. Eppure era prevedibile e previsto il successo del tycoon a “stelle e strisce”, e non è stata certo una sorpresa il consenso alle destre estreme da noi. Chiedo: ma se i poveri votano i ricchi, non sarà perché la sinistra si è persa per strada la centralità della “questione sociale”? Non c’entra forse la complicità dei progressisti con le politiche migratorie della destra, o con l’inseguimento degli slogan securitari sulla pelle dei poveri e dei marginali? E non c’entra la guerra in questo sconquasso di ciò che chiamiamo civiltà?
L’ossessione della guerra ha consumato Biden e il suo partito, largamente finanziato da quei produttori di armi la cui generosità, come tutti sanno, è bipartisan: se poi da un lato si arma l’aggredita Ucraina e, allo stesso tempo, si arma Israele per l’immane massacro di Gaza, allora diventa naturale ruzzolare giù dalle scale della propria credibilità. La guerra, in società segnate dalla precarietà della vita, cancella la speranza e il futuro: non è così? In verità sarebbe cruciale per tutti oggi rifare i conti con il nodo pace-guerra, tornare a guardare l’intero Novecento dalla finestra di Sarajevo, rammentare i nostri peccati balcanici, riaffacciarsi sui Paesi del Golfo persico, rimeditare sulla grande menzogna sottoscritta da Tony Blair con cui si mandarono al mattatoio centinaia di migliaia di sudditi di Saddam, chiedersi se le guerre “democratiche” e “umanitarie” hanno migliorato o peggiorato la vita di iracheni, afgani, libici, siriani, e di noi tutti. Perché forse è qui il nodo vero: la guerra alimenta un radicale regresso civile, culturale, sociale e genera un immiserimento tribale del linguaggio e dei comportamenti.
La posta in gioco
Trump alla Casa Bianca ha subito rotto il giocattolo dell’ideologia occidentalista, rovesciando quel manicheismo d’ordinanza per cui occorre sempre bombardare il Satana o l’Hitler di turno, e giungendo a fare di Putin l’alleato del cuore e di Zelensky un reietto. E svelando quale fosse la vera posta in gioco della guerra russo-ucraina: non i valori, i diritti, i principi e altre magnificenze, ma le terre rare, il titanio, il litio e altre munificenze. Di colpo il West globale ha perso il suo smalto e il suo racconto, la globalizzazione si è mostrata per quello che è: dominio globale della ricchezza speculativa e finanziaria e disintegrazione progressiva dei diritti sociali.
E il capitalismo, che era stato rappresentato come culla della liberal-democrazia, ha rapidamente introiettato lo spirito dei tempi, inspirando l’ebbrezza di società senza vincoli e senza tabù: il profitto d’impresa e la proprietà privata sono l’unico sole che deve scaldare la post-modernità, la vita e il vivente non sono altro che mere funzioni della produzione e del consumo. Tutto il resto è noia, vacua retorica, “buonismo”.
Qui il vitello d’oro e il Dio giustiziere dei tele-predicatori convivono. In questo universo innanzitutto semantico (e poi certo anche politico) la proposta di Ursula von der Leyen di riarmo non è una reazione in opposizione a Trump e a ciò che rappresenta, piuttosto è un atto di soggezione. Il piano da 850 miliardi di euro è un pugno nello stomaco degli affamati, degli ammalati, dei vulnerati, e ci allena a scenari apocalittici. E così facendo uccide il senso stesso dell’Europa: per questo è urgente chiamare le coscienze alla diserzione e all’obiezione di coscienza. Dobbiamo ridare nutrimento alla cultura del dialogo e del disarmo. Senza mai dimenticare la più impegnativa delle beatitudini: “beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”.
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