Quale sicurezza può mai garantire una legge che inasprisce il sistema sanzionatorio, punisce penalmente l’occupazione arbitraria, penalizza l’accattonaggio e limita il diritto di sciopero?

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Qualifica Autore: consigliere nazionale Pax Christi Italia

“La guerra empieza aquì” è un documento, ma anche il nome di un movimento di lavoratori del porto di Bilbao, in Spagna, che da anni si oppongono all’invio di armi su navi che partono da quel porto.

A loro si sono ispirati i lavoratori del CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) di Genova. E con lo stesso slogan è nata la prima manifestazione di Fari di Pace, che si è svolta, proprio a Genova il 2 aprile 2022: La guerra inizia a Genova. Un momento importante e molto partecipato da tante persone e associazioni, dall’arcivescovo di Genova Marco Tasca, dal vescovo di Savona, Calogero Marino, da rappresentanti del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP), di Pax Christi, di Weapon Watch, di Economia Disarmata, del Tavolo Giustizia e solidarietà di Genova, Acli, Agesci, Arci, Genova aperta alla pace, di Società Missioni Africane. “La guerra – si è detto durante la manifestazione – solleva a tutti noi un problema di coscienza. Non possiamo avere, di fronte alla guerra, un clima da divano e da stadio. La guerra non ha bisogno di tifosi come nello sport. E questo momento vuole interrogare le coscienze di tutti: religiosi, atei, credenti e non credenti, un invito a prendere posizione di fronte a quanto sta avvenendo”.

L’esperienza del CALP di Genova, la loro testardaggine, la loro coerenza sono un modello, un esempio da seguire. All’inizio di giugno è scattato “l’allarme” per una nave che a Marsiglia avrebbe dovuto caricare armi destinate alla IDF in Israele.

“Ci siamo immediatamente coordinati per organizzare un presidio al Porto di Genova – si legge nel comunicato stampa USB porto di Genova – con l’obiettivo di impedire l’attracco della nave ZIM Contship ERA. Non essendo riuscita a caricare armi a Marsiglia, si temeva cercasse di caricare a Genova. “Ribadiamo con forza – continua il comunicato – che non vogliamo essere complici del genocidio che continua a Gaza e che ci opponiamo fermamente a tutte le guerre…”.

Alla sequela di Bartimeo, per trovare la speranza e il sapore della festa.

 

 

La speranza secondo Bartimeo

Nell’udienza generale dell’11 giugno scorso, Papa Leone XIV nel ciclo di catechesi su “Gesù Cristo nostra speranza” ha commentato l’episodio evangelico della guarigione/chiamata di Bartimeo (Mc 10,46-52). I lettori più antichi di Mosaico di pace ricorderanno che molti anni fa condussi questa stessa rubrica commentando in ogni numero un singolo versetto, un’espressione, un gesto… contenuto nel racconto della guarigione-chiamata di Bartimeo.

Un vero e proprio inno alla speranza. Perché la speranza non si attende ma si sollecita. Non si aspetta, le si va incontro. Non è conquista da sedentari, ma di persone che sanno stare in piedi, e non necessariamente sulle gambe! E Bartimeo era di quella specie di persone che non si lasciava condizionare dalla sua disabilità. Bartimeo non coincideva con la sua infermità. Non un cieco, insomma, quanto piuttosto un uomo che non ci vede. E poi con tante altre doti, capacità, strumenti, risorse. Dice Papa Prevost: “Cosa possiamo fare quando ci troviamo in una situazione che sembra senza via d’uscita? Bartimeo ci insegna a fare appello alle risorse che ci portiamo dentro e che fanno parte di noi. Lui è un mendicante, sa chiedere, anzi, può gridare! Se desideri veramente qualcosa, fai di tutto per poterla raggiungere, anche quando gli altri ti rimproverano, ti umiliano e ti dicono di lasciar perdere. Se lo desideri davvero, continua a gridare!”. Pertanto, il grido è la conseguenza di una speranza, anzi della speranza.

Solo quando intravedi un futuro che gli altri ignorano, dai voce al grido che prima era come soffocato e silente. La speranza, infatti, abita il futuro e forse è proprio per questo che facciamo tanta fatica a vederla nell’oggi.

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Dal caos informativo alla leggibilità condivisa.

 

Il movimento pacifista sta vivendo una frammentazione comunicativa che mina la sua efficacia: gruppi WhatsApp affollati e disordinati, social media saturi di link decontestualizzati e contenuti ridondanti. Per ricostruire una comunicazione chiara, condivisa e orientata al cambiamento, serve una strategia di content curation.

L’intelligenza artificiale generativa può diventare un alleato prezioso in questo compito.

Il movimento pacifista si trova spesso intrappolato in un paradosso comunicativo: c’è un’abbondanza di contenuti ma una carenza di comunicazione efficace.

Questo è il paradosso della esplosione del digitale: l’aumento del volume delle comunicazioni va spesso a discapito della loro leggibilità. È una responsabilità collettiva: ogni messaggio mal curato rischia di alimentare il rumore anziché la comprensione.

Gruppi WhatsApp pullulano di messaggi sovrapposti, ripetizioni, link senza contesto e flussi informativi che si accavallano. Il risultato? Un’informazione illeggibile, dispersiva. Facebook, X e Instagram spesso amplificano il rumore anziché generare connessione.

Qualifica Autore: vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo

Da chi ci dobbiamo difendere? Quali equilibri strategici si stanno costruendo?

  

Prima l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 e poi la nuova amministrazione statunitense nel 2025 hanno impresso una svolta importante nelle relazioni internazionali, mettendo in evidenza il logoramento in atto da molti anni nei rapporti mondiali.

Tra gli Stati Uniti e la Russia, le due superpotenze nucleari maggiori, da tempo non esisteva più un clima di relativa fiducia, almeno del tipo di quella che aveva condotto a molteplici accordi sul reciproco controllo degli armamenti, al punto tale che oggi resiste a stento solo un trattato, il New START, in vigore nel campo nucleare tra le due parti (New Strategic Arms Reduction Treaty, trattato firmato l’8 aprile 2010 e, dopo la ratifica, entrato in vigore il 5 febbraio 2011).

Sfide

La guerra civile nel Donbass e il successivo intervento russo hanno creato ulteriori motivi di tensione nel Vecchio Continente, che, incapace di muoversi unitariamente, non è riuscito ad assumere un ruolo diplomatico all’interno del conflitto, ma solo quello di sostenitore militare ed economico di Kiev. E ci si è accorti che la supposta superiorità tecnologica degli arsenali occidentali non è stata assolutamente in grado di contenere le forze militari di Mosca. Trump, mutando radicalmente l’approccio della Casa Bianca nei confronti dell’Ucraina, ha contemporaneamente rimesso in discussione le relazioni con l’UE (di cui non è mai stato un sostenitore, come dimostrò il suo esplicito appoggio alla Brexit) e anche con i Paesi europei della NATO. La sua ostilità nasce dall’essere la prima valutata un blocco commercialmente temibile, i secondi accusati di una spesa militare “modesta” all’interno dell’Alleanza Atlantica rispetto a quella statunitense. Con un approccio prevalentemente commerciale, il nuovo corso americano, in sintesi, sembra prestare particolare interesse non tanto allo spazio geopolitico europeo, quanto alla sfida con la potenza emergente della Cina.

Qualifica Autore: Coordinamento Capitanata per la pace

“Due giorni per la pace”, una manifestazione pugliese.

  

Mentre il mondo assiste al moltiplicarsi dei conflitti armati – dal genocidio israeliano a Gaza alle guerre in Ucraina, Sudan, Congo, Myanmar – e mentre l’Europa avvia un colossale piano di riarmo, la Puglia si mobilita per la pace. Il Coordinamento Capitanata per la Pace e la Rete dei Comitati per la Pace di Puglia hanno promosso la “Due giorni per la pace in Puglia” (10-11 maggio 2025), organizzando un convegno e la XII Marcia per la pace Comunità Emmaus-aeroporto militare di Amendola. Dalla terra di Capitanata una posizione netta: basta guerre e complicità che alimentano i conflitti armati, stop alle spese militari ed al ReArm Europe da 800 miliardi. Un messaggio che riflette la posizione maggioritaria della società italiana, consapevole che la guerra è causa non solo di sempre più gravi tragedie, ma anche del peggioramento delle condizioni economiche e di vita per milioni di persone, in Italia e nel resto del mondo. Purtroppo, però, questa posizione, decisamente maggioritaria in tutti i sondaggi, è ignorata dalla maggioranza della classe politica, generando così a tutti gli effetti un grave deficit di democrazia.

Il Convegno

Il primo appuntamento si è svolto sabato 10 maggio presso il DEMET (Dipartimento di Economia, Managment e territorio) dell’Università di Foggia, con il convegno “Un mondo in guerra. Le risposte del pacifismo”. Il convegno si è aperto con un ricordo del giornalista Cesare Sangalli, pacifista e attivista per i diritti umani – morto nello stesso luogo tre anni fa durante un serrato dibattito su pace/guerra – a cui è seguita la proposta di far affiggere una targa in sua memoria.

L’incontro si è articolato in due sessioni: 1) analisi degli scenari internazionali e del tracollo della legalità internazionale; 2) riflessioni sulle strategie pacifiste più efficaci. Sono intervenuti Isidoro Mortellaro dell’Università di Bari, Alessandro Marescotti di PeaceLink, Angelica Romano di Un Ponte Per, Azmi Jarjawi della Comunità palestinese di Puglia e Basilicata.

Dal G8 del 2001 alla promozione a questore di un funzionario allora coinvolto, passando per il decreto sicurezza.

  

Si può nominare questore un funzionario condannato in passato per gravi e infamanti reati? Un funzionario coinvolto in uno dei più gravi abusi commessi dalla polizia italiana negli ultimi decenni? Si può: la promozione a questore di Monza di Filippo Ferri, condannato a tre anni e otto mesi (più cinque anni di interdizione) nel processo scaturito dalle torture e dai falsi di polizia alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, è una scelta legittima, e va quindi giudicata su un piano politico e culturale. È una scelta di campo compiuta dal potere, un atto che definisce un certo modo di intendere i rapporti fra istituzioni democratiche e apparati di sicurezza da una parte, semplici cittadini e attivisti dall’altra.

Diciamo allora che in un Paese più civile del nostro, e più attento alla qualità dei rapporti fra cittadinanza e istituzioni, la grave caduta di legalità avvenuta durante il G8 di Genova sarebbe stata affrontata con fermezza e trasparenza, avendo ben chiaro l’obiettivo: restituire credibilità alle forze dell’ordine, prevenire altre possibili cadute. Nel luglio 2001, com’è noto, le forze dell’ordine si lasciarono andare a un’impressionante catena di violenze, abusi, falsificazioni, praticando la tortura su decine e decine di persone per più giorni e in più contesti (principalmente, ma non solo, la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto), uccidendo in piazza un ragazzo di 23 anni, producendo interi faldoni di verbali ufficiali infedeli, attestanti il falso. Fu una gestione disastrosa, per quanto politicamente indirizzata, dell’ordine pubblico, e un’impressionante violazione dell’ordine costituzionale. 

Il dopo-Genova

Ebbene, non è un’esagerazione dire che il dopo Genova G8 è stato per certi versi peggiore di Genova G8 in sé, proprio perché lo Stato italiano ha scelto di seguire la strada opposta a quella che sarebbe stata consigliabile e necessaria. Niente fermezza verso i responsabili degli abusi e dei disastri etico-professionali, niente trasparenza sulle scelte compiute, e soprattutto nessuna azione volta a recuperare la credibilità perduta. Si è preferito, piuttosto, garantire la massima copertura ai vertici degli apparati e perfino ai numerosi agenti, funzionari e dirigenti indagati, imputati e infine condannati nei vari processi seguiti alle violenze istituzionali del luglio 2001.

Qualifica Autore: Centro Prodh – Centro per i diritti umani Miguel Augustin Pro Juarez A.C. http://centroprodh.org.mx  

Centro Prodh: Difendere i diritti umani in Messico.

 

Oggi il Messico affronta una drammatica crisi di violenza e di violazioni dei diritti umani. Si contano oltre 127.000 persone scomparse, una crisi forense con più di 72.000 corpi non identificati, più di 90 omicidi al giorno, gravi abusi contro migranti, crimini contro giornalisti e tante altre ferite aperte.

Una situazione che colpisce con particolare forza le zone rurali e impoverite, pesando soprattutto su chi è più ai margini. Numerosi organismi internazionali hanno espresso preoccupazione per questa crisi, eredità della cosiddetta “guerra alla droga”, intensificatasi dal 2006.

A questo quadro già drammatico si aggiunge un contesto politico di grande complessità. Dal 2018, il progetto politico al governo ha messo al centro del dibattito pubblico – con ampio consenso – il contrasto all’enorme disuguaglianza economica causata da decenni di politiche neoliberiste.

Tuttavia, a questo sforzo si accompagnano riforme e decisioni che sembrano mirare a consolidare indefinitamente il potere, in un clima di crescente polarizzazione e con un inedito rafforzamento del ruolo delle forze armate.

L’ultima riforma costituzionale, in particolare, rappresenta un grave attacco all’indipendenza del potere giudiziario, già fragile e vulnerabile.

A rendere il quadro ancora più complesso è l’influenza della politica statunitense. L’elezione di Donald Trump e la sua retorica xenofoba hanno messo in pericolo milioni di persone di origine messicana che hanno trovato negli Stati Uniti opportunità negate nel loro Paese. Le azioni unilaterali e minacciose del governo statunitense hanno avuto un impatto politico ed economico profondo, e finora solo l’equilibrio e la fermezza della prima donna Presidente del Messico hanno evitato conseguenze peggiori.

Se n’è andato Salgado, uno dei più grandi fotografi del nostro tempo.

 

Sebastiao Salgado ci ha mostrato il mondo. Anzi, ce lo ha scaraventato addosso. La sua macchina fotografica, la mitica Leica 35 mm (dono dell’inseparabile moglie Lélia Wanick conosciuta a San Paolo nei gruppi di resistenza rivoluzionari alla dittatura brasiliana della fine anni Sessanta), ci ha fatto arrampicare sulle calotte ghiacciate che si stanno scongelando facendo alzare i mari, i fiumi e i laghi. Ci ha fatto camminare nel sudore malato dei deserti che bruciano come forni incandescenti accesi dai vorticosi epifenomeni dei cambiamenti climatici. Ci ha fatto assistere a scene apocalittiche, portandoci nel mezzo degli incendi che bruciano intere foreste o chiedendoci di saltare nelle pozzanghere nere della contaminazione delle fabbriche dell’Amazzonia che tolgono il respiro alla terra bruciando habitat e senso a popolazioni di indigeni e agli animali. Ma questo non basta per dire come il mondo di oggi è devastato da forme di potere onnivore, che hanno radicalizzato l’antica cesura fra la sovranità della ragione e la schiavitù della natura.

Voci di fede per la pace in Palestina.

  

Il 19 maggio 2025 si è svolto un importante webinar internazionale dal titolo “Voci di fede per la pace in Palestina”, organizzato dalla coalizione Solidarietà Globale per la Pace in Palestina (Global Solidarity for Peace in Palestine – GSPP), una rete internazionale di organizzazioni e individui, tra cui Pax Christi International, impegnati per la giustizia e la pace giusta in Palestina.

In un contesto di drammatica sofferenza e crescente tensione nella regione, l’iniziativa ha offerto uno spazio di ascolto, testimonianza e speranza, mettendo al centro le parole e l’impegno di figure religiose di alto profilo.

A dare forza e profondità al webinar sono state le parole dei relatori, tutti profondamente coinvolti nella realtà palestinese e da anni impegnati nella promozione del dialogo e della nonviolenza.

Ha aperto l’incontro Michel Sabbah, Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini e già co-Presidente di Pax Christi International. Sabbah ha rivolto un messaggio di compassione e di urgenza morale: “Non possiamo restare in silenzio di fronte alla sofferenza. È nostro dovere parlare, agire e sperare insieme.”

Qualifica Autore: professoressa associata di Sociologia, Università di Cagliari

Perché la cultura della guerra ha così tanto fascino? Come possiamo depotenziare il pensiero bellico che ha invaso le nostre coscienze?

  

In L’élite del potere, Charles Wright Mills metteva in luce il peso crescente dei militari, dedicando un capitolo ai I signori della guerra. L’espressione, ripresa e diffusa dai media durante la guerra nei Balcani, torna attuale per comprendere la situazione odierna, perché evidenzia lo stretto intreccio del potere dei militari con i poteri politici, industriali e scientifici.

L’interesse per la ricerca scientifica applicata all’industria degli armamenti vive oggi una nuova stagione, anche in Italia, dove l’indagine scientifica è notoriamente sottofinanziata. Una fragilità che diventa una potente leva per strumentalizzare la condizione di precarietà in cui versano numerosi ricercatori, spesso ricattabili economicamente e privi di tutele. Questo scenario solleva urgenti dilemmi etici, resi ancora più complessi dallo sviluppo tecnologico che rende sempre più labile la distinzione tra usi civili e militari della scienza.

La Casa per la Pace di Pax Christi riprende il proprio cammino. Per essere sempre più un luogo dove riparare le proprie tende.

 

Ormai molti anni fa, parlando agli aderenti di Pax Christi, don Tonino Bello scriveva “… vi prego di prendere in seria considerazione questo progetto che tenta di dare concretezza a un sogno antico di Pax Christi. La mobilità delle tende del nostro Movimento è una cosa splendida, ma sentiamo anche il bisogno di un punto di riferimento per appoggiare o riparare o costruire le stesse tende. Anche se Casa per la Pace è il mondo intero, non vi sembra che un punto logistico di aggregazione ideale ci aiuterebbe tutti a far sì che la pace diventi inquilina stabile della terra?”.

Proprio col desiderio di recuperare l’idealità di don Tonino e dei tanti amici, volontari e dipendenti che dal 1983 hanno incarnato alla Casa per la Pace il sogno antico di Pax Christi, dopo un lungo periodo di chiusura dovuto alla necessaria ristrutturazione, dal mese di luglio di questo 2025, essa riprenderà finalmente la propria attività.

Il progetto di riapertura della Casa per la Pace si inserisce in un contesto più ampio che vede Pax Christi impegnarsi su molti fronti nella promozione della cultura della pace e della nonviolenza e che, nello specifico, vuole offrire alla comunità locale e ai viaggiatori la possibilità di vivere un’esperienza che unisca accoglienza, incontro, formazione e spiritualità.

Qualifica Autore: giornalista, Plastic free Onlus

Verso la conversione ecologica. Nel 2025, sono 122 i Comuni italiani Plastic Free.

  

Comportamenti responsabili, attenzione all’ambiente, iniziative dedicate alla sostenibilità e alla riduzione dei rifiuti, impegno verso cittadini e territorio. È così che 122 Comuni italiani hanno ottenuto il prezioso riconoscimento di “Comuni Plastic Free 2025”, dimostrando di aver contribuito concretamente alla lotta contro gli abbandoni illeciti, alla promozione di opere di sensibilizzazione nonché alla gestione virtuosa dei rifiuti urbani.

Nel conferire il riconoscimento, infatti, la onlus sottopone il Comune a uno screening sull’impegno ambientale portato avanti dalla locale amministrazione con ben venti quesiti. Se è stato attivato un canale di comunicazione diretto per ricevere le segnalazioni di abbandono illecito di rifiuti nel territorio comunale; se è stato attivato un sistema per intervenire tempestivamente alla bonifica; se sono stati attivati sistemi di controllo per contrastare l’inciviltà ambientale, ad esempio fototrappole, videosorveglianza, guardie ambientali o, ancora, se si è predisposto un sistema di sanzione funzionante a difesa dell’ambiente.

Poi viene chiesto se, attraverso iniziative informative, il Comune sensibilizza i propri cittadini sul corretto smaltimento dei rifiuti e sulle corrette abitudini che limitino il monouso; se abbia adottato sistemi che riducono la plastica nella sede degli uffici municipali e presso gli istituti scolastici; se abbia installato casette dell’acqua sul proprio territorio comunale, incentivandone l’utilizzo. Si valuta se l’amministrazione abbia disposto, tramite ordinanza o regolamento, il divieto di rilascio in cielo di palloncini; abbia adottato azioni di contrasto all’abbandono di mozziconi di sigaretta nelle aree pubbliche; abbia attivato un tavolo di consultazione delle associazioni e dei cittadini sulla tematica ambientale; abbia promosso l’apertura di un centro specializzato nel riuso o scambio di oggetti in un’ottica di economia circolare.

Qualifica Autore: Associazione Karama

 

La vita nei campi profughi del deserto algerino che ospitano 200.000 saharawi. Intervista a Elisa e Giorgio Zanotto e a Gerardo Sellitti.

 

Elisa e Giorgio Zanotto sono fratello e sorella e si sono recati per la prima volta dal 14 al 22 marzo 2025 ai cinque campi profughi organizzati dai saharawi presso Tindouf, in Algeria, con una delegazione istituzionale di sindaci toscani ed emiliani. L’associazione Karama, di cui faccio parte, è gemellata con la scuola Lal Andallah del campo di Bujdour e si impegna per la causa saharawi.

Elisa, come mai la scelta di andare nei campi profughi saharawi?

In realtà l’intenzione l’ho sempre avuta. Ero stata con i Piccoli ambasciatori di pace quando riuscivamo ad accoglierli a Sesto San Giovanni e avevo la curiosità di capire perché fossero lì nel deserto e come delle persone potessero vivere nel nulla. Erano bambini allegri, qualcuno con qualche carenza alimentare, ma in fondo erano bambini “normali”, per cui mi incuriosiva capire qualcosa di più sui loro campi. L’anno scorso l’associazione Karama ha esposto la mostra del fotografo Renato Ferrantini e la curiosità si è ravvivata. Volevo vedere dal vivo.

E tu, Giorgio?

Parto sicuramente anch’io dalla curiosità: avevo visto i bambini saharawi al centro sociale Baldina per un laboratorio, mi sono mescolato con loro sin da piccolo, avevo pochi anni più di loro. Facendo varie esperienze di volontariato in Italia, ho sentito il desiderio di conoscere situazioni diverse, in particolare quella del popolo saharawi, celata, poco conosciuta; quando ho avuto l’occasione di andare a vedere un contesto di cui, a livello mondiale, nessuno vuole che si parli, ne sono stato felice. Mi pareva che bisognasse iniziare a vivere un po’ sulla propria pelle la loro situazione.

Qualifica Autore: arcivescovo di Otranto

Laudato Si’, mi’ Signore, per Sorella Sofferenza.

 

“Laudato Si’, mi’ Signore, per quelli ke sostengo infirmitate e tribulatione. Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati”. San Francesco compone il Cantico dopo aver ricevuto le stimmate, e alla lode per le creature aggiunge una strofa con la lode per la grazia di sopportare nella pace la malattia e la tribolazione. Gliene dà la forza la contemplazione di Gesù Crocifisso, del quale portava le stigmate nel proprio corpo. L’amore è, infatti, un mistero di comunione, e nell’amante si afferma il desiderio di condividere tutto della persona e della condizione dell’amato. Se l’amato è nella sofferenza, l’amante sperimenta la spinta a condividere dell’amato anche la sofferenza.

È, dunque, nella relazione con il Signore Gesù “nostro indistruttibile amore” (Il panorama del Calvario: AB II, 306), che anche don Tonino considera il mistero della Croce, specialmente dopo che gli viene diagnosticato il cancro, nel 1991. Agli ammalati, nel febbraio del 1993 scrive: “Anch’io quest’anno sono, insieme con voi, partecipe di questo mistero della sofferenza, che mi onora e mi rende contento perché mi avvicina di più a Gesù Cristo” (Come linfa vitale: AB II, 390). La Croce è allora in primo luogo un’occasione per conoscere meglio Cristo condividendone l’esperienza del dolore, è un passaggio di comunione: “Lui confitto su un versante della Croce e noi confitti sull’altro versante della Croce, sul retro” (Come linfa vitale: AB II, 391).

Qualifica Autore: Ordinario di Diritto costituzionale Scuola superiore Sant’Anna

Il decreto sicurezza e i suoi limiti formali e sostanziali.

  

Con la legge 9 giugno 2025, n. 80, è stato convertito in legge il decreto-legge (dl) n. 48/2025, contenente, secondo il titolo, “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, e comunemente definito “decreto sicurezza”.

Su di esso vi sono state molte prese di posizione, compreso un appello, promosso da 237 costituzionalisti e sottoscritto da migliaia di persone, che ne ha messo in luce gli aspetti negativi. Proviamo in queste note a indicare qualche criterio di lettura dei suoi profili generali.

In primo luogo, dobbiamo valutare lo strumento utilizzato, ovvero il decreto-legge. Ricordiamo al riguardo che, in base alla Costituzione e alla sua interpretazione operata dalla Corte costituzionale, questo strumento normativo può essere adoperato solo in “casi straordinari di necessità e urgenza” e a condizione che i suoi contenuti siano “omogenei”.

Sul primo presupposto è noto che ormai da molti anni (e ad opera delle varie maggioranze parlamentari che si sono succedute) il rigore interpretativo circa la straordinarietà e l’urgenza si è molto diluito, e il dl è diventato (contra constitutionem) lo strumento ordinario di produzione legislativa. Ma, se ciò è vero, nel caso del dl sicurezza c’è un aspetto di diversità oggettiva. Esso, infatti, riproduce quasi integralmente un disegno di legge che era stato presentato più di un anno fa dal Governo al Parlamento, e che quest’ultimo ha a lungo discusso in quest’anno, senza giungere ancora all’approvazione.

Alla luce di ciò, come si possono ritenere ora necessarie e urgenti quelle misure che un anno fa, sempre a giudizio del Governo, non lo erano (in assenza, ovviamente di situazioni emergenziali nel frattempo intervenute e tali da giustificare un cambiamento di idea)? A tale domanda non si potrebbe rispondere ribattendo che proprio l’inerzia del Parlamento ha fatto sorgere l’urgenza: se così fosse, in verità, sarebbe ancora più grave, perché costituirebbe una palese violazione, da parte del Governo, della sovranità del Parlamento.

A cura di Ilaria Dell’Olio, Andrea Lariccia, Patrizia Morgante, Elena Rotondi 

Orari e carichi di lavoro, precarietà e diritti, contrattazioni e mutamenti legislativi: come cambia il mondo del lavoro? Quanto del ben-essere dipende dal lavoro e perché oggi è così totalizzante e performativo? Nelle pagine che seguono offriamo uno sguardo su alcune nuove sfide, domande aperte, inquietudini. E ci interroghiamo sui cambiamenti prodotti dall’introduzione dell’Intelligenza Artificiale e dall’acuirsi del liberismo nel lavoro. Perché questo sia fuori dalla logica del profitto.

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