In occasione del Giubileo delle Forze Armate, torniamo sull’annosa questione dei “sacerdoti con le stellette”.
Dopo il primo appuntamento con il mondo della comunicazione, del 24-26 gennaio, il secondo evento giubilare è stato, 8-9 febbraio, quello delle Forze Armate, di Polizia e Sicurezza. Invitati, insieme ai loro familiari, tutti gli appartenenti alle forze militari e alle forze di polizia, i vigili urbani, gli operatori di sicurezza, i veterani, le diverse associazioni militari, accademie militari, cappellanie e ordinariati militari.
Sogni
Senza entrare nel merito del significato profondo del Giubileo, la conversione e tante altre sottolineature, si può dire che stride, per usare una parola delicata, questo evento giubilare con il messaggio profondo del Giubileo biblico e anche con le stesse parole di papa Francesco che, nella bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, Spes non confundit, al n. 8 scrive: “È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”
Non si vuole aprire una riflessione su tutte le forze di polizia e di sicurezza, sulle forze armate, sul mondo “militare”. Abbiamo tutti davanti agli occhi le tragedie di questi tempi.
Le guerre non riusciamo più neanche a contarle.
Morte, distruzioni, bombardamenti con ogni tipo di arma, e via dicendo. E poi le spese militari: solo nel 2023 la spesa mondiale per le armi è stata di 2.443 miliardi di dollari, poco meno di 7 miliardi al giorno. E c’è chi vuole portare anche in Italia questa spesa almeno al 2% del Pil… Una percentuale troppo bassa per le richieste del nuovo inquilino della Casa Bianca. Si chiede di raggiungere il 5% da parte dei Paesi membri della Nato. E poi c’è il rinnovo dell’invio delle armi in Ucraina, da parte dell’Italia. Un invio totalmente secretato. E i progetti di nuovi armamenti, investimenti, soldi.
La lobby delle armi è fortissima e gli affari di guerra vanno a gonfie vele. La presidente Meloni è stata in Arabia Saudita a fine gennaio scorso e, da quanto si sa, sul tavolo c’è il coinvolgimento anche del regime di Riyad nel progetto del nuovo aereo cacciabombardiere di sesta generazione GCAP, che vede coinvolti Giappone, Inghilterra e Italia. Il nostro Paese ha già stanziato per questo progetto 8,8 miliardi di euro.
Giubileo dei militari
Di fronte a questo scenario. il Giubileo dei militari dovrebbe essere un grande momento per mettere in discussione tutto questo progetto diabolico di morte. E interrogarci, ancora una volta sul senso della presenza nell’esercito italiano dei Cappellani Militari.
Pax Christi, con la rivista Mosaico di pace, da tanto tempo ha posto la questione dei “sacerdoti con le stellette”. Un tema di grande attualità in occasione del Giubileo.
“Come conciliare Vangelo e stellette, coscienza e obbedienza a ordini militari e di guerra? Si può benedire una guerra? Perché una Diocesi Militare? E il comandamento non uccidere? E l’amore per il nemico?”: queste le domande che Pax Christi si poneva in un convegno del 7 novembre 2015. Nel comunicato finale si leggeva “che l’annuncio evangelico è inconciliabile non solo con la guerra ma anche con la stessa appartenenza a una struttura come quella militare, ancora più nella situazione attuale, in cui non esiste più un esercito di leva ma solo di professionisti. In tale contesto si è concluso che gli accordi tra Stato e Chiesa – che inquadrano i Cappellani militari nelle Forze Armate, con relative stellette e retribuzioni – stridono con la laicità dello Stato e con lo spirito del Vangelo della pace.”
Dialoghi aperti
E ancora Pax Christi, in un comunicato del 14 febbraio 2018, riprende il nervo scoperto della smilitarizzazione dei Cappellani militari, ricordando che la questione era già stata posta “nel lontano 1995, in occasione del Convegno della Chiesa italiana a Palermo. Il capitolo “Cappellani militari” è stato riproposto anche per il 30° anniversario della morte di don Lorenzo Milani, del Congresso Eucaristico di Bologna (1997) e nel novembre 1997, con un seminario di studio presso la Casa per la Pace a Firenze, promosso in collaborazione con il Centro Studi Economici e Sociali dal titolo “Cappellani militari oggi e.... domani”.
La rivista Mosaico di pace ha più volte pubblicato interventi e contributi su questo argomento, come il dossier “Sacerdoti, padri e generali”, del novembre 2013. Il 7 novembre 2015 si è tenuta una giornata di studio sempre a Firenze. “Senza far uso strumentale della storia, senza intenti di polemica fine a se stessa, Pax Christi chiede, nuovamente, che si ritorni a discutere sul ruolo dei cappellani militari, non per togliere valore alla presenza e all’ annuncio cristiano tra quanti, soprattutto giovani, stanno vivendo la vita militare, ma per essere più liberi, senza privilegi e senza stellette”.
A 32 anni dalla sua morte, ricordiamo le parole di don Tonino Bello, che intervistato da Panorama il 28 giugno 1992 sui cappellani militari, si dichiarava sensibile soprattutto ai costi relativi alla credibilità evangelica ed ecclesiale. Per lui, e per noi, è necessario mantenere un servizio “pastorale” distinto dal ruolo militare. “Accade già nelle carceri”, osservava, “non si vede per quale motivo non potrebbe accadere anche nelle forze armate. Cappellani sì, militari no”. “Il sistema dell’Ordinariato e dei Cappellani militari va completamente riveduto, aggiornato e corretto”. Sono parole di un Generale, e non di un Generale qualsiasi! Fabio Mini, già capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa e comandante della missione militare di pace in Kossovo, intervistato per il dossier citato: ‘La figura del cappellano militare come parroco della caserma non è più attuale, spiegava Mini, In caserma non ci ‘vive’ più nessuno, la vita di caserma non è più comunitaria e ‘le cappelle sono vuote: non le frequentano più neppure i cappellani’. ‘Perché bisogna trattare l’assistenza spirituale alle Forze armate come un problema separato da quello pastorale generale?”, si chiedeva il Gen. Mini. “Cosa devono avere di più o di diverso i cappellani militari? Non sarebbe meglio che tutti i preti avessero la possibilità, una volta nella loro vita, di vedere da vicino e assistere questi cittadini in divisa così buffi e strani da rischiare la pelle per la comunità? …Invece di cappellani militari avremmo bisogno di preti di frontiera”.
E sempre nel dossier citato, lo psichiatra Vittorino Andreoli affermava che “il grado condiziona” …Il sacerdote deve essere colui che aiuta la comunità e i suoi membri. Il grado pone la comunità in uno stato di soggezione. Esattamente come un caporale maggiore è in soggezione di fronte a un tenente, a un maresciallo. Figuriamoci di fronte a un generale di brigata! È quel segnale che mantiene a distanza, la distanza del grado, e non è certo segno di quel ‘chi è più grande tra voi sia come colui che serve’. Il tenente prete è un tenente e porta le stellette”.
La questione Cappellani militari era e resta aperta. Non ci stanchiamo di riproporla in ogni occasione. E siamo disponibili ad aprire un confronto nelle nostre pagine.
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Per approfondire
Il Dossier “Sacerdoti padri e generali. I cappellani militari, ieri e oggi e domani. Arruolati per annunciare il Vangelo?”, a cura di Vittoria Prisciandaro e Renato Sacco, è pubblicato nel numero di novembre 2013 e può essere richiesto scrivendo a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.