Raccontiamo Pax Christi International, in occasione dei suoi 80 anni di vita.

Volti, voci, strade, segni e sogni di un movimento per la pace

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Qualifica Autore: direttore responsabile Mosaico di pace

Il Disegno di legge Sicurezza (DDL) del governo Meloni, in esame ora al Senato, è un provvedimento molto articolato che mina i diritti fondamentali e aumenta le tensioni sociali con l’introduzione di nuovi reati e aggravanti, affollando ancora di più le carceri italiane.

Tra questi c’è la norma “anti Gandhi”: si configura sia un reato di protesta nonviolenta nelle carceri o nei centri di accoglienza per i migranti, reato sia per i sit-in su binari e autostrade nel caso di proteste contro la Tav e il Ponte sullo Stretto di Messina.

La norma di fatto proibisce l’utilizzo di quei metodi nonviolenti che Gandhi aveva praticato per ottenere l’indipendenza dell’India dal giogo coloniale britannico.

È un disegno di legge che mina i diritti fondamentali e aumenta le tensioni sociali.

Gandhi aveva scoperto la via della nonviolenza attiva leggendo il libretto del grande scrittore russo, Tolstoj: “Il regno di Dio è in mezzo a voi.” La nonviolenza attiva è un’intuizione profondamente gesuana che è stata praticata dalle prime Comunità cristiane, poi abbandonata, dopo Costantino.

Qualifica Autore: gesuita, mediatore penale

La dinamica di conflitto e scioglimento tra Giacobbe e Labano.

 

Fuggendo dall’ira del fratello Esaù, Giacobbe arriva da suo zio Labano e da lui si fermerà per vent’anni: “Vent’anni sono stato in casa tua: ho servito quattordici anni per le tue due figlie e sei anni per il tuo gregge e tu hai cambiato il mio salario dieci volte” (Gen 31, 41). L’incontro tra loro è ambiguo fin dai suoi esordi. Giacobbe – che si impone fin dalla sua nascita come personalità spregiudicata, capace di ordire inganni senza troppe remore o scrupoli – conosce, a sua volta, nel lungo periodo presso lo zio Labano, le sconfitte e lo scacco umiliante dell’inganno: l’ingannatore ha sperimentato l’inganno! Tuttavia, proprio in questa situazione difficile, precaria, ingiusta (“hai cambiato il mio salario dieci volte”, Gen 31,41), Giacobbe ha fatto l’esperienza profonda di un Dio vicino – “Se non fosse stato con me il Dio di mio padre…” (Gen 31,42) – e la sua benedizione.

Giacobbe sente che è l’ora di tornare (“il volto di Labano non è più come prima”, Gen 31,2) e anche Dio interviene invitandolo a tornare. Questa partenza assume il profilo di una fuga e di un successivo inseguimento fino a che Labano e Giacobbe sono uno di fronte all’altro. “Che hai fatto?”, è l’esordio della requisitoria di Labano contro Giacobbe, “Perché sei fuggito di nascosto? ...”: inizia qui il conflitto aperto, il litigio bilaterale che nell’ebraico biblico è noto come il Rîb, la controversia che si svolge in un confronto aperto e diretto tra le parti senza la presenza di un terzo, il giudice.

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Il movimento pacifista nell’era digitale.

 

I social network sono spesso percepiti come potenti strumenti di connessione e visibilità. Tuttavia essi rappresentano più un’illusione che una risorsa. Questo è il paradosso evidenziato nel nostro precedente articolo di Chiave d’accesso: piattaforme come Facebook, X (ex Twitter) e Instagram sembrano amplificare il messaggio di alcuni, ma lasciano nell’oblio la maggior parte dei contenuti condivisi dai cittadini comuni. 

L’indicizzazione

Per comprendere il fenomeno, è essenziale spiegare il concetto di indicizzazione. I motori di ricerca, come Google, utilizzano algoritmi per analizzare e catalogare i contenuti disponibili sul web. Solo i contenuti che superano determinati criteri di rilevanza vengono inseriti negli indici, rendendoli così facilmente rintracciabili. Su Facebook, la maggior parte dei post non viene indicizzata, finendo in una sorta di “pattumiera digitale”. Solo i post di politici, cantanti, influencer e figure di spicco riescono a superare questa barriera, mentre quelli dei cittadini comuni sono relegati a un perenne stato di invisibilità.

Una storia di impegno per ritrovare la speranza in tempi difficili.

 

Perché proprio ora? Perché un manipolo di ostinati pacifisti volge lo sguardo (anche) all’indietro, verso le origini, la storia, le vittorie e le sconfitte del movimento per la pace, nel tempo in cui la guerra – anzi, la guerra di sterminio contro i civili – torna ad essere la regola (più che la tragica eccezione) dei rapporti internazionali? Perché ora, quando in molti, troppi Paesi sembrano prevalere il nazionalismo, lo sciovinismo, le culture dell’odio e il mito della forza che nel secolo scorso portarono l’Europa e il mondo nell’abisso?   

Il sito-portale-archivio Paceinmovimento (in rete da dicembre: www.paceinmovimento.it) potrebbe sembrare un atto di nostalgia, il ricordo commosso degli anni in cui le bandiere arcobaleno coloravano le piazze di ogni parte d’Italia. Un pizzico di commozione c’è senz’altro, almeno per le foto che ritraggono le ragazze e i ragazzi che animarono le manifestazioni, le catene umane, i “presidi nonviolenti” e le (vere) missioni di pace in Jugoslavia o in Israele-Palestina, e ora hanno più di un capello bianco.

Tom Benetollo

Ma no, non è nostalgia. È piuttosto l’ennesimo regalo che ci ha fatto Tom Benetollo, animatore instancabile del movimento per la pace, dal 1980 fino alla sua morte improvvisa vent’anni fa: l’anniversario ha “costretto” molti di noi a scuoterci da un torpore rassegnato per ritrovare insieme l’impegno e la speranza. Paceinmovimento non è un sito su Tom (anche se ci sono molte bellissime pagine che lo ricordano), ma è dedicato a Tom da chi ha avuto la fortuna di condividere con lui un fondamentale pezzo di strada e da chi ne ha semplicemente sentito parlare dopo la sua scomparsa. 

Qualifica Autore: vicepresidente Pax Christi Italia

Pax Christi Italia e il convegno di fine anno: un invito all’approfondimento, alla riflessione e all’azione su nuove possibili economie di pace.

 

Riproponiamo una sintesi di quanto scritto da mons. Bettazzi (deceduto il 16 luglio 2023), quando ricopriva l’incarico di presidente internazionale di Pax Christi.

Sono qui come testimone della 57a Marcia nazionale per la Pace che ogni anno la Conferenza Episcopale Italiana organizza insieme a Pax Christi e ad altri compagni di viaggio come Caritas Italiana, Azione Cattolica, movimento dei Focolarini, Agesci, Libera. Quest’anno la Marcia si è svolta il 31 dicembre nella città di Pesaro, organizzata assieme alla diocesi di Pesaro che ci ha accolti con grande entusiasmo e partecipazione. Prima della Marcia, come ogni anno, è stato organizzato da Pax Christi Italia un convegno che aiuta a riflettere sul messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio.

Il Convegno ha ripreso il titolo del messaggio papale: “Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace”. Sono state tante le suggestioni e le parole condivise dai relatori: da don Bruno Bignami a Laila Simoncelli a Carlo Cefaloni e tanti altri compagni di viaggio con i quali si cammina per costruire un mondo fatto di nonviolenza che può condurre alla pace.

Qualifica Autore: Caritas Italiana

Il Rapporto Immigrazione 2024: tra difficoltà e opportunità per l’integrazione in Italia.

 

Al 1° gennaio 2024, l’Italia conta più di 5 milioni e 300 mila cittadini stranieri residenti, un numero in crescita del 3,2% rispetto all’anno precedente, con un’incidenza del 9% sulla popolazione totale. Questi numeri, presentati nell’ambito della XXXIII edizione del Rapporto Immigrazione realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, evidenziano la crescente importanza dell’immigrazione nel nostro Paese, che diventa sempre più una componente cruciale della nostra società. Tuttavia, al di là dei numeri, le sfide e le opportunità per l’integrazione sono numerose, a partire dal mondo del lavoro e della scuola, fino alla questione della cittadinanza e dell’appartenenza religiosa.

La demografia

I dati dell’Istat mostrano che la comunità straniera in Italia è composta principalmente da cittadini rumeni, marocchini e albanesi, che da anni occupano le prime posizioni nelle classifiche per numero di residenti. Tuttavia, altre nazionalità, come gli ucraini, gli egiziani, gli indiani e i tunisini, stanno vedendo un aumento significativo, a testimonianza di come la composizione della popolazione straniera si stia diversificando. Ferme restando alcune nazionalità di storica presenza in Italia, ci sono una notevole variazione e un continuo avvicendamento di anno in anno fra quelle di più recente arrivo, che evidenziano una certa tendenza a caratterizzare l’Italia anche come Paese di transito.

La questione della cittadinanza rimane un altro punto cruciale del rapporto. Oltre 200.000 stranieri hanno ottenuto la cittadinanza italiana nel 2023, dato che conferma una tendenza consolidata. La maggior parte di questi, infatti, ha acquisito la cittadinanza non attraverso la residenza continuativa o il matrimonio con un cittadino italiano, ma tramite altre modalità, come nel caso dei giovani nati in Italia, che si inseriscono sempre più come cittadini a pieno titolo. Questo fenomeno rappresenta un aspetto fondamentale del processo di integrazione, poiché la generazione di giovani “nuovi italiani” potrebbe costituire una risorsa preziosa per il futuro del Paese, contribuendo sia alla sua crescita economica che alla sua coesione sociale.

La strada dell’arte per raccontare al mondo la follia delle guerre. Si può partire dai musei per costruire la pace? A colloquio con Gianmarco Pisa.

 

Gianmarco Pisa è un operatore di pace, impegnato in progetti di ricerca-azione per la trasformazione dei conflitti, nell’ambito di IPRI-CCP (un’associazione di promozione sociale – Istituto di ricerca per la pace – Corpi Civili di Pace, www.reteccp.org). Ha partecipato a diverse azioni di pace nei Balcani, per Corpi Civili di Pace in Kosovo, e nello scenario europeo e internazionale. Gli abbiamo rivolto alcune domande sul suo ultimo ambito di ricerca – Musei per la pace.

Ogni comunità, anche la più piccola, sente la necessità di allestire un museo per preservare la propria memoria del passato e trasmetterla alle nuove generazioni: può un museo diventare anche un luogo per intraprendere iniziative di costruzione di pace, soprattutto in questo momento storico in cui le guerre ci sono vicine come “una terza guerra mondiale a pezzi”, con le parole di papa Francesco?

La preservazione e la trasmissione della memoria, il trasferimento dei contenuti del patrimonio storico, di generazione in generazione, sono esigenze essenziali per ogni comunità, proprio perché ogni comunità è una comunità vivente, ed elementi costitutivi della propria vitalità sono il riferimento a un comune passato, la partecipazione collettiva a miti, riti, funzioni, pratiche memoriali e celebrative, la condivisione di un senso di appartenenza non in senso esclusivo o escludente, da “fortezza assediata”, ma in senso accogliente e aperto, come “ponti di dialogo”, occasione di incontro con l’altro e le differenze, di rispetto e di conoscenza.

Un museo, come luogo deputato alla conoscenza e alla condivisione del patrimonio storico, può “naturalmente” diventare un luogo di costruzione di pace, proprio in virtù dei contenuti che espone e veicola all’esterno, nella società, e grazie alle iniziative di educazione e di sensibilizzazione che organizza. In questo, risponde, se vogliamo, alle premesse della costituzione dell’UNESCO, che ci ricorda che “poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che le difese della pace devono essere costruite”. Un museo orientato alla pace è, in fondo, un vero e proprio laboratorio di cittadinanza e può rappresentare un contesto di grande interesse per gli operatori e le operatrici di pace.

Libera informazione e media: intervista a Raffaele Oriani.

 

In occasione della 47a Giornata di solidarietà con il popolo palestinese, promossa da Pax Christi Italia a Bari lo scorso 30 novembre, abbiamo potuto conoscere e ascoltare Raffaele Oriani, giornalista, autore di Gaza, la scorta mediatica. Come la grande stampa ha accompagnato il massacro e perché me ne sono chiamato fuori (People, 2024). Lo abbiamo intervistato sulle ragioni delle sue dimissioni da Repubblica, sulla narrazione mainstream della guerra in Palestina e sul difficile lavoro del giornalista oggi.

Circa un anno fa, di fronte a quanto accadeva (e accade) a Gaza e alla narrazione mediatica della guerra, lei ha presentato le dimissioni a Repubblica: perché? Ci può commentare questa sua scelta, coraggiosa, a distanza di un anno?

È passato esattamente un anno ma posso ricostruire facilmente le motivazioni di allora perché sono purtroppo valide tuttora. Come assiduo collaboratore del gruppo Gedi e del Venerdì di Repubblica, avvertivo di non essere al posto giusto nel momento in cui la guerra di Gaza si era trasformata in conclamato e generalizzato sterminio. Sentivo molto semplicemente che il sistema mediatico per cui lavoravo era parte integrante dello stesso dispositivo politico e culturale che rendeva e rende possibile lo sterminio stesso. Nella lettera con cui prendevo congedo dai miei colleghi parlavo di “reticenza” di fronte alla drammaticità degli eventi. Oggi userei un’espressione meno sfumata e sarei in dubbio se parlare di indifferenza, censura o complicità.

Qualifica Autore: Centro Pace Forlì

L’Afghanistan dei talebani: vite spezzate e diritti calpestati.

 

L’evento “L’Afghanistan dei talebani: prospettiva di un viaggiatore”, organizzato dal Centro Pace di Forlì lo scorso mese di ottobre, ha riscontrato una numerosa partecipazione. L’incontro, mirato a riaccendere interesse verso un Paese così lontano tramite le foto e i video del viaggio, non ha però dimenticato di denunciare la crisi umanitaria in atto nel Paese.

La scelta di viaggiare in una nazione come l’Afghanistan, infatti, può sembrare agli occhi di molti strana dato che negli ultimi 50 anni è stata caratterizzata, a più riprese, da invasioni, guerre, cambiamenti politici e violenza.

Il conflitto

La situazione in Afghanistan è mutata nuovamente con la ripresa del controllo di Kabul da parte dei talebani, il 15 agosto 2021. Vent’anni di conflitto con la coalizione internazionale sono terminati disastrosamente in poche ore: il Governo di Unità Nazionale, finanziato e supportato dall’Occidente, non è riuscito a superare la pressione talebana e a mantenere l’autorità. Inoltre, l’accordo di Doha, stipulato tra i talebani e gli Stati Uniti nel febbraio del 2020, non ha portato, come auspicato, all’apertura di negoziati di pace tra talebani e governo in carica.

È stato così che, territorio dopo territorio, i talebani sono riusciti a riprendersi la capitale, quasi senza incontrare resistenza. Nello stesso mese la maggior parte degli oppositori politici, tra cui il presidente Ashraf Ghani, fuggirono dal Paese e i restanti sono stati pressoché eliminati. Con l’uscita di scena definitiva degli Stati Uniti, il 31 agosto dello stesso anno, i talebani sono rimasti quindi l’unica forza politica del Paese, senza opposizioni. Così, oggi, circa centomila talebani tengono sotto scacco 40 milioni di afghani.

In occasione del Giubileo delle Forze Armate, torniamo sull’annosa questione dei “sacerdoti con le stellette”.

 

Dopo il primo appuntamento con il mondo della comunicazione, del 24-26 gennaio, il secondo evento giubilare è stato, 8-9 febbraio, quello delle Forze Armate, di Polizia e Sicurezza. Invitati, insieme ai loro familiari, tutti gli appartenenti alle forze militari e alle forze di polizia, i vigili urbani, gli operatori di sicurezza, i veterani, le diverse associazioni militari, accademie militari, cappellanie e ordinariati militari. 

Sogni

Senza entrare nel merito del significato profondo del Giubileo, la conversione e tante altre sottolineature, si può dire che stride, per usare una parola delicata, questo evento giubilare con il messaggio profondo del Giubileo biblico e anche con le stesse parole di papa Francesco che, nella bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, Spes non confundit, al n. 8 scrive: “È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”

Non si vuole aprire una riflessione su tutte le forze di polizia e di sicurezza, sulle forze armate, sul mondo “militare”. Abbiamo tutti davanti agli occhi le tragedie di questi tempi.

Le guerre non riusciamo più neanche a contarle.

Morte, distruzioni, bombardamenti con ogni tipo di arma, e via dicendo. E poi le spese militari: solo nel 2023 la spesa mondiale per le armi è stata di 2.443 miliardi di dollari, poco meno di 7 miliardi al giorno. E c’è chi vuole portare anche in Italia questa spesa almeno al 2% del Pil… Una percentuale troppo bassa per le richieste del nuovo inquilino della Casa Bianca. Si chiede di raggiungere il 5% da parte dei Paesi membri della Nato. E poi c’è il rinnovo dell’invio delle armi in Ucraina, da parte dell’Italia. Un invio totalmente secretato. E i progetti di nuovi armamenti, investimenti, soldi.

Qualifica Autore: docente di Storia e Filosofia

Si può vivere in paradiso sapendo di avere l’inferno accanto?

 

“Si può vivere in paradiso sapendo di avere l’inferno accanto?” si chiede Gad Lerner nel suo recente volume Gaza. Odio e amore per Israele (p. 89). 

Tel Aviv è una città moderna con il lungomare affollato di giovani, con locali alla moda e dove ormai i grattacieli sovrastano il piccolo edificio in cui Ben Gurion lesse la Dichiarazione d’indipendenza dello Stato d’Israele, mentre Gaza è ormai un cumulo di macerie. Eppure Tel Aviv dista appena 92,7 Km dalla Striscia di Gaza.   

Identità

Gad Lerner nel suo volume insiste sulla discutibile idea di far coincidere l’identità ebraica con Israele, tanto da far diventare la stessa diaspora un fenomeno da debellare. Il sionismo così diventa l’unica possibile soluzione a tutti i problemi degli ebrei sparsi per il mondo. “Questa visione […] israelocentrica dell’ebraismo – scrive – è uno dei fatti nuovi con cui dobbiamo fare i conti. L’idea, cioè, che Israele non sia solo un potente centro aggregatore, ma lo sbocco in cui trovare annullamento e superamento di ogni altra millenaria espressione di ebraismo dispersa ai quattro punti cardinali della Terra”.

Qualifica Autore: Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne

Per un’aurora della reciprocità tra maschile e femminile.  

 

“Famiglie contadine già numerose pigliavano la garzona. Possibile che su undici persone mancasse un ragazzuccio da mandar con le pecore […]? Eppure, scorrendo a caso gli Stati d’Anime della fine dell’800, troviamo le garzone di 13, 16, 17 anni e due soli garzoni maschi! […] Sono povere figliole che scendevano dai monti in cerca di pane. Erano ufficialmente addette alle pecore, ma abbiamo motivo di ritenere che la loro mansione fosse un’altra. Un vecchio ottantenne mi dice infatti che molte ‘ci restavano’”. Parole di don Milani, il quale sarcasticamente commenta: “Il fatto deve essere sfuggito al pievano del 1822, che scriveva: ‘Tutti questi miei parrocchiani conducevano una vita morale’” (Don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, 1957, pp. 333-34, nda).

Si scivola via con ironica nonchalance sull’argomento, non merita troppa attenzione! Un peccatuccio veniale, in fondo! Non sto infangando la memoria del mitico parroco di Barbiana, che fu e rimane, anche per me, un astro nel panorama italiano e non solo. Ma non si può non evidenziare come anche lui sia stato insensibile alle questioni di giustizia di genere, impressione confermata in altri passaggi del libro, dove comunque si mostra un pregiudizio e una insensibilità a riconoscere le sofferenze delle donne e una loro piena soggettività.   

L’offesa ripugnante alle ragazzine – esercitata dai contadini maschi toscani – diveniva una sopraffazione ancor più marcata per la superficialità con cui era interpretata. La sua gravità sembra rimanere estranea alle ardenti stigmatizzazioni sulle ingiustizie sociali ed ecclesiali pronunciate dal parroco di Barbiana.

Qualifica Autore: Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole

Ex-combattenti israeliani e palestinesi uniti nell’impegno per la pace.

 

Il titolo “Combattenti per la pace” potrebbe apparire vagamente militaristico e inopportuno per un libro che nasce nell’alveo delle pubblicazioni nonviolente e pacifiste promosse da una casa editrice come Multimage, nota per l’impegno civile e sociale ad ampio raggio, invece, il volume, curato da Daniela Bezzi, illustra il lavoro difficile, ma costante e talvolta utopistico, di un gruppo di palestinesi e israeliani impegnati nel cercare di invertire, insieme, la narrazione piena di odio che, da decenni, ormai li porta a contrapporsi e a scontrarsi in un fazzoletto di terra tristemente noto.

E Combattenti per la pace è proprio il nome che, come ricorda Luisa Morgantini nell’Introduzione, questo gruppo di ex soldati israeliani e di ex militanti palestinesi, scelgono durante le riunioni segrete a Betlemme nel lontano 2005 per sostenere una trasformazione possibile e profondamente esistenziale che li conduce oltre la vita di ex combattenti e li traghetta verso la scelta di abbracciare in maniera definitiva la nonviolenza.

Il saluto finale ai partecipanti a una Route di Pax Christi International.

  

Carissimi amici, siate i benvenuti nella nostra città.

Grazie per il messaggio che voi ci portate. Esso è duplice ed è legato a due scelte precise di questa Route (pellegrinaggio promosso da Pax Christi International dal 21 al 28 luglio 1985, concluso nella città di Molfetta).

Anzitutto, voi, per annunciare la pace, avete scelto le strade. Non i pulpiti delle chiese. Non i palchi delle piazze. Non le tribune dei teatri.

C’è un antico sapore di Vangelo in questo stile. “Strada facendo, predicate che il Regno dei Cieli è vicino”.

Strada facendo. Quasi per dire che qui in terra la pace è un itinerario sempre incompiuto e mai un traguardo pienamente giunto.

Strada facendo. Quasi per dire che il cantiere della pace ferve là dove si snoda il traffico della vita quotidiana e povera.

Non nelle cancellerie dei potenti. O nei trattati delle diplomazie. O negli astuti compromessi delle delegazioni.

Qualifica Autore: professoressa ordinaria di Diritto costituzionale, Università di Torino

Il disegno di legge sicurezza e la deriva autoritaria.

  

La sicurezza, come sicurezza dei diritti, sociale, sul lavoro, è sostituita dalla sicurezza come ordine pubblico; lo stato sociale diviene stato penale; la valorizzazione della partecipazione e del dissenso come necessario in una democrazia (Bobbio) si muta in repressione e criminalizzazione della critica e dell’agire alternativo.

Al pluralismo, alla discussione, alla mediazione politica si sovrappone la logica dicotomica amico-nemico; l’inclusione e il riconoscimento delle differenze (al netto delle diseguaglianze economiche e sociali) sono surrogate dall’espulsione, sociale e politica; la partecipazione è mistificata da affidamento e delega (il riferimento al disegno di legge costituzionale sul premierato, Atto Senato n. 935, con l’ossimorica democrazia del capo, è voluto).

Il disegno di legge sicurezza in discussione (Atto Camera n. 1660, Atto Senato n. 1236) si inserisce in un processo di deriva autoritaria in corso da anni, accelerandone tratti e intensità, sì da suscitare allarme anche nella comunità internazionale: dall’OSCE al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, alla posizione di sei special rapporteurs sui diritti umani delle Nazioni unite.

Lo scivolamento verso l’autocrazia è segnato dalla costruzione del nemico, seguendo un trittico – dissenzienti, poveri e migranti – che ritorna nei vari provvedimenti (legge sulla sicurezza n. 94 del 2009, governo Berlusconi; pacchetto “Minniti”, 2017; decreti Salvini, 2018-2019; decreto rave, decreto Cutro, decreti Caivano e Caivano bis, legge n. 6 del 2024, c.d. “eco-vandali”, con il governo Meloni). Il disegno di legge n. 1660 non fa eccezione: prevede nuovi reati che reprimono il dissenso, criminalizzano la povertà e discriminano i migranti.

Mi limito ad alcuni esempi. L’articolo 14 del disegno di legge prevede che sia punito «l’impedimento alla libera circolazione su strada», ovvero il blocco esercitato con il proprio corpo (con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, se compiuto, come è normale, da più persone). Il blocco stradale (e ferroviario) è un mezzo attraverso il quale si esprimono il dissenso, il disagio sociale, il conflitto nel mondo del lavoro, le proteste studentesche: è strettamente correlato all’esercizio di diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, come lo sciopero (art. 40), la riunione (art. 17) e la manifestazione del pensiero (art. 21).

A cura di Sergio Paronetto

Dedichiamo questo dossier a Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace, in occasione del suo ottantesimo anniversario.
Per ricordare la storia, per celebrare la pace e il sogno di nonviolenza, per riflettere e agire ora, nella direzione di un altro mondo possibile ove vi sia posto per tutti e tutte, fratelli e sorelle, in un disegno organico di diritti e di dignità.
Rileggiamo, nelle pagine che seguono, alcune tappe della storia di Pax Christi International e della nostra sezione italiana.

 

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